17.12.15

Scuola di Rozzano, tra ignoranza e manipolazione (Alba Sasso)

Maria Stella Gelmini canta "Tu scendi dalle stelle"
La cosa più surreale a cui ci è capitato di assistere a seguito della vicenda di Rozzano è Maria Stella Gelmini, ex ministro dell’istruzione della Repubblica italiana, che canta «Tu scendi dalle stelle» davanti alla scuola.
In quella scuola dove nessuno ha rimosso crocifissi, o cancellato eventi programmati, come pacatamente ha spiegato il dirigente. Solo un rifiuto legittimo alla richiesta di alcune mamme che chiedevano di entrare a scuola nell’intervallo del pranzo per insegnare le canzoncine religiose ai bambini.
E dunque la canea davanti alla scuola con madri che agitano una statua del bambinello, o chiedono l’intervento di Salvini (come rappresentante della cristianità?), o accusano i musulmani di essere tutti terroristi la dice lunga sullo stato di confusione, che mescola paura e ignoranza, di una parte non piccola del nostro paese. Rinfocolata dallo stupido cinismo di alcuni esponenti politici, e dall’abitudine a rimestare nel torbido dei sentimenti popolari più rozzi di una parte importante dell’informazione, soprattutto televisiva, assolutamente indegna di svolgere questo ruolo.
Qualche settimana fa abbiamo pensato di vivere in un’altra Italia, in un altro mondo. Quando tutti hanno rispettato e applaudito la scelta dei genitori di Valeria Solesin di volere una cerimonia civile (non laica) per rendere l’ultimo saluto alla loro figlia. Un’occasione straordinaria di incontro e di condivisione tra storie, culture, religioni. Una speranza di futuro.
È una questione di cultura. Nella nostra scuola gli alunni con cittadinanza non italiana sono una forte presenza, anche se non uniformemente distribuita. Concentrata in alcune zone del Paese, soprattutto nel centro nord. Le statistiche ci dicono che di quel 9% complessivo di bambini e ragazzi, presenti in ogni ordine di scuola, ma soprattutto nella scuola dell’infanzia e nella primaria, il 47% è nato in Italia. Ci dicono anche che il loro apprendimento scolastico continua a migliorare, che parlano bene la lingua italiana, ma non rinunciano alle loro tradizioni, insomma alla loro identità.
Ma la gestione dell’integrazione (un obbligo di civiltà, diceva Ernesto Balducci) è affidata alle trincee. E guai a sbagliare. Ministri e giornalisti illuminati hanno sostenuto il valore potente dell’educazione per realizzare l’integrazione tra culture, ma soprattutto il legame con i propri simboli a cominciare dal presepe. Occorrerebbe però andare più avanti. Come più avanti è la scuola reale, perché ogni giorno deve affrontare questi problemi. Giusta o sbagliata che sia la scelta del preside Palma, Rozzano è solo la punta di un iceberg. Perché la scuola italiana , che è ancora nella sua struttura profonda scuola a una dimensione culturale e religiosa, ogni volta che si presenta un problema di “diversità” deve affrontare le paure e le insicurezze proprie, ma soprattutto delle famiglie. Basti pensare a cosa è successo sul tema “gender”.
Ma da quanto tempo si chiede di introdurre nelle scuole lo studio delle religioni che significherebbe offrire strumenti di conoscenza, di riflessione, di confronto? Sarebbe tempo di farlo, perché ormai nelle nostre scuole bambine e bambini, ragazze e ragazzi, soprattutto in territori di forte immigrazione, incontrano altre realtà, altre vite, altre religioni. E il non detto, il non nominato torna in termini di diffidenza e di incomprensione.
Abbiamo bisogno di costruire una cultura del rispetto che vada anche di la’ della tolleranza –che comunque è la supremazia di un punto di vista-, che diventi cultura diffusa e sentimento popolare. Di integrazione non come carità e misericordia ma come riconoscimento dell’altro da sé, come necessità di un confronto continuo, della reciprocità per garantire a ognuna e ognuno il diritto all’identità religiosa, filosofica e culturale.
Confronto e comprensione: gli strumenti più efficaci per la lotta all’estremismo, al fanatismo religioso e al fondamentalismo. «Tra uccidere e morire, c’è una terza strada: vivere».


“il manifesto”, 2 dicembre 2015

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