5.12.15

La non violenza attiva di Capitini (Lanfranco Mencaroni)

Tra gli interventi sullo speciale di “micropolis” per il trentennale di Capitini, questo di Lanfranco Mencaroni è – a mio avviso – quello che con più chiarezza esplicita il nesso tra religiosità e impegno politico. Gli auspici finali, del compagno Mencaroni, medico, comunista e capitiniano, soffrono un po' di idealismo, confondono le speranze (anche illusorie) con la realtà. Nuove guerre, nuove violenze, nuovi odi e nuove intolleranze erano alle porte. Il capitale trionfante fa strame della non-violenza e trasforma la democrazia in un vuoto simulacro. (S.L.L.)
Aldo Capitini sulla torre campanaria del comune di Perugia
Aldo Capitini era nato a Perugia il 23 dicembre del 1899, a Perugia è morto il 19 ottobre del 1968. Laureato in lettere e filosofia a Pisa, vi rimase come assistente e come segretario-economo della Scuola Superiore Normale fino al gennaio del 1933, quando fu messo fuori per non aver accettato la tessera del Partito Fascista, divenuta obbligatoria per i dipendenti statali.
Durante la dittatura e le guerre fasciste visse poveramente a Perugia dando lezioni private: fu attivissimo antifascista nonviolento, fondò insieme al filosofo Guido Calogero il Movimento Liberalsocialista, dal quale si distaccò quando, dopo il 25 aprile 1943, da movimento si trasformò in Partito d'Azione; fu messo due volte in carcere.
Dopo la guerra ottenne una cattedra universitaria di Pedagogia prima a Cagliari poi a Perugia.
Dal 1937 al 1968 ha scritto numerosi libri e moltissimi saggi e articoli in cui esponeva e approfondiva la sua posizione di libero riformatore religioso, esterno e critico delle religioni tradizionali; di politico indipendente di sinistra, esterno ai partiti, trasformatore della società verso il potere di tutti con i metodi della nonviolenza e del controllo dal basso; di pedagogo, maestro ma sopratutto profeta, che rifiuta ed esorta i giovani a rifiutare la violenza e l'insufficienza della società e della realtà.
Indignato per l'esaltazione e l'ostentazione della violenza da parte dei fascisti e per la benedizione che a quella violenza veniva data dalla chiesa cattolica dopo il Concordato del '29, Aldo Capitini fece due scelte fondamentali alle quali rimase coerente per tutta la vita.
La prima fu l'impegno a pensare e vivere in Italia una posizione religiosa che stimolasse gli italiani, notoriamente restii a discutere i problemi della fede, a riflettere sull'insufficienza delle risposte religiose alle domande della società contemporanea, anche tenendo conto dei cinque secoli di pensiero laico. Risposte che alcune delle religioni tradizionali hanno difficoltà a dare senza mettere in discussione le chiusure dei dogmi e l'autoritarismo delle strutture, e senza sottrarsi a un giudizio di condanna sul comportamento violento e conservatore tenuto nella storia.
La seconda scelta fu quella della nonviolenza come apertura religiosa all'umanità, come rifiuto della insufficienza e della violenza del mondo, come modello di comportamento nella vita privata, e come metodo di lavoro nella vita pubblica e politica, metodo che Capitini definì più tardi come ''nonviolenza attiva". L'adesione di Aldo Capitini alla teoria e alla pratica della nonviolenza maturò nel decennio tra il 192O e il 193O. Da quegli anni, come Gandhi e Martin Luther King, "all'ideale della nonviolenza - ci ricorda Bobbio - dedicò la parte migliore di sé stesso; ne fu il filosofo, il maestro, il propagatore e l'infaticabile organizzatore".
Tra le realizzazioni della nonviolenza attiva ricordiamo l'invenzione dei C.O.S. (Centri di Orientamento Sociale), libere e periodiche assemblee di controllo dal basso e potere di tutti, a tutti aperte per l'informazione e la discussione su problemi locali e generali; e l'organizzazione nel 1961 della prima Marcia della Pace italiana da Perugia ad Assisi.
Gli avvenimenti della storia hanno sempre relegato Capitini nel ruolo di minoranza, inviso alla destra, onorato dalla sinistra ma da questa anche incompreso e ritenuto estraneo alle proprie scelte culturali e politiche. A trent'anni dalla sua morte, pur nel frastuono del consumismo e nell'idolatria della competizione liberista più sfrenata, vediamo anche realizzarsi l'intuizione di Capitini su questo secolo, che dopo le aspre e cruenti lotte politiche e sociali si trova davanti a un bisogno diffuso di spiritualismo e di religione. La sinistra, che per motivi di lotta politica ha sempre confuso religione e chiese, dà perlopiù le risposte difficili e individuali del laicismo razionale, scientifico, agnostico, pessimista.
Chi si interroga sui problemi che secondo Capitini sono alla base della scelta religiosa, i problemi del dolore, del rimorso, della morte, e percepisce l'insufficienza delle religioni tradizionali, trova risposte effimere, come quelle odierne della new age, e finisce spesso in braccio a gruppi e sette intrise di valori regressivi, vicino alla magia. Molti altri, anche se in maniera critica, rimangono formalmente nelle chiese storiche, e vanno nel grande fiume del volontariato a testimoniare la loro fede con le azioni in favore del prossimo. Qui portano, nella millenaria prassi della carità verso il povero e l'infermo, la esigenza di nonviolenza e di giustizia proveniente dai nostri tempi, e la intuiscono come base di ogni discorso di libertà, di rispetto e amore per i diversi, di equa distribuzione delle ricchezze. Questa impostazione politica della carità è una grande novità del nostro secolo, e sollecita dal basso le istituzioni religiose, legate da sempre a interessi e usanze conservatrici. Abbiamo assistito a dibattiti, appelli, reazioni su questi temi anche nelle chiese più vicine a noi.
