15.6.16

Guernica e il miliziano. Memoria e arte della guerra civile spagnola (Vladimiro Settimelli)

Paplo Picasso, Guernica
Quel mondo spappolato, quelle vite fatte a pezzi dalle bombe d’aereo e dagli spezzoni, il muggire delle vacche e il ragliare degli asini, l’urlo degli uomini delle donne, i lamenti del mondo e il fracasso degli aerei. Senti tutto quando ti siedi davanti al grande quadro di Pablo Picasso, dentro il Museo della regina Sofia a Madrid. Sta tutto solo, enorme, incombente, terribile, in una sala grandissima e tutta bianca. Guernica è il segno alto del terrore indiscriminato dell’aviazione nazista e fascista nei confronti della popolazione civile, riunita in un caldo giorno di mercato, in una cittadina senza alcuna importanza strategica. Un grumo di case che, ancora oggi, non sono niente: c’è soltanto un tronco d’albero rinsecchito e semibruciato, a memoria di quel che accadde. È stato lasciato in un piccolo parco del ricordo.
Ecco, Guernica, il grande e folle «ritratto» di Picasso, è, da anni e anni, il simbolo dell’attacco franchista alla legittima repubblica spagnola, dell’intervento nazista e fascista e di quella che fu, poi, una terribile guerra civile. 
Robert Capa, Morte di un miliziano
Nella stratificazione dei simboli, dei miti, del cinema, della letteratura, della poesia, dei manifesti, delle canzoni e della musica popolare, Guernica ha accanto soltanto la celeberrima fotografia di Robert Capa, quella tanto discussa del miliziano colpito a morte mentre scatta all’attacco. Vera, falsa, frutto di una specie di «recita» messa in piedi da quel comunista ed ebreo ungherese che era il fotografo di guerra passato alla storia come il più grande di tutti sui fronti di guerra? Forse non lo sapremo mai. Lui, morì in Vietnam, saltando su una mina. In Spagna, era a due passi di distanza quando la sua donna, Gerda Taro, fotografa tedesca, rimase schiacciata da un carro armato repubblicano che stava facendo manovra. Dunque, probabilmente una messa in scena quella straordinaria fotografia. L’ucciso sarebbe (secondo le ricerche dello storico Mario Brotons) un tal Federico Borrel Garcia. Ma il nostro ricercatore Luca Pagni dice che non è così. Ma che importa: quel miliziano che muore ripreso da Capa, «è la guerra di Spagna» e se non lo era davvero, con il passare degli anni, lo è diventato. Amen. È nella storia e nel mito, nella memoria del popolo di sinistra di tutta Europa e dell’America. Ieri come oggi.
Dolores Ibarruri
Nella memoria e nel comune sentire, come la leggendaria figura di Dolores Ibarruri, la «Pasionaria» con quel suo «No pasarán». Lei, con i capelli lisci, la crocchia, i lunghi orecchini e lo sguardo fiero è sempre apparsa come una splendida figura venuta fuori da un qualche quadro di Goya. Una specie di straordinaria vedova della nazione spagnola e della Repubblica, attaccata e distrutta da Franco e dai suoi generali, con l’aiuto fondamentale di Hitler e di Mussolini. Ma anche Dolores, piaccia o no, era una grande donna, ma con un cuore. Aveva un amante giovane che, prigioniero, era stato salvato dalla prigionia nazista, pare per l’intervento di Stalin.
