1.3.16

Per un mondo di pace. L'“Adone” del cavalier Marino (Paola Mastrocola)

Ci sono opere che non leggeremo più. Che già noi non abbiamo letto, e meno che mai leggeranno le nuove generazioni. L’Adone, per esempio.
Io sono stata fortunata, ho potuto conoscere almeno in parte questo grandioso e sorprendente poema, il più lungo della nostra letteratura, perché ai miei tempi insegnava a Torino Marziano Guglielminetti, che dell’Adone è stato un grande studioso. E ora sfoglio per caso una rivista che mi arriva a casa, «Vita e Pensiero», e trovo un articolo di Marc Fumaroli proprio sull'Adone (n. 1,2015). «Un poema italiano che predicava la pigrizia e la voluttà», dice Fumaroli, l’effeminazione, la devirilizzazione dell’eroe epico e dell’aristocrazia guerriera.
L’Adone in effetti, che il nostro Giovan Battista Marino scrive durante tutta la vita e pubblica nel 1623, celebra non la guerra e l’eroismo delle armi, ma un mondo di pace, dove al massimo un infortunio di caccia può incarnare la tragedia. Per questo, dice Fumaroli, il grande poema del Marino, subito condannato dalla Chiesa perché morum corruptivus, fu radicalmente ostracizzato in Francia: non si poteva tollerare una «apologia della civiltà come deliziosa decadenza e non come progresso duramente conquistato e da spingere sempre più avanti». L’Adone era un vero e proprio programma politico pacifista, era l’idillio portato a dimensioni epiche, era «la fine della storia», l’esaltazione dell’amore, della riflessione e della memoria, senza azione, senza eroismo: era «l’allegoria della felicità, certamente fragile e fugace, ma di gran lunga preferibile all’inferno sulla terra: la guerra». La politica di Richelieu non poteva tollerarlo.
Noi dovremmo rileggerlo. O meglio, leggerlo. Per esempio nelle scuole, dove invece, da sempre, si salta. Noi che oggi siamo una (deliziosa?) civiltà decadente.

Il Sole 24 ore Domenica, 28 giugno 2015

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