Assieme a Gandhi, Capitini è il pensatore che ha dato maggiore spessore teorico a questa novità rivoluzionaria di giustizia e nonviolenza come espressione di religione. E' una novità che mette in crisi gli schieramenti interni delle chiese, dove molti esponenti degli apparati, da sempre legati al potere mondano, resistono alla diffusione di una immagine e di una presenza nella società nuove e diverse dalla tradizione. Alcuni grossi personaggi della sinistra e dei laici, disorientati dall'emergere di queste emozioni e di questi problemi, hanno accettato un inizio di dialogo in incontri ad alto livello con qualificati esponenti delle chiese.
Sarebbe scelta migliore quella, mai fatta prima, di stimolare la conoscenza, la riflessione, il dibattito sulle idee di Gandhi, Capitini e Luther King, che insieme a pochi altri hanno dato in questo secolo le uniche risposte moderne alle domande di religione. Risposte che si riassumono in due righe: un religioso non può accettare la violenza della realtà e della società, la violenza dello sfruttamento sugli altri uomini, donne, bambini, la violenza sulla natura; non si può essere religiosi se non si ha un impegno politico per gli altri e con gli altri; un religioso deve essere e agire come un rivoluzionario nonviolento.
L'impostazione di Gandhi, di Luther King e di Capitini, di mettere la nonviolenza al centro della vita religiosa e politica; di passare dalla scelta personale alla nonviolenza attiva per intervenire dal basso e tutti insieme sulla società in difesa della libertà e della giustizia, dei poveri e degli oppressi; è passata nei fatti tra le grandi opzioni dei popoli, alcuni dei quali l'hanno già vittoriosamente sperimentata.
Aldo Capitini, come scrive Bobbio nella prefazione alla ristampa di Elementi di un'esperienza religiosa, "ebbe sempre ben chiaro in mente che l'ideale della nonviolenza, nella tradizione realistica del pensiero politico italiano, era la novità assoluta della sua opera (... ) Molta strada ha fatto anche in Italia l'idea che la nonviolenza non è più un sogno da visionari, un'illusione da spiriti deboli, un'evasione dalla realtà, se non addirittura una stravaganza, che gli spiriti forti non debbono prendere troppo sul serio, ma è un ideale da perseguire senza illusioni, con tenacia, con serietà, con la convinzione che la potenza degli strumenti della violenza è tale da richiedere un mutamento radicale nelle nostre riflessioni sul passato e del nostro modo di andare incontro all'avvenire".
Il silenzio della sinistra su questo ideale è inspiegabile anche guardando ai vasti consensi che nel mondo odierno nonviolenza e pacifismo possono suscitare contro le posizioni della destra, sempre pronta a difendere i privilegi da qualsiasi minaccia con la forza delle armi, con la violenza delle leggi, manipolando al meglio i mezzi di formazione dell'opinione pubblica.
Nel 1997 tutti i Premi Nobel per la pace hanno inviato ai capi di stato del mondo la richiesta che l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite deliberi: "che il primo decennio del nuovo millennio, gli anni 2000-2010, sia proclamato Decennio per una cultura della nonviolenza"; "che l'inizio del decennio, l'anno 2000, sia definito Anno per l'educazione alla nonviolenza"; "che la nonviolenza sia recepita ad ogni livello della nostra società, durante questo decennio, per rendere coscienti i bambini del mondo, con la riduzione della violenza e delle conseguenti sofferenze inflitte a loro e all'umanità, del reale e pratico significato e dei benefici della nonviolenza nella loro vita quotidiana". I Nobel hanno chiesto a tutte le associazioni pacifiste di promuovere campagne di appoggio alla loro richiesta.
In Italia né le associazioni pacifiste né tanto meno la sinistra hanno preso in considerazione questa importante iniziativa: solo alcuni sacerdoti hanno rimproverato alla chiesa di non aver accolto quest'ultimo appello di Madre Teresa, dopo il grande clamore e le lacrime per la sua morte. Tuttavia è probabile che l'ONU accoglierà la proposta dei Nobel: per la prima volta nella storia la nonviolenza forse si presenterà alla ribalta mondiale con tutto il peso politico conferitole dalla comunità dei popoli.
Il primo decennio del 2000 potrebbe fare da spartiacque fra i periodi della nostra storia, se lo vorremo. Quel giorno nell'Assemblea dell'ONU non potranno non essere evocati i nomi di Gandhi, di Luther King, di Capitini.
E' opportuno, oltreché doveroso, che il governo italiano, in cui la sinistra ha un certo peso, approfitti del 1998, trentesimo della morte di Capitini, e del 1999, centesimo della nascita di Capitini, per ricordarsi e ricordare questa grande figura del nostro secolo e presentarsi all'ONU con l'orgoglio della nazione in cui è nato, è vissuto, ha lottato, ha studiato, ha scritto, è morto trent'anni fa Aldo Capitini.


micropolis maggio 1998

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