Il preside Trainito in una foto degli anni 60 del Novecento |
Insegnante di primo pelo,
per avere una cattedra completa al Liceo Classico, scuola che
preferivo, scelsi la sede di Gela, sebbene di quel posto si dicesse
già allora tutto il male possibile. La scuola era allocata lungo il
corso principale, in un decrepito palazzo signorile, quello dei
Pignatelli-Aragona. Il primo anno, 1971/72, avevo un preside sulla
soglia della pensione, un vecchio professore di matematica,
conservatore ma alieno dagli scontri, pronto a tutti quei compromessi
utili ad assicurare un po' di tranquillità in un tempo
nel quale gli studenti contestavano giustamente e duramente la
scuola come specchio di una società ingiusta. Si chiamava Nunzio
Trainito e in caso di sciopero (o di assenza collettiva, come
preferiva dire qualche professore reazionario), ad esempio, si
contentava che all'indomani gli studenti portassero la giustificazione e non stava
troppo a investigare sulla autenticità della firma genitoriale.
Nel suo “vogliamoci
bene” doroteo (era stato democristiano impegnato fino a una diecina
d'anni prima) c'era un elemento di sincerità. Autentica benevolenza
mi sembrava, per esempio, quella che provava per noi insegnanti
giovani. Ricordava: “Sono stato anch'io giovane insegnante. Mia
moglie ed io avevamo due stipendi; eppure per mettere su casa, per
crescere i due figli che subito arrivarono, dovevamo stringere la
cinghia. Ora che i figli sono cresciuti e ottimamente sistemati, ora
che sono solo, guadagno troppo e non so come spenderli!”.
Sosteneva che bisognava pagare di più i giovani: gli scatti di
anzianità – verso il basso - sarebbero consistiti, passata una
certa età, in una piccola diminuzione dello stipendio. La
conclusione della tiritera era obbligata: spediva il vecchio e scorbutico bidello Cidonelli al bar di fronte, ad ordinare il caffè per tutti i giovani docenti presenti in
sala dei professori.
Senza lunghe attese ce li portava un biondino, forse tredicenne, il figlio del padrone del bar. Credo che si chiamasse Cuciuzzu, che lì è il diminuitivo di Crocefisso.
Senza lunghe attese ce li portava un biondino, forse tredicenne, il figlio del padrone del bar. Credo che si chiamasse Cuciuzzu, che lì è il diminuitivo di Crocefisso.
Io non ho frequantato quella scuola sono entrato più tardi ma ho ricordi di Gela, i miei genitori erano orginari di tanti Nele cuciuzzu, cecè, e di un paese che subiva l'onda d'urto terrificante dell'industrializzazione allora dello stabilimento ANIC.
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