2.2.16

Libere professioni. La guerra dei trentenni (Giuliana De Vivo)

Da “pagina 99” recupero gran parte di un articolo di Giuliana De Vivo, a mio avviso utilissimo per orientarsi su un importante problema sociale. (S.L.L.)

«Perché non scendiamo a protestare in piazza? Forse perché siamo impegnati a nuotare per restare a galla». Mirko Ramacciotti ha 34 anni, fa il geometra a Pietrasanta da dieci. Dice di sentire «di non arrivare mai, ma almeno sono partito». Marianna Violato, 31enne di Ercolano, una laurea in Giurisprudenza con 110 e lode, da quattro anni fa quello che ha sempre sognato: l’avvocato. Eppure l’anno scorso ha partecipato a un concorso pubblico. Mirko e Marianna sono due delle oltre 100 mila nuove partite Iva under 35 aperte ogni anno. Avamposto della generazione più segnata dalla crisi.
I trentenni come loro non hanno recuperato occupazione nell’anno del Jobs Act, e ora fanno i conti con il nuovo Statuto del lavoro autonomo: per capire se contiene armi vincenti nella guerra quotidiana per reddito, malattia, pensione.
Mirko e Marianna hanno conosciuto un prima e un dopo: sono stati adolescenti speranzosi, che sognavano condizioni più agiate di quelle dei genitori, e hanno visto la Grande Recessione prendere a picconate il castello. Vivono sulla propria pelle un mondo del lavoro in perenne trasformazione, hanno fatto il callo a entrarci più tardi, con più difficoltà, pagati meno. Rispetto ai tempi del suo tirocinio, Mirko constata che quello del geometra «non è più un mestiere in cui ci si arricchisce: oggi devi essere tu a trovare la soluzione, navigare tra le difficoltà». L’edilizia è stata investita in pieno dalla crisi Lehman, adesso con la paura legata agli scandali bancari si subodora un po’ di ripresa: «La gente torna a investire sulle case», così lui, fresco di separazione, un bimbo di 5 anni e il mutuo sull’ufficio da pagare, si barcamena.
Marianna, invece, di barcamenarsi si è un po’ stancata. «Devo fare i conti col fatto che se voglio una vita mia, senza fare la mantenuta di un futuro marito, mi serve qualcosa di più stabile», ammette. «Amo il mio lavoro, e rifarei lo stesso percorso di studi, ma la verità è che siamo nati nella generazione sbagliata: noi avvocati siamo davvero troppi rispetto alla domanda. E l’incertezza non mi faceva dormire la notte». Per tornare a poggiare serenamente la testa sul cuscino ha tentato il concorso al ministero dell’Economia: è andato bene, ora aspetta di essere chiamata («ma ci vorrà tempo, visto il blocco del turn over per riassorbire i dipendenti pubblici in esubero dopo l’abolizione delle province»). Intanto continua a girare tra aule e cancellerie, e nella sua città ha messo su con un collega anche uno sportello per la consulenza gratuita a chi ha redditi bassi. «Non riuscirei a fare nulla di tutto questo», prosegue, «se non potessi contare sull’aiuto dei miei genitori. E secondo me non è vero che i giovani non sognano più il posto fisso: ai concorsi vedo tantissimi avvocati. L’idea dello stipendio sicuro, alla fine, attira tutti».

Mille euro
I mileuristas, come li definì per la prima volta il quotidiano spagnolo El País nel 2006, dieci anni fa in Italia avevano un reddito medio di 22.121 euro lordi all’anno, oggi di 23.586. Passi tanto piccoli da essere irrilevanti al netto dell’inflazione, che ci collocano in basso nella classifica europea: l’indagine condotta a maggio 2015 dall’osservatorio JobPricing incrociando dati Eurostat e Ocse rivela che nella fascia di età 25-34 un coetaneo svizzero porta a casa il doppio (48.100 euro), uno svedese 36.200 euro, un olandese 29.400 euro. Inglesi, tedeschi e francesi guadagnano tra i duemila e i mille euro in più, mentre più esigue delle retribuzioni degli under 35 italiani sono quelle spagnole, greche, portoghesi, ceche, polacche e ungheresi. Per chi un lavoro ce l’ha, s’intende: nell’anno in cui le imprese hanno ricevuto incentivi corposi alle assunzioni, il lavoro giovanile non è cresciuto; l’Eurostat racconta che nella fascia d’età 25-34 anni l’Italia quanto a occupazione sta messa peggio di Germania, Francia e Spagna. Al contrario, gli incentivi sembrano aver avvantaggiato le generazioni successive – insieme all’allungamento dell’età della pensione. Le magnifiche sorti del contratto a tutele progressive, per ora, riguardano molto di striscio i trentenni. Che in più si sono sentiti vaticinare dal presidente dell’Inps Tito Boeri che andranno «in pensione a 75 anni e con assegno ridotto del 25%».


A partita Iva
Per quelli come Mirko e Marianna è ancora più difficile. Non percepiscono lo stipendio a fine mese: sono lavoratori autonomi, per necessità o per orgogliosa scelta di vita. Puntini nella galassia delle Partite Iva, in cui rientrano anche piccoli imprenditori artigiani o agricoli e commercianti. Su circa 4 milioni e 780 mila autonomi in Italia, negli ultimi anni il record delle nuove aperture appartiene agli under 35: tra gennaio e agosto 2015 sono state 109.680, quasi un terzo del totale (347.315). Aggrappati al regime dei minimi, che prevede l’aliquota sostitutiva del 5% entro la soglia massima di reddito di 30 mila euro. E quasi la metà sono liberi professionisti. Che difendono i nostri diritti nelle aule di tribunale, progettano le case in cui andiamo ad abitare. Traducono i libri che leggiamo, scrivono le sceneggiature dei film che guardiamo. Oppure sono le mani a cui ci affidiamo se abbiamo problemi di salute, persino quelli che richiedono interventi ben più complessi che mandar giù una pillola.

