25.6.16

Necrologi. Roasio, il comunista di ferro che Togliatti temeva (Paolo Mieli)

L'untuoso Paolo Mieli nel 1986 scrive il necrologio di Roasio su “Repubblica”. Alquanto maligno. (S.L.L.)
Antonio Roasio

ROMA - E' morto Antonio Roasio. Aveva 83 anni, era membro del comitato centrale del Pci e presidente dell'associazione che riunisce gli ex volontari antifascisti della guerra civile spagnola.
Ex socialista, era stato nel ' 21 uno dei fondatori del partito comunista, ma aveva sempre preferito definirsi, fin dal titolo di un libro autobiografico che pubblicò qualche anno fa, "figlio della classe operaia". Voleva così sottolineare che lui, nato da una poverissima famiglia di Vercelli, l'operaio l'aveva fatto davvero in un'industria tessile. A differenza di quei dirigenti ammalati di "personalismo" e viziati da "forme di ambizione poco sane" con i quali successivamente s'era più volte scontrato. E non era questo l'unico titolo che poteva vantare: nominato a vent'anni segretario del partito a Biella era stato in prima fila in battaglie molto violente che avevano lasciato sul terreno morti e feriti; condannato a trent'anni di prigione, era fuggito prima in Francia e poi a Mosca dove tra il 26 e il 36 riprese a far l' operaio e svolse attività politica a fianco di Togliatti riuscendo, con la moglie Dina Ermini, a passare indenne attraverso le purghe di Stalin. Nel 36 andò in Spagna a combattere per la Repubblica contro il generale Franco e alla fine di quell'anno fu ferito. Tornò per un breve periodo a Mosca e poi fu mandato a Parigi. Qui, nel 1938, il partito era in grave crisi: nel libro Saluti fraterni, Bruno Corbi ha ricordato come tutti sospettassero di tutti, l'ossessiva ricerca di infiltrati dell'Ovra e di traditori trotzkisti aveva determinato, anche ad opera di Roasio, un clima che lui stesso ebbe a definire, in una ricostruzione pubblicata nel 1972 su "Critica marxista", "di caccia alle streghe". E la situazione divenne ancora peggiore nel 1939, quando l'Urss firmò un patto con la Germania nazista e, pochi giorni dopo, Hitler provocò con l'invasione della Polonia la seconda guerra mondiale.
Alcuni dirigenti del Pci volevano partecipare subito alla guerra contro il nazismo, altri non volevano prender parte a quella "guerra imperialistica". Giuseppe Berti che dirigeva il "centro" comunista emigrò negli Stati Uniti mentre Roasio, con Novella e Negarville, restò in Francia: "eravamo come un piccolo gruppo di naufraghi in balìa delle onde infuriate", disse poi di quel periodo. All'inizio del 1943 Roasio rientrò in Italia dove nei due anni successivi fu un leader della Resistenza. Divenne anche, assieme a Luigi Longo e Pietro Secchia, uno dei più autorevoli rappresentanti del "partito del Nord" che si opponeva, dopo la caduta del fascismo, agli "intrighi" romani attorno a Badoglio a cui compagni come Roveda e Amendola prestavano "troppa attenzione". Né cambiò idea l'anno successivo con la "svolta di Salerno" (Togliatti accettò di collaborare con Badoglio) e da quel momento Roasio fu sempre vicino a Secchia.
Finita la guerra Roasio entrò nella Direzione del Pci in cui rimase fino al 1962 e fu prima deputato e poi senatore per quattro legislature. Fu anche responsabile della sezione quadri, dell' organizzazione e del partito in Emilia. Quando, a metà degli anni Cinquanta, Secchia fu sconfitto, Togliatti giustificò la permanenza di Roasio in Direzione con queste parole: "ha la piena fiducia dei sovietici".
E infatti Roasio ha sempre difeso le ragioni dell'Urss. Nel comitato centrale del 1969 in cui fu radiato il gruppo del "Manifesto" rimproverò al partito l'eccessiva simpatia per Dubcek, a Luca Pavolini di non aver pubblicato su "Rinascita" un suo articolo che esaltava le conquiste della Corea del Nord e definì lo storico Paolo Spriano un "anticorpo" per alcune sue affermazioni molto critiche nei confronti dell' Urss. Ma all'inizio degli anni Ottanta, pur condividendone le tesi, Roasio non ha aderito all'offensiva di Cossutta e Cappelloni né all'eresia filosovietica di "Interstampa". Ieri Natta e Pecchioli hanno fatto una visita di condoglianze alla moglie di Roasio; oggi il partito gli renderà onore con un'orazione funebre di Giancarlo Pajetta.


“la Repubblica”, 3 gennaio 1986  

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