17.3.16

Le origini delle BR e della lotta armata (da “Piombo rosso” di Giorgio Galli)

Renato Curcio
Il primo episodio di lotta armata a sinistra è del 5 ottobre 1970: sequestro dell’imprenditore Gadolla, a Genova, a opera del gruppo XXII Ottobre (dal giorno della data di fondazione, nel 1969, per iniziativa di giovani - come il leader Mario Rossi - iscritti o provenienti dal Pci). I primi gruppi clandestini sono del 1969. Il contesto nel quale matura la lotta armata risale ai primi mesi di quell’anno, dopo gli scioperi (metalmeccanici, edili, chimici) per i contratti e le tensioni sociali che percorrono tutto l’anno, conclusosi con la strage di piazza Fontana (12 dicembre 1969). Tale lotta si manifesta con continuità sino a metà febbraio del 1982, con lo smantellamento delle Brigate Rosse dopo il sequestro Dozier (i superstiti delle Br ne dateranno la «ritirata strategica»): una dozzina d’anni di lotta armata di sinistra sono un fatto unico nel panorama europeo (le guerriglie basca e irlandese sono altri e diversi fenomeni).
Tale durata è dovuta a due ragioni: un parziale insediamento sociale da un lato; e, dall’altro, la strumentalizzazione da parte di soggetti dell’establishment, interessati al perdurare di una situazione di instabilità che sarebbe dovuta sfociare in una stabilizzazione politica moderata; risultante, tuttavia, di difficile conseguimento, nelle varie fasi dell’intero periodo.
In questo contesto, fra tutti i gruppi armati sono le Br a esprimere una continuità che ha una doppia valenza: da un lato, la più che decennale difficoltà nell’applicazione di quel progetto di stabilizzazione; dall’altro, la capacità dell’organizzazione di durare per l’intero periodo, a partire dai primi volantini con la firma al singolare («Brigata rossa», nell’aprile 1970, soprattutto nel quartiere popolare milanese del Lorenteggio, particolarmente nell’anniversario della Liberazione, il giorno 25) sino al citato febbraio del 1982. Da allora, per oltre un ventennio, la lotta armata ha continuato a gravare, come un’ombra, sulla politica, per i misteri non chiariti, per le polemiche non sopite, per qualche attentato lungo gli anni Ottanta, sino a ricomparire, in forma sporadica con gli omicidi D’Antona (maggio 1999) e Biagi (marzo 2002).
In una forma o nell’altra, come realtà o come preoccupazione, la lotta armata si presenta come un fenomeno che investe oltre un terzo di secolo della storia italiana. Un fatto unico, ancora una volta, in Europa e in Occidente, che sembra perdurare oltre eventi epocali, che cambiano il mondo, dall’implosione del sistema imperiale sovietico, alla globalizzazione, all’11 settembre 2001, quando sembra lontanissimo quell’Estate 1969 (titolo di un opuscolo di Giangiacomo Feltrinelli, edito nel luglio di quell’anno) nel quale si legge di «definitivo tramonto non solo del revisionismo, ma anche dell'ipotesi che si possa compiere una rivoluzione socialista senza la critica delle armi».
Si può considerare, questa, la prima enunciazione della inevitabilità della lotta armata per la «rivoluzione socialista» una prospettiva per il futuro che (...) riceve un’accelerazione dalla strage di piazza Fontana, interpretata come una conferma dell'altro saggio di Feltrinelli Persiste la minaccia di un colpo di Stato in Italia, pubblicato nell'aprile 1968 e poi, con lievi modifiche, nel n.III del periodico «La sinistra».
L’influenza della strage sull'evoluzione del Collettivo politico metropolitano, incubatrice delle future Br, è descritta da Renato Curcio, uno dei fondatori di entrambi: «Nel Collettivo, con sede in un vecchio teatro in disuso in via Curtatone, si cantava, si faceva teatro, si tenevano mostre di grafica. Era una continua esplosione di giocosità e invenzione. Con la strage il clima improvvisamente cambiò» (... )