Il nuovo statuto
Il loro mondo è investito per la prima volta da una riforma che lo riguarda nello specifico: il cosiddetto Jobs Act del lavoro autonomo, disegno di legge approdato in Consiglio dei ministri giovedì 28 gennaio come collegato alla legge di stabilità. Frutto di un confronto tra la politica e le principali associazioni dei professionisti autonomi, contiene misure a lungo attese: la nullità di clausole che allunghino i tempi di pagamento oltre i 60 giorni, la possibilità di partecipare ai bandi pubblici e dei fondi strutturali Ue e di dedurre le spese di formazione, anche presso enti non accreditati. E soprattutto, riconosce ai freelance alcune tutele sanitarie. La maternità, senza vincolo dell’astensione obbligatoria: le professioniste autonome potranno percepire l’indennità continuando a lavorare, organizzandosi sui tempi di consegna. Dopo essere entrata e uscita più volte dalle bozze, mentre scriviamo risulta confermata anche la norma che riconosce la malattia grave, sebbene solo sotto il profilo dell’esenzione dalla contribuzione: se un freelance, per esempio dopo una seduta di chemioterapia, torna a casa e non ha la forza di lavorare, avrà il diritto di sospendere il pagamento dei contributi previdenziali. «In linea generale è un buon primo passo per garantire tutele di base ai lavoratori», commenta Anna Soru, presidente di Acta, l’associazione dei professionisti che non appartengono ad alcun ordine. Restano altre questioni aperte, sul fronte contributivo («vorremmo essere allineati a commercianti e artigiani, con un’aliquota al 24%, mentre noi oggi siamo al 27,72% e ogni anno ci troviamo a dover chiedere il blocco dell’aumento progressivo previsto dalla legge) e degli ammortizzatori sociali. «Sono 10 anni che verso alla gestione separata dell’Inps, non mi sembra giusto che se resto senza lavoro non ho diritto a un’indennità di disoccupazione», sbotta Francesca Rossi, grafica editoriale. E aggiunge: «Io non mi sento affatto precaria, lavoro anche 12 ore al giorno. Ma non credo che quanto previsto dal nuovo Statuto basti a decidere di fare un figlio: se uno dei due della coppia non è dipendente, oggi è dura».

Professionisti liberi?
Lo statuto cambierà assai poco la vita di quelli come Mirko e Marianna. Il Jobs Act degli autonomi si rivolge anche ai professionisti iscritti agli ordini, ma li esclude sul fronte previdenziale, per il quale restano in vigore le regole delle singole casse di appartenenza. Che pesano, specie sul bilancio di un professionista a inizio carriera: la Cassa forense – alla quale ora è obbligatorio iscriversi per esercitare – per la fascia di reddito fino a 10 mila euro chiede almeno 850 euro all’anno, garantendo sei mesi di anzianità contributiva. Non una cifra da nulla, specie se, come mostra una ricerca dell’Isfol (si veda il grafico a pagina 2), ormai i redditi degli autonomi sono quasi allineati a quelli di un dipendente medio: i grossi avvocati, medici, architetti sono relegati a una nicchia.
La realtà ha più spesso il volto di Leonardo, neurochirurgo di 32 anni che ha tenuto il bisturi in decine di sale operatorie. Laureato in medicina a 23, in cinque anni e una sessione, si è specializzato tra Pozzilli – vicino Isernia, dove sorge uno dei più grandi istituti di neurochirurgia italiani –, Milano, Roma, Manchester e Los Angeles, dove con un suo progetto di ricerca ha vinto – unico italiano tra altri nove medici da tutto il mondo – una fellowship internazionale. «Il cognome non scriverlo, se un paziente sa che lavoro a partita Iva lo percepisce come dequalificante», dice, «ho fatto anche un corso su come gestire la mia immagine». I clienti se li procura da solo, li opera in ospedali pubblici – «dove sono moltissimi i medici a partita Iva, giovani ma anche 50enni» – o in cliniche private: in questo caso guadagna una percentuale sull’equivalente del Drg, il rimborso della sanità pubblica. Di spese, anche nei mesi in cui guadagna bene, ne ha: oltre all’Iva c’è l’Enpam (la Cassa dei medici), e l’assicurazione obbligatoria contro le denunce «per cui se ne vanno altri mille euro al mese». Leonardo il posto fisso non ce l’ha perché negli ultimi 10 anni per la sua specializzazione non è stato bandito nessun concorso. Tranne uno a fine gennaio, a Trieste: «Era per un solo posto, quasi certamente già assegnato; tra costi di viaggio e permanenza non mi sarebbe convenuto andarci». Ha avuto altre proposte di lavoro allettanti, una a Sheffield, per 35 mila sterline all’anno, «ma voglio restare in Italia, non subire gli eventi e basta». E allora la domanda torna: cosa fanno i 30enni per non subire gli eventi e basta? «Purtroppo penso che ognuno si preoccupi solo del proprio orticello, sia tra avvocati, sia nelle altre categorie», riflette, amara, Marianna. Leonardo è più filosofico: «Nel nostro sistema ci sono quelli che stanno molto bene e quelli che stanno molto male. Ma quelli che stanno molto male non vogliono fare la rivoluzione, che è sempre un’incognita, vogliono prendere il posto di quelli che stanno molto bene. E ci provano in tutti i modi, anche furbi e illegali».


Pagina 99 we, 30 gennaio 2016

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