8.2.16

Aldo Capitini. Libero religioso, rivoluzionario nonviolento (L. Binni – M. Rossi)

Con il n.1 de “Il Ponte”, la prestigiosa rivista fiorentina, è stato diffuso nelle librerie un volumetto dei Classici della casa editrice della Rivista che contiene due scritti di Aldo Capitini, Attraverso due terzi di secolo e Omnicrazia: il potere di tutti, gli ultimi, credo, di una vita operosa. Contemporaneamente, nella collana Grandi Opere dello stesso editore, con il titolo Un'alta passione, un'alta visione esce una corposa selezione che copre il periodo dal 1935 al 1968, l'anno della morte del pensatore perugino.
È una scelta coraggiosa e importante che, nelle intenzioni dei promotori, non dovrebbe soltanto sollecitare l'attenzione degli studiosi e riaprire il dibattito su Capitini, ma orientare una nuova stagione di impegno politico rivoluzionario, in un tempo in cui il massiccio ritorno delle oligarchie e della guerra sembra riportare il mondo indietro.
Curatori di entrambi i volumi sono Lanfranco Binni e Marcello Rossi, dei quali riprendo qui la prima parte della prefazione al volumetto dei Classici. (S.L.L.)

Nell’agosto 1968, due mesi prima dell’operazione chirurgica che ne provocherà la morte il 19 ottobre, Capitini affida allo scritto autobiografico Attraverso due terzi del secolo la sintetica ricostruzione del suo percorso esistenziale, intellettuale e politico. Tra la primavera e l’estate dello stesso anno ha tentato una sintesi del suo pensiero politico nello scritto Omnicrazia: il potere di tutti, riproponendosi di lavorarci ulteriormente dopo l’operazione; non potrà farlo, ma lascerà un testo tutt’altro che incompiuto che è il risultato di un’esperienza quasi quarantennale di elaborazione teorica e di organizzazione politica, dall’antifascismo «liberalsocialista» degli anni trenta agli esperimenti di democrazia dal basso nell’immediato dopoguerra, alla decostruzione dell’ideologia cattolica, alla «rivoluzione nonviolenta» negli anni cinquanta, alla teorizzazione della «compresenza», della democrazia diretta e dell’«omnicrazia» negli anni sessanta.
I temi di Capitini, rimossi e deformati già nell’immediato dopoguerra, sono oggi attuali, da conoscere, da studiare e da sviluppare. Sono da riprendere le sue ricerche sulla «complessità» della realtà, sulla «compresenza» delle molte dimensioni del reale (il presente e il passato, la vita e la morte) in ogni singola esistenza; i suoi esperimenti di «nuova socialità» per una società di massimo socialismo e massima libertà, oltre le derive stataliste-staliniste e le imposture liberal-proprietarie; la sua costante polemica anticattolica per liberare la dimensione spirituale-mentale dai poteri confessionali; la sua prospettiva del «potere di tutti» come orientamento politico per il presente, contro i poteri oligarchici, politici, economici e culturali.
Al centro dell’intera esperienza umana, intellettuale, poetica, pratica di Capitini c’è la politica, una concezione della politica come intreccio di etica e creazione del valore, tensione alla trasformazione, alla liberazione rivoluzionaria della realtà. Tutti gli scritti di Capitini sono intimamente politici: è politica la sua elaborazione filosofica della «compresenza», è politica la sua poesia che nomina la realtà liberata qui e subito, è politica la sua libera ricerca religiosa, è più che politica la sua concezione della politica, è più che socialista la sua concezione del socialismo, è più che libertaria la sua concezione della libertà.
Questa concezione della politica prende corpo alla fine degli anni trenta quando Capitini dà vita al movimento liberalsocialista. Ma “liberalsocialismo” oggi è concetto “ambiguo”, di difficile interpretazione in quanto evoca due idee opposte: “liberalismo” e “socialismo”. Sono idee che possono convivere? Sì, se si torna agli anni del fascismo, agli anni, cioè, in cui dichiararsi “liberali” era un modo per affermare il proprio antifascismo (e al proposito la lettura di Kant è sintomatica); no, se con “liberale” si vuole mettere in luce l’affermarsi, nella storia dell’Occidente, delle teorie del capitalismo. Nel liberalsocialismo, alcuni vorrebbero che il socialismo intervenisse a temperare la durezza delle leggi del capitale; altri che il liberalismo temperasse la durezza del socialismo. In definitiva, che si tratti di “moderare” il liberalismo o il socialismo, il liberalsocialismo sarebbe comunque un movimento “moderato”. Ma non è questa l’idea di Capitini: in lui quel “liberal” di liberalsocialismo non deriva da “liberale” ma da “libertà”. Lo aveva già intuito Walter
Binni che poneva al centro del liberalsocialismo la «libertà nel socialismo»: un modo per affermare l’equivalenza tra liberalsocialismo e socialismo libertario.
Ma non è stata questa l’interpretazione degli storici i quali, invece, sulla scia di Bobbio, hanno fatto coincidere il liberalsocialismo con il socialismo liberale di Carlo Rosselli e con la storia del Partito d’Azione. Socialismo liberale e liberalsocialismo sono divenuti così una variante puramente etimologica, ma con lo stesso contenuto e lo stesso impianto filosofico.
Eppure già Paolo Vittorelli, che fu membro attivo di Giustizia e Libertà a Parigi e in Italia, ricordava, a proposito delle differenze tra socialismo liberale e liberalsocialismo, che furono fili tenui quelli che legarono Giustizia e Libertà al liberalsocialismo, invisibili anche a chi abbia vissuto le esperienze di quegli anni.