Curcio fermato già il pomeriggio di piazza Fontana, ben conosciuto e rilasciato senza neanche essere interrogato, è il segno che gli apparati di sicurezza stanno seguendo la situazione; il salto dal Collettivo all’ipotesi di lotta armata testimonia di un suo parziale ma esistente insediamento sociale. Sono, come già detto, i due fattori che intrecciandosi formano la chiave interpretativa del terrorismo nostrano, e che, da piazza Fontana in poi, accompagneranno la storia delle Br.(...)
Ma la lotta armata delle Br non comincia, «oggi e qui» (...) Occorrerà attendere il settembre successivo. Le precedono i Gap di Feltrinelli. Già ricercato, egli lascia l'Italia. Si succedono vari commenti sulla sua clandestinità, come nel caso dell'Espresso che, in un articolo di inizio gennaio '70, gli muove una severa critica: «Da 26 giorni la polizia lo sta cercando. Il suo dovere sarebbe quello di presentarsi davanti a un magistrato o davanti al questore di Milano, chiarendo così la sua posizione. C'è chi dice che rifiuta questa soluzione per il prepotente desiderio di giocare alla rivoluzione. Sarebbe un'inclinazione assurda e anche pericolosa». (...)
Feltrinelli non si presenta, assume in clandestinità il nome di Osvaldo Ivaldi (che era stato di Giovanni Pesce, non si sa «se gli fosse venuto per caso o l’avesse fatto apposta»). Pensa a basi di guerriglia in Sardegna (si parla di contatti col romantico bandito Graziano Mesina) e sull’Appennino, tra Emilia e Liguria; e intanto i suoi Gap, organizzati da Giuseppe Saba, incendiano a Genova la sede del Psu (Partito socialista unificato, erede di Saragat) il 24 aprile (anniversario dell’insurrezione della città contro i tedeschi) e la sede del consolato degli Stati Uniti (3 maggio). Curcio ricorda che in quel periodo «una certa “presenza armata” cominciava a farsi strada nel movimento e spuntavano i primi gruppi armati: come il XXII ottobre a Genova e i Gap di Feltrinelli». Il quale, nel numero di luglio del suo mensile “Voce comunista” (che, non a caso, riprende la testata del giornale della federazione milanese del Pci degli anni Cinquanta) scrive o fa scrivere: «L’attacco irregolare (guerra di guerriglia, lotta di popolo) delle avanguardie armate del proletariato (è parte) dell’esercito internazionale del proletariato (con) avanguardie strategiche rivoluzionarie (Asia, Africa, Sudamerica), il grosso delle forze dell’esercito rivoluzionario (Vietnam e Corea del Nord), la prima riserva strategica rivoluzionaria (Cina) e il grosso della riserva strategica rivoluzionaria, la gloriosa Armata rossa dell’Urss e gli eserciti del Patto di Varsavia».
Si tratta di una visione che omogeneizza il quadro militare, in realtà molto più variegato, di quello che allora si definiva «campo del socialismo» e che il movimento nato dal «Sessantotto» valutava in modo assai più critico, così come i fondatori delle Br in formazione (Curcio, Giorgio Semeria, Margherita Cagol da Trento; Alberto Franceschini, Tonino Paroli e Prospero Gallinari, usciti dalla federazione giovanile comunista di Reggio Emilia). Trascorre l’estate del 1970, caratterizzata da un sistema politico instabile, dopo le elezioni regionali, col Psi ondeggiante tra centrosinistra e alleanza col Pci; e ottanta delegati di «Sinistra proletaria» si trovano a Pecorile (sull’Appennino reggiano), per prendere decisioni che lo stesso Curcio così riassume: «C'era l'esigenza urgente di risolvere le contraddizioni che erano maturate dentro la Sinistra proletaria dove gli orientamenti divergevano in modo ormai insanabile (con) la discussione sulla necessità di passare a nuove forme di lotta più incisive e clandestine. Una scelta alla quale Margherita, Franceschini, io e qualche altro compagno eravamo decisamente favorevoli. Nessuno di noi prese la parola, in mezzo all’assemblea di ottanta persone, proponendo di passare alla lotta armata; ma tra alcuni gruppetti ristretti di compagni il tema che circolava era quello.
