25.6.16

Godere è glorioso nel tempo di Xi. Rivoluzione tra le lenzuola cinesi (Cecilia Attanasio Ghezzi)

Shanghai
Di tanto in tanto, nelle periferie delle metropoli cinesi, si ha notizia della confisca degli strumenti necessari per una radio pirata e dell’arresto di persone a essa legate. Queste radio non fanno controinformazione. Vendono pubblicità del prodotto più falsificato al mondo: il viagra. Quello vero costa tra i 7 e i 10 euro a dose, troppo per la gran parte dei cinesi adulti. E abbassare il prezzo di base significa triplicare le vendite. Il mercato esiste, ed è in espansione. Perché dopo gli anni castigati del maoismo, quando alle masse non erano concesse pulsioni altre che quelle rivoluzionarie, fare sesso per puro piacere è tornato a essere accettato e praticato.
Anzi. Nonostante la bigotta censura del Partito, negli ultimi vent’anni la relazione dei cinesi con il sesso è completamente cambiata. Ed è forse più vicina a quella che era nell’antichità.
«Ho compilato la prima statistica nel 1989. Allora solo il 15% degli intervistati aveva fatto sesso prima del matrimonio. Ho riproposto lo stesso questionario un paio d’anni fa. La percentuale aveva superato il 70%». Con un passato di studi negli Stati Uniti e un’indole personale naturalmente portata alla sperimentazione e alla provocazione, l’ormai 64enne Li Yinhe è stata la prima sessuologa ad affermarsi nella Repubblica popolare. La sua teoria è che la politica che per trent’anni ha obbligato le coppie cinesi a un unico erede, ha di fatto concorso a scindere il sesso dall’atto della riproduzione.
«Il giallo e il nero (in Cina colori associati rispettivamente al sesso e alla politica, ndr) rimangono tutt’oggi i criteri guida della censura. Ma un tempo si poteva essere condannati a morte per favoreggiamento della prostituzione e oggi, il massimo che accade, è che impediscano agli affari di proseguire. Solo negli anni Ottanta la pena capitale era prevista anche per chi organizzava orge, festini e scambi di partner. Oggi quasi la totalità dei giuristi e dei sociologi è convinta che la politica debba rimuovere i crimini sessuali», sostiene.
La stessa Li parla di una «rivoluzione». Si pensi che prima del 1997 la pornografia, la prostituzione, lo scambismo e il sesso prima del matrimonio erano considerati reati. Per non parlare dell’omosessualità, che è stata comunque nella lista delle malattie mentali fino al 2001. Oggi sono comunque punibili ma con pene spesso meno severe di quelle riportate sulla carta e, cosa forse ancora più importante, nella maggior parte dei casi non vengono denunciati. Le rare notizie di questo tipo di reati ci fanno capire che si rischia al massimo qualche mese di detenzione. E spesso sono più legate alla volontà di ricatto che al sesso in sé.
Come nell’epoca imperiale, infatti, a un uomo di potere non basta una sola moglie. Mao che da bravo comunista voleva la parità dei sessi, aveva posto fine alla pratica «decadente e borghese» delle concubine, ma nel privato si divertiva non poco. E così continuano a fare i suoi successori. Le concubine di oggi si chiamano ernai, che letteralmente significa «seconda donna», e sono molte più di quanto si pensi. Una ricerca di qualche anno fa dell’Università del popolo di Pechino metteva in luce come il 95% dei funzionari aveva avuto relazioni extraconiugali a pagamento e il 60% aveva mantenuto almeno un’amante.
Di esempi ce ne sono a non finire. Dal funzionario che nel 2002 ha indetto la prima (e unica) competizione annuale per decidere quale delle sue 22 amanti fosse la più piacevole, a Liu Zhijun ex ministro delle Ferrovie condannato all’ergastolo per aver preso tangenti per un valore di 3,6 milioni di euro e per aver mantenuto 18 amanti. Anche nel processo più sensazionale degli ultimi anni, quello all’ex principino rosso Bo Xilai, condannato all’ergastolo per corruzione, tangenti e abuso di potere, una delle accuse era quella di aver avuto «rapporti sessuali impropri con un certo numero di donne». Una frase tanto bigotta da essere divenuta immediatamente virale in rete.
La gente comune sa che i politici di professione non finiscono in galera per una mazzetta o per un’amante. Per gli uomini d’affari concludere una cena in un bordello o viziare un cliente importante offrendogli belle donne è più frequente di quanto si possa immaginare. E la popolazione è ormai sempre più smaliziata. Se nel 1992 ha fatto notizia l’apertura del primo sexy shop a Pechino, oggi i «negozi per adulti» sono presenti a ogni angolo di strada. Il consumo di vibratori è così alto che si trovano assieme ai preservativi alle casse dei supermercati e nelle camere degli alberghi più forniti. Le grandi metropoli organizzano fiere di sex toy da almeno dieci anni. Quella a cui siamo andati la settimana scorsa a Shanghai era promossa dall’Ufficio di panificazione famigliare del governo