Accanto a lei, gli altri grandi personaggi e i fatti di una terribile e angosciosa tragedia collettiva dell’Europa: la fucilazione di Garçia Lorca, l’emigrazione, verso la fine della Repubblica, in altri paesi, di tutti i grandi della cultura iberica e le battaglie, sulle sierre e nelle grandi città, per la Spagna repubblicana, di tantissimi italiani, francesi, tedeschi, polacchi, cecoslovacchi, inglesi, americani , sovietici, messicani, cubani, olandesi, danesi e i giovanissimi di cento altri paesi, tutti antifascisti Ed ecco poi la presenza di Hemingway, London, Malraux, Aragon e di altre centinaia di grandi e carismatici intellettuali europei. Quindi le lotte in sostegno della Repubblica, attaccata dai fascisti, dai nazisti e dai generali felloni, di Roman Rolland, George Bernard Shaw, Neruda, Gide, Dos Passos, Bernanos, Pearl Buck, Steinbeck, Sinclair, Faulkner, Caldwell, Einstein, Jolit Curie, Matisse, Orozco e Paul Robenson, il grande cantante nero poi perseguitato dal maccartismo. Tutti scrittori, poeti e scienziati di fama che non mancarono mai di dare una mano nel creare il mito dell’orrore franchista e la giustezza della guerra antifascista e antinazista, per una Spagna libera e giusta. Così fu tutto un fiorire di racconti, di leggende, di canti e poesie, di crudeli verità, di fatti, di detti e scritti in prima persona o sulla base dei racconti di chi, in Spagna, stava battendosi davvero, armi in pugno, per la verità e la giustizia e contro la barbarie.
Nenni in Spagna, volontario delle Brigate Internazionali
E i politici? Arrivarono da tutto il mondo con in cuore la speranza della vittoria, ma spesso, con la consapevolezza che sarebbe stata una sconfitta, nonostante gli aiuti dell’Unione sovietica. I nostri, gli italiani, furono davvero tanti e ne venne fuori il successivo e grande fronte per la lotta antifascista e cioè la Resistenza. In Spagna andarono Togliatti, Longo, i Pajetta, i fratelli Rosselli («Oggi in Spagna, domani in Italia» avevano detto e scritto sul Non mollare), Nenni, Di Vittorio, Picelli, Nino Nannetti, Randolfo Pacciardi, Vittorio Vidali che diventerà, con il nome di Carlos Contreras, il comadante del celeberrimo 5 Reggimento delle Brigate Internazionali. E saranno in Spagna anche il gappista Giovanni Pesce, la grande fotografa Tina Modotti, Antonio Roasio, altri dirigenti socialisti, comunisti, anarchici e «giellisti» che arrivavano dall’emigrazione antifascista in Francia. Nacquero così la «centuria Sozzi» e le brigate garibaldine. Tutto questo rafforzò la verità dei fatti, ma anche le leggende e i miti. Quelle leggende e quei miti che, nella guerra di Spagna, furono sempre necessari come i fucili e le mitragliatrici.
E come dimenticare il cinema dalla parte della Spagna giusta e libera? Da noi, solo nell’immediato dopoguerra potemmo vedere il notissimo Per chi suona la campana (1943) il film di Sam Wood, con due grandissimi e credibilissimi interpreti: Gary Cooper e Ingrid Bergman. Il lavoro era tratto dal romanzo di Ernest Hemingway ed ebbe un incredibile successo. I personaggi erano tratteggiati con vigore e con passione come in tanti altri racconti e romanzi. La figura di Cooper, l’americano andato a combattere dalla parte giusta contro il fascismo, il nazismo e Franco, era, in realtà, quella dello stesso Hemingway . Dunque, da Per chi suona la campana a Terra e libertà di Ken Loach.
Buenaventura Durruti
E le canzoni di lotta e di battaglia, unite a quelle della tradizione operaia, anarchica e contadina della Spagna? Tante e bellissime. Indimenticabile Los cuatros generales e l’inno del Quinto Reggimento. Molto belli anche i manifesti per l’arruolamento nella milizia, stampati dagli anarchici. Forti e fieri quelli dedicati al Fai e al grande Durruti. Lo stile di tutti fu, comunque, quello sovietico del periodo rivoluzionario e quello parafuturista. Grande mobilitazione propagandistica da tutte e due le parti in lotta, anche per la storica e incredibile vicenda della battaglia di Guadalajara, vinta dagli antifascisti delle Brigate internazionali. Per la prima volta nella guerra civile spagnola, tra le montagne e i fiumi, si scontrano i volontari antifascisti italiani e i volontari fascisti spediti a Franco da Mussolini. Insomma, ci si combattè tra italiani interra spagnola. È il marzo del 1937 e tra le trincee vengono lanciati manifestini da «italiani a italiani» e gli altoparlanti e i megafoni, trasmettono appelli dall’una parte e dall’altra, con l’invito a disertare e a mettersi «nella guerra giusta». Stessa situazione anche tra i prigionieri dei due schieramenti.