Parlammo invece apertamente della trasformazione del servizio d’ordine in un nucleo bene organizzato (ma) non con armi da fuoco. Allora si usavano ancora le molotov, i bulloni, le spranghe. In quel momento il contenuto concreto della cosiddetta «lotta armata» era modestissimo (...)».
In realtà, il richiamo alla Resistenza era presente. Le prime armi di Franceschini furono due pistole dategli da un partigiano (una era una Luger sottratta a un ufficiale tedesco). Era un richiamo fatto proprio dai Gap di Feltrinelli, che fonda in piazza Tirana, a Milano, la brigata gappista Valentino Canossi (un operaio morto sul cantiere, 2 settembre 1970): il gruppo compie un attentato proprio in un cantiere edile e il 24 ottobre il terzo numero del «foglio di lotta» Il partigiano gappista minaccia gli imprenditori edili: «Ogni nuovo morto sui cantieri, ogni lavoratore assassinato sarà vendicato».
L’editore manteneva contatti coi vari gruppi, allora contigui alla lotta armata, o che ne discutevano: Lotta continua, Potere operaio, Br (un cui periodico si chiamava comunque Nuova Resistenza): Feltrinelli intendeva «creare un Esercito Popolare di Liberazione («Epl - Comunismo e libertà - Vittoria o morte»), espressione del Fronte popolare di liberazione», pur «mantenendo la peculiarità delle specifiche organizzazioni». E «nel gennaio 1971 Fioroni e Feltrinelli si incontrarono di nuovo, insieme ai dirigenti di Potere operaio e di Lotta continua, a un convegno indetto per una possibile unificazione delle due formazioni». Questa situazione, tra l’autunno ’70 e l’inizio del ’71, conferma la chiave interpretativa tratta dal 12 dicembre: Carlo Fioroni è un personaggio ambiguo, forse già allora controllato dai servizi; il nascente partito armato è sotto osservazione (come Curcio un anno prima); il progetto di Feltrinelli abortirà e la sua morte potrebbe segnare la fine della sola organizzazione che promuove la lotta armata, le Br, il cui primo attentato (17 settembre 1970) consiste nel bruciare la macchina di un dirigente -Giuseppe Leoni - della Sit-Siemens (la futura Italtel), una fabbrica che con la Pirelli e l’Alfa Romeo è una di quelle nelle quali il partito armato ha insediamento sociale.
Al di là di questa chiave interpretativa e delle conseguenze della sua morte, il fallimento del progetto di Feltrinelli (vi possono aver concorso infiltrati nelle varie organizzazioni extra-parlamentari?) pone un problema di fondo nell’analisi della lotta armata: in quale rapporto si dava con l’ipotetica rivoluzione italiana. L’inno di Lotta continua parlava di«lotta di lunga durata/lotta di popolo armata/lotta continua sarà». Carlo Feltrinelli (nel libroSenior Service, ndr) si pone domande e tenta risposte proprie partendo da quel fallimento. «Ma se la piattaforma strategica proposta (da Feltrinelli) non verrà mai sottoscritta è perché le differenze sono più d’una (cromosomi? ’’generazione”? tattica? autofinanziamento?). Per dirla con Prospero Gallinari, potevano essere “due concezioni della lotta di classe in atto”, l’una con una definizione offensiva, l’altra con una definizione difensiva. Lo schema sarebbe questo: per le Br la costituzione del partito armato presuppone una lotta di lunga durata, un processo graduale (alla cinese?) per arrivare al cuore dello Stato. Nel frattempo: accumulare consenso con la “propaganda del fatto” e demonizzare il nemico. Nel “terzomondismo» di Feltrinelli l’analisi è diversa: l’involuzione della democrazia italiana suggerisce una prospettiva immediata che deve unire le forze in campo, invitando a partecipare una parte del Pci”. La struttura militare assume il peso della guerriglia “fuochista”. Per il brigatista Franceschini la vera differenza tra Br e Gap è proprio una questione di tempistica: “Feltrinelli era l’unico a pensare alla rivoluzione in termini contestuali, ora o mai più”. Vittoria o morte: la Rivoluzione è in pericolo, chi può salvarla?».

Postilla

Lo stralcio dal capitolo iniziale qui ripreso fu pubblicato come anticipazione su “l'Unità”, il 9 aprile 2004.  

Nessun commento:

Posta un commento