locale. Alla «Fiera internazionale dei “giochi per adulti” per “una riproduzione sana”», c’era di tutto: dalla realtà virtuale, alle bambole, dai vibratori alle tute in lattice, dalle radici afrodisiache ai calchi in silicone delle vagine delle pornostar giapponesi, dai distributori automatici di sex toy alle essenze per bloccare l’erezione. Si chiacchierava, si valutava la merce, si prendevano contatti e si comprava. In soli tre giorni ci sono stati circa 30 mila visitatori paganti: ragazzi e ragazze, coppie attempate e uomini d’affari che curiosavano senza imbarazzo tra gli oltre 240 stand. Al di là dei professionisti del settore, sembrava un supermercato qualunque. «È paradossale», si confida Fu Sinan, responsabile vendite dell’azienda produttrice di sex machine, Leco. «Il nostro sito in Cina è censurato, ma questo è senza dubbio il nostro mercato di riferimento».
Giornali e televisioni, infatti, sono a tutt’oggi molto pudici sull’argomento e qualsiasi forma di pornografia online è censurata. Il sesso può minare la «moralità» dei cittadini e per questo non è mai esplicitato. Nessun politico occidentale si sentirebbe minacciato da un libretto stile Harmony che racconti le sue liaison sentimentali giovanili. Eppure pare che sia proprio la minaccia di una pubblicazione sulla vita privata del presidente Xi Jinping prima del matrimonio a portare allo scandalo internazionale del “rapimento” dei cinque librai di Hong Kong. I cinque, tutti legati alla casa editrice Mighty Current specializzata in libri critici verso il Partito comunista cinese, sono ricomparsi in custodia delle autorità cinesi nonostante non fossero cittadini cinesi e nonostante due di loro si trovassero su un territorio diverso da quello della Repubblica popolare al momento della scomparsa.
C’è da scandalizzarsi, ma non da stupirsi. Xi è a capo di uno Stato che non ammette storie di una notte o scambi di coppia nei film e nelle serie tv. Nelle sceneggiature una protagonista non può innamorarsi di più di un uomo. Ancora l’anno scorso una serie tv ambientata all’epoca della dinastia Tang è stata censurata perché il décolleté della protagonista era troppo ampio.
«La gente comune è più aperta ed educata del governo», si scalda subito Fan Popo in un’intervista telefonica. Classe 1985, gay e attivista lgtb, è il regista di Mama Rainbow, un documentario che esplora le relazioni tra sei madri e i loro figli omosessuali. Il suo è un discorso amaro.
Aveva condiviso il suo film su diversi portali cinesi nel 2012 e in circa due anni aveva raggiunto un milione di visualizzazioni. In molti si erano messi in contatto con lui per fargli sapere come il suo lavoro era stato utile nel difficile percorso di outing all’interno della propria famiglia. Ma a dicembre del 2014, il video è sparito dal web cinese. I portali interessati hanno sostenuto di aver ricevuto l’ordine dall’ufficio governativo che sovraintende ai contenuti che possono andare online, in tv o nei film (Sarft) ma quest’ultimo, portato in tribunale dal regista, ha negato di aver dato qualsivoglia ordine in merito. Il regista sostiene di aver vinto la causa, ma il film non è mai stato rimesso online. «Ciò non toglie che la società civile ha fatto passi da gigante negli ultimi anni. Ancora nei primi anni 2000, lgbt era una sigla sconosciuta alla maggior parte dei cinesi. Oggi c’è persino una seguitissima serie tv sui rapporti gay tra adolescenti». Addiction, così si chiama la serie in questione, è stata vista da dieci milioni di persone prima che, lo scorso febbraio, il governo la censurasse a tre episodi dalla fine.
Se è chiaro che la società cinese si sta liberando da molte sovrastrutture nei confronti di tutto ciò che attiene alla sfera sessuale dei singoli, più difficile è comprendere fino in fondo l’atteggiamento del Partito e del governo. Come spiega il professor Federico Masini nell’introduzione di una raccolta di antiche e inedite pitture erotiche cinesi (Il palazzo di primavera, L’Asino d’Oro, 2015), «con la scusa di una sacrosanta battaglia contro lo sfruttamento sessuale delle donne, la Repubblica popolare ha voluto cancellare ogni memoria della tradizione letteraria e artistica dell’erotismo cinese». Ne è esempio l’unico museo del sesso della Cina. I suoi 1.400 artefatti «archeo-erotici» coprono quattro millenni di storia. Nel 1999 sono stati raccolti in uno spazio al centro di Shanghai. Nel 2001 sono stati traslocati alla periferia della città e nel 2009 in un paesino, Tongli, a un paio d’ore di macchina di distanza. Quando arriviamo ci dicono che il museo ha chiuso nel 2013 per essere trasferito a Hainan, un’isola all’estremo sud della Cina, dove però non ha ancora riaperto. Forse il Partito pensa che un dildo antico può portare sulla cattiva strada più di uno moderno.


Pagina 99, 30 aprile 2016

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