18.8.16

Sicilia del Novecento. Il sacco di Palermo. I - Villa Deliella (John Dickie)

Palermo - Piazza Francesco Crispi con la villa Deliella negli anni '50 del Novecento, prima della demolizione
Una delle più belle storie di “Cosa nostra”, la più grande e ramificata delle organizzazioni criminali della mafia siciliana, l'ha scritta Dickie, che è giornalista e professore di Studi italiani all'University College di Londra. Uno dei capitoli più interessanti e più tristi per il lettore che ama Palermo riguarda l'espansione urbana e l'edilizia tra dli anni 50 e 60 del secolo scorso, che tanti (Dickie incluso) con buone ragioni chiamano “sacco”. Su Villa Deliella, della cui fine ingloriosa qui si ragiona, c'è un progetto di recupero e ricostruzione cui l'Amministrazione comunale dà il suo sostegno, ma che richiede per la sua realizzazione un notevole impegno civico e finanziario. Vedi, a tal proposito,
http://www.palermomania.it/news.php?id=79348 
La seconda parte del racconto di Dickie al seguente link
http://salvatoreloleggio.blogspot.it/2016/08/sicilia-del-900-il-sacco-di-palermo-ii.html
Palermo, Piazza Francesco Crispi nel 2007
Il «sacco di Palermo» - il boom edilizio degli ultimi anni Cinquanta e dei primi Sessanta - risveglia tuttora nei palermitani una certa malinconia.
Per capire il senso di questa malinconia basta dirigersi verso nordovest lungo la principale arteria cittadina a partire dai Quattro Canti, il crocevia in cui s’incontrano i quattro quartieri della Palermo barocca. Percorrere via Maqueda, passando accanto ai giganteschi leoni in bronzo che fanno la guardia al Teatro Massimo, e imboccare quindi via Ruggiero Settimo, significa seguire l’asse dell’espansione di Palermo nel tardo Ottocento. Via Ruggiero Settimo diventa a sua volta il grande viale chiamato via Libertà, dove i borghesi attenti alla moda dell’epoca dei Florio passeggiavano nelle loro carrozze e costruirono splendide dimore in stile Liberty. Sul lato orientale di via Libertà, proprio davanti al Giardino Inglese, la strada si allarga in piazza Francesco Crispi, al cui centro campeggiano oggi giganteschi cartelloni pubblicitari. Quasi invisibili al disotto dei cartelloni ci sono le volute e le cuspidi di un’elegante cancellata in ferro battuto - un recinto incongruamente grandioso per lo squallido parcheggio all’aperto in esso racchiuso. La cancellata è in effetti tutto ciò che rimane di uno dei gioielli della Palermo dell’epoca dei Florio.
Qui una volta c’era Villa Deliella, circondata da palmizi. La torre di guardia, le svelte finestre, la grandiosa balconata e i tetti dolcemente inclinati costituivano un consapevole, sontuoso omaggio al linguaggio architettonico del Rinascimento toscano. Il 28 novembre 1959 (un sabato) furono sottoposti al consiglio comunale i piani per demolire Villa Deliella. E il consiglio li approvò in gran fretta, in modo che la demolizione potesse cominciare nel pomeriggio di quello stesso giorno. Al termine del fine-settimana una delle più belle case dell’epoca Liberty era ridotta a un cumulo di macerie. Ancora un mese, e Villa Deliella avrebbe compiuto il cinquantesimo anno, diventando così un bene protetto dalla legge. La perdita di Villa Deliella è soltanto una tragedia minore tra le tante che prese insieme costituiscono il sacco di Palermo.
Alla fine della seconda guerra mondiale Palermo rimaneva ancora, nella sostanza, la stessa città dell’epoca dei Florio. Al di là di via Libertà si apriva la Conca d’Oro con le sue ville e le sue piantagioni di limoni. L’intera città era circondata dalla campagna. Malgrado la sua bellezza, Palermo aveva però un disperato bisogno di rinnovamento. Una parte della responsabilità l’avevano i bombardamenti alleati, che si calcolava avessero privato delle loro case 14.000 persone, le quali vivevano in baracche sorte in mezzo alle macerie del vecchio centro, che più di ogni altra zona era stato danneggiato dalle bombe. La pressione che spingeva a costruire nuove case non poteva che crescere negli anni Cinquanta, che videro un afflusso dalla provincia di gente in caccia di un posto pubblico adesso che Palermo, sede del governo regionale, era di nuovo una capitale. Tra il 1951 e il 1961 la popolazione aumentò del 20 per cento, raggiungendo le 600.000 anime.
Un boom edilizio postbellico era inevitabile (lo stesso era vero in buona parte dell’Europa). Ed era altresì inevitabile che le aspettative - spesso sconsideratamente elevate - nel senso di uno sviluppo urbano pianificato andassero deluse. Ma i risultati dell’espansione di Palermo negli anni Cinquanta e Sessanta furono molto peggiori di quanto chiunque avesse potuto prevedere. Quando il boom edilizio finì una vasta porzione del centro cittadino era ancora in rovina; buona parte del resto era ridotta alla condizione di uno slum semiabbandonato; e alcune delle sue più belle dimore private (sia barocche che Liberty) erano state demolite. La verdeggiante periferia era scomparsa sotto il cemento, e il grosso delle piantagioni di limoni erano state abbattute dai bulldozer. Prima di questa trasformazione era difficile scorgere nel tessuto delle strade e degli edifici della città i segni della malavita. Il sacco di Palermo fece di ogni palazzo barocco fatiscente, di ogni complesso abitativo popolare edificato in fretta e utilizzando materiali scadenti, di ogni caseggiato con qualche pretesa un monumento alla corruzione e al crimine.

da Cosa Nostra, Laterza 2008

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