19.7.16

Il carteggio Capitini-Codignola. Un dialogo profetico (Angelo d'Orsi)

Tristano Codignola
Sessant'anni fa, nel 1937, usciva, nelle edizioni Laterza, un libro di piccola mole e dal titolo insolito, specie in relazione all'epoca e alla situazione: Elementi di un'esperienza religiosa. L'Italia aveva appena proclamato l'Impero, con l'annessione dell'Etiopia; Mussolini sembrava aver costruito un regime “granitico” e gli italiani, in larga parte, osannavano al mascherone ducesco. La cultura era prevalentemente in mano agli zelatori del fascismo, e persino un Gentile era ormai ampiamente scavalcato dagli intellettuali militanti e funzionari del regime. Quel piccolo libro dimesso portava la firma di un filosofo appartato che con Gentile aveva avuto rapporti, Aldo Capitini, e che frequentava gli ambienti dei gentiliani, uomini destinati perlopiù a diventare, presto o tardi, antifascisti.
Con uno di loro, Guido Calogero, Capitini fu poco dopo l'animatore precipuo del movimento liberalsocialista, che confluì nel Partito d'Azione. Ma Capitini, che aveva già compiuto la sua scelta nonviolenta, non credeva nella forma partito, preferendo l'animazione dal basso, la “persuasione” individuale, il lavoro pedagogico e di orientamento sociale (e ‹religioso›, in un senso del tutto aconfessionale). Tutta diversa, apparentemente più “politica”, la posizione del più giovane Tristano Codignola, figlio di Ernesto, il pedagogista e filosofo amico di Gentile. Conosciutisi sul finire degli Anni Trenta i due - accomunati oltre che dall'orientamento ideale liberalsocialista, anche dalla passione per l'organizzazione culturale - si tennero in stretto contatto fino alla morte di Capitini, avvenuta nel '68.
Codignola, ben presto divenuto responsabile della casa fiorentina La Nuova Italia, trovò in Capitini non solo un prezioso collaboratore, suggeritore, e, ovviamente, autore, ma altresì un interlocutore politico: alla militanza nel Psi (nell'ala sinistra) di Codignola, corrispondeva la posizione di “indipendente di sinistra” di Capitini (il quale si vantò di essere stato il primo in Italia in questa categoria destinata ad avere successo). Si trattò di un rapporto che produsse frutti su vari terreni, a cominciare da quello scolastico ed educativo, dove il benefico profetismo capitiniano doveva fare i conti con il pragmatico realismo del militante socialista: un incontro possibile perché se il primo in realtà, dietro l'apparente impoliticità, aveva un sicuro intuito politico, il secondo si lasciava volentieri guidare da un forte tratto di utopismo. Il carteggio edito dalla casa di Codignola è un interessante documento della nostra storia politico-culturale, oltre ad essere un omaggio a due figure di grande spessore civile. Nondimeno, quando si vogliono rendere omaggi si dovrebbe procedere con maggior attenzione a quel che si fa e a come lo si fa: non possiamo non rilevare infatti come queste Lettere 1940-1968, selezionate all'interno di un carteggio assai più ampio in base a criteri non specificati, risultano malamente curate (Tiziana Borgogni Migani, aveva dato prova migliore con gli Scrit ti politici del Codignola editi dalla stessa casa).
Peccato per Codignola, che avrebbe meritato dalla sua casa un trattamento migliore: ma soprattutto per Capitini, sul quale sembra pesare una sorta di maledizione editoriale che ormai dura da un trentennio.


La Stampa, 29/05/1997

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