23.5.16

Disuguaglianza. Ricette radicali del guru moderato (Roberta Carlini)

Antony Barnes Atkinson, detto Tony
«C’è un motivo per cui a un certo punto ho deciso di lasciar stare la matematica e di concentrarmi sull’economia: l’aver scoperto che i Paesi ricchi hanno ancora un enorme problema di povertà». Parola di Anthony Atkinson, economista inglese di Cambridge, “nonno” degli studi sulla diseguaglianza, fondatore, con Alvaredo, Piketty (autore del best seller Il capitale del XXI secolo), Saez e Zucman del World Wealth and Income Database. Basta parlare delle cause e dei numeri della diseguaglianza, pensiamo a cosa si può fare per risolvere il problema, scrive Atkinson, uscendo dai ranghi del suo consueto rigore accademico per pubblicare un pamphlet “politico” (Disuguaglianza. Che cosa si può fare?, Raffaello Cortina Editore, 2016)
Segue un decalogo di proposte, che non sono un menu à la carte ma un progetto complessivo: funzionano se si adottano tutte insieme. L’aspetto fiscale, che una volta era prevalente nei discorsi sulla redistribuzione, ne è solo una parte e prevede un ritorno a un’imposizione sui redditi fortemente progressiva (fino al 65%) e alle tasse di successione, con aliquote crescenti al crescere del patrimonio. Nell’insieme, queste riforme garantirebbero una struttura fiscale più progressiva, abbandonata da quasi tutti i Paesi sul finire del Novecento. Ma non basta, dice l’economista inglese, secondo il quale si deve intervenire anche dal lato dei bassi redditi e patrimoni: con un reddito garantito a tutti, che lui chiama “di partecipazione” (legato alla propria capacità e disponibilità di essere parte attiva della società), e con un’eredità minima di partenza per tutti, in modo da riequilibrare le differenze alla nascita. Altre proposte intervengono direttamente nella struttura e nel funzionamento dell’economia: un fondo “sovrano” riservato ai piccoli risparmiatori, per consentire loro di investire i proprio patrimoni con relativa tranquillità, e allo stesso tempo dare agli Stati una leva per indirizzare gli investimenti in nuove tecnologie, penalizzando quelle che più distruggono lavoro. La tecnologia, dice Atkinson, non è esogena ma può essa stessa essere indirizzata e usata dagli uomini: se le decisioni in merito sono lasciate solo alle aziende e ai loro grandi azionisti, non andranno necessariamente a beneficio di tutta la società. Il menu di Atkinson si completa con la previsione di maggiore concorrenza sul mercato privato, e un revival della mano pubblica, anche con l’intervento dei governi, quando serve, come «datori di lavoro di ultima istanza».


pagina 99, 30 aprile 2016

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