14.10.16

Cielo, Ciullo o che altro (S.L.L.)

Dario Fo, che amava definirsi un giullare, pour cause molto apprezzava il celebre contrasto duecentesco che comincia con "Rosa fresca aulentissima", di cui forniva una lettura molto originale. È ormai nozione assodata nelle storie letterarie che ne fosse autore un giullare, ma si trattava di un giullare d'alta classe, il quale frequentava la corte di Federico II di Svevia in Sicilia e nell'Italia meridionale e ne conosceva fasti e raffinatezze. E la lingua che usa, un volgare meridionale con pochi localismi e – per contro – carico di latinismi e francesismi, sulla scorta di un giudizio di Dante Alighieri, viene dai più collocata a mezza strada tra l'illustre e plebeo. 
Non scenderò nei particolari: condivido l'idea che - per quanto giocoso - lo scontro tra il giullare corteggiatore e la donna corteggiata segnali – come la pastorella provenzale - uno scontro non solo tra sessi ma, ancor più, tra livelli culturali e linguistici. Restano i dubbi sul nome dell'autore. D'Alcamo (dal luogo d'origine), come pensano i più, o Dal