17.3.16

Il ritorno del vermut (Martina Liverani)

Compie 230 anni la ricetta del vino aromatizzato messa a punto nel 1786 alla liquoreria di Piazza Castello di Torino da Antonio Benedetto Carpano, che miscelò il vino moscato di Canelli e un mix segreto di spezie tra cui predominava l’assenzio (vermut deriva dal tedesco Wermut, termine che indica la pianta dell’artemisia maggiore, con cui si ottiene appunto l’assenzio). Il risultato fu una bevanda dalla bassa gradazione alcolica (tra i 14, 5 e i 21 gradi), che presto divenne l’aperitivo torinese per eccellenza quando ci si incontrava all’“ora del vermut” per un bicchierino defatigante, qualche chiacchiera e confidenze prima di cena.
Mentre la bottega Carpano si trasformava in un’industria, il vermut (o vermouth, alla francese) si diffuse in Europa, poi negli Stati Uniti e nel mondo, facendo la fortuna di aziende come Martini, Cinzano o Gancia. Si gustava liscio o come ingrediente dei miscelati più bevuti negli anni ’20 e ’30: Negroni, Americano, Manhattan e il celeberrimo Martini Cocktail, adorato da Truman Capote e Cole Porter, da Dorothy Parker e Francis Scott Fitzgerald, oltre che da Hemingway, convinto – si dice – che la riuscita di un Martini dipendesse dal vermut (poco, ma buono).

No vermut artigianale, no party
Oggi che il mito del vermut è risuscitato, dopo anni di offuscamento causato dalle mode dei long drink tutti ghiaccio e dolcezze, il più evoluto dei fanatici del Martini Cocktail non si limiterà a chiedere al barman quante parti di vermut miscelare con il gin, ma esigerà un certo tipo di vermut tra quelli in commercio, il più affine ai suoi gusti. Si parla infatti di nuova generazione di vermut, a proposito dei tanti prodotti artigianali, casalinghi o d’autore che compaiono ovunque, rivisitando la ricetta antica in un vermut contemporaneo.
Ogni vermut artigianale ha la sua ricetta e spesso sono i barman a metterla a punto, com’è stato per il Vermut del Professore, prodotto dalla distilleria piemontese Quaglia (distilleriaquaglia.it) in collaborazione con il Jerry Thomas Project, lo speakeasy capitolino, regno dei miscelati, cui si accede con una parola d’ordine.
A Torino, la nuova generazione di vermut si chiama Anselmo: quattro ragazzi hanno rivisitato la storica ricetta del 1854 del liquorista Carlo Anselmo (vermouthanselmo.com). L’azienda astigiana di spumanti Cocchi ha festeggiato i suoi 120 anni riproponendo lo Storico Vermouth di Torino fatto seguendo la ricetta originale del fondatore Giulio Cocchi (cocchi.it). E produttori artigianali come Mauro Vergano sperimentano con i chinati (chinativergano.it). Anche l’alta ristorazione lo presenta come aperitivo: al ristorante Combal.zero di Rivoli, per esempio, la cena si apre con un calice di vermut Martelletti condito con scorzetta di limone.
Prodotti naturali, grande attenzione alla qualità delle materie prime, i vermut d’oggi incontrano le esigenze dei nuovi bevitori, sempre più attenti e disponibili a sperimentare. Ne sa qualcosa Oscar Quagliarini, bartender con una formazione da profumiere e una predilezione per l’utilizzo dei prodotti naturali, autore di Oscar697, linea di vermut (rosso, bianco, extra dry) dalla forte caratterizzazione aromatica (oscar697.com).
Il vermut trova poi sempre più spazio tra le linee di produzione delle cantine vinicole anche in territori non tradizionalmente vermuttisi: in Romagna, alla Tenuta Saiano (tenutasaiano.it), il liquorista profumiere Baldo Baldinini e l’enologo Francesco Boldrini hanno messo a punto le ricette di Clementino e Demos: un dry vermut e un rosso che riportano in etichetta l’annata del vino con cui sono prodotti. «Mi piace partire da un vino specifico e su quello studiare gli accordi aromatici e tessere una ricetta», dice Baldo. Ma non svela il mix di spezie: «Nessun profumiere liquorista lo farebbe mai». Neanche all’ora del vermut.


Pagina 99 we, 23 gennaio 2016

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