E dall’altra parte? Dalla parte franchista, nazista e fascista, come procedette la costruzione dei miti e delle leggendo in sostegno all’appello per la lotta contro il bolscevismo internazionale? L’Italia produce un filmone dedicato all’assedio dell’Alcazar del generale Moscardo da parte delle truppe repubblicane. È un fumettone di poco peso, interpretato da quel bravissimo attore che era Fosco Giachetti, abbastanza amato dal regime. Mussolini riceve anche, a Palazzo Venezia, il volontario italiano più giovane che ha combattuto i comunisti: è un certo Licio Gelli di Pistoia. Dal punto di vista della propaganda, però, l’imbarazzo è generale anche in Germania. Non è semplice né facile spiegare la situazione. Il tema di fondo, ovviamente, è la difesa dal comunismo e dal bolscevismo anche se in Spagna, come tutti sanno, i comunisti , per la verità, non avevano mai contato molto. Al musicista del fascismo, il maestro Ruccione, viene chiesta qualche canzonetta a favore dei volontari italiani in terra iberica. Le poche prodotte non riusciranno mai a sfondare.
In Spagna, le forze reazionarie, puntano tutta la propaganda sull’anticomunismo e sull’antireligiosità dei repubblicani. È vero: gli anarchici, in particolare, fucilano preti e violentano suore, oltre a distruggere chiese e conventi. Ma la chiesa, dal canto suo, è da sempre schierata con i grandi proprietari terrieri e contro le poche riforme della Repubblica. I vescovi spediscono al fronte, per benedire i combattenti franchisti, persino la Madonna di Loreto. La propaganda dei golpisti, comunque, punta tutto su Francisco Franco Bahamonte, o meglio Franco, il «generalissimo», il «caudillo», l’uomo nuovo della nazione. Un manifesto di grande successo è quello che mostra una grande croce a forma di «uno» ( nel senso di primo) che parla di una «cruzada» per poi aggiungere: «España orientador espiritual del mundo».
Grande, grandissimo successo tra i franchisti, riscuote il motto: «Arriba España». Tutto é puntato sul nazionalismo estremo, sul cattolicesimo, sulla religione, sulla lotta contro l’anarchismo, il comunismo. Ovviamente Franco e i franchisti salutano a braccio levato come i fascisti italiani e i nazisti. Così salutano anche i cardinali Isidro Gomà e Play Deniel, vescovi, sacerdoti, frati e suore. Alla vittoria di Franco, scatta la pittura di regime che presenta il Caudillo in grandi quadri a olio, in divisa da falangista, a cavallo, vestito da grande statista e con la scorta «mora» che lo circonda e lo protegge, da combattente vittorioso e in mille altre diverse pose. La cosiddetta «cultura nuova» della Spagna franchista, isolata e di scarso peso dopo l’esilio e la grande fuga dal paese da parte di migliaia di storici, scrittori, filosofi, giuristi, pittori e cineasti, non trova di meglio che rilanciare la «hispanidad» e il mito della «purezza morale della nazionalità spagnola», una categoria superiore, universalista, dello spirito imperiale che ha trasportato lo spirito missionario della vera civiltà cristiana, in tutti i paesi latinoamericani. La Spagna franchista continuò poi a fucilare, a «garotare», a opprimere e comminare anni e anni di galera fino al crollo. Ai grandi raduni di regime si cantava, ormai al culmine della popolarità, la famosa Cara al sol, una specie di «Giovinezza, giovinezza».
La propaganda continuava anche a parlare di pacificazione, citando, come un esempio per tutta l’Europa, il grande cimitero detto della Valle de los Caidos, poco distante da Madrid e con la grande croce alta 150 metri. Li sarebbero stati sepolti anche i corpi dei caduti repubblicani. Era ancora una menzogna propagandistica. Non è vero niente. Ancora oggi, purtroppo, è uno stereotipo franchista e fascista, davvero duro a morire.

“l'Unità”, 17 luglio 2006

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