“Quando [...] ricevetti il mandato, a Parigi nel ’38, dai miei compagni [...] di venire in Italia a ristabilire certi contatti, i nomi che mi furono dati erano i nomi dei vecchi giellisti, ma non erano i nomi dei nuovi liberalsocialisti. Quelli li scoprii in Italia, li scoprii indirettamente, quando purtroppo ero già bruciato e sul punto di essere arrestato dalla polizia. Non potei quindi andarli a trovare per non far loro subire la stessa sorte. Ma di Guido Calogero, di Aldo Capitini ne sentii parlare qui nel 1938, perché a Parigi, con Rosselli già morto (ed anche lui non ne aveva mai sentito parlare), non se ne sapeva nulla: né Lussu, né Cianca, né Garosci, né Venturi”.
Capitini comunque non ha dubbi sulla valenza del liberalsocialismo: è la forma più consona al socialismo del XX secolo. Lo puntualizza ripercorrendo la nascita del movimento: “Dopo qualche mese che i miei Elementi erano usciti (nel dicembre 1936) Walter Binni mi disse: «Perché, sulla base di ciò che hai scritto negli Elementi, nell’ultima parte specialmente, e indipendentemente dal lato religioso, non cerchi di stabilire una collaborazione precisa di vero e proprio Movimento?». Riflettei sulla proposta, e concretai alcuni punti schematici, che erano fondati sull’esperienza che avevamo fatto durante il fascismo, che poteva riassumersi cosi: siamo socialisti, ma non possiamo ammettere il totalitarismo burocratico statalistico; siamo liberali, ma non possiamo ammettere il dominio del capitalismo che è nel liberismo. [...] Questa vita della «libertà» era da vedere come intrinseca al socialismo stesso [...]. Socialismo voleva dire l’avanzare della classe lavoratrice con i suoi giovani e la sua sete di cultura; insomma doveva venire, al posto dello Stato cattolico-borghese, uno Stato intellettual-popolare”.
E Walter Binni è sulla stessa lunghezza d’onda: “Per Capitini e per alcuni di noi, diversamente da altri, il liberalsocialismo non era un contemperamento di liberalismo e socialismo, ma la strutturazione di una società radicalmente socialista entro cui riemergesse una libertà anch’essa nuova e ben diversa dalla libertà formale e ingannevole dei sistemi liberal-capitalistici. Il nostro liberalsocialismo aveva al centro il problema della «libertà nel socialismo» e non quello social-democratico del «socialismo nella libertà»”.
Dunque in Capitini liberalsocialismo non è un incontro neutro tra liberalismo e socialismo ma è socialismo che finalmente supera le posizioni stataliste e amministrativo-burocratiche del passato. “Secondo me il liberalsocialismo deve essere il lievito della trasformazione sociale e una luce critica gettata sulle posizioni di sinistra; per la trasformazione sociale, in quanto la sintesi continuamente voluta di libertà e di socialismo è l’elemento dinamico che sovverte ogni irrigidimento e conservatorismo e arresto nel privilegio e nel pregiudizio (e assolutismo, imperialismo, capitalismo); critica dei partiti di sinistra, perché questi, come sono attualmente, risalgono a principi e a mentalità non più sufficienti e adeguate al punto storico di maturazione della civiltà. Non sentono, i socialisti e i comunisti stessi, che bisogna tendere al «partito nuovo», che bisogna essere diversi da come l’ideologia e la prassi sono state nel passato o sono altrove? E ancora, quando si attuassero politicamente, ecco il liberalsocialismo a dire che il rinnovamento è più che politico, e che la crisi odierna è anche crisi dell’as-solutizzazione della politica e dell’economia. Se lo spirito del liberalsocialismo è questo, [...] la sua differenza con la democrazia è evidente. [...]
Il liberalsocialismo [...] dovrà far di tutto per portarsi in mezzo alle moltitudini e volgerle [...] alla libertà. Per far questo bisogna assimilare pienamente l’esigenza socialista, cioè la compresenza reale dell’umanità lavoratrice, come soggetto della storia, come proprietaria dei mezzi di produzione, come avente nei suoi membri uguali possibilità di benessere, di sviluppo, di cultura, di fruizione dei beni della civiltà. Assimilata in pieno questa base socialista, non si deve restare in essa, che può correre il rischio di stabilire un totalitarismo amministrativo, e bisogna perciò far vivere il valore della libertà, cioè intima tensione alla produzione dei valori, del Bello, del Vero, del Buono, quella tensione a uno sviluppo non semplicemente fisico, ma nel dramma del miglioramento, nell’affisarsi agli atti di bontà, di verità, di bellezza, in cui l’umanità lavoratrice si eleva e si fa eterna. II socialismo, presenza effettiva del coro; la libertà, continuo punto di arrivo, cioè melodia del coro stesso. Il socialismo come effettiva democrazia non solo politica, ma anche economica; la libertà come liberazione spirituale”.
È la «libertà nel socialismo» l’elemento fondante del liberalsocialismo, ed è ancora la libertà nel socialismo che darà corpo all'omnicrazia: quel “potere di tutti” che rappresenta l’ultima elaborazione politica di Capitini.
Nella fase attuale della crisi della «democrazia liberale» (il sintomo) e della crisi strutturale del capitalismo (la malattia), della guerra globale e della devastazione del pianeta, i temi di Capitini («democrazia diretta, omnicrazia, compresenza, realtà liberata») affermano oggi la loro urgenza teorica e di orientamento per la prassi rivoluzionaria.


Da Attraverso due terzi di secolo – Onnicrazia: il potere di tutti, Il Ponte Editore, 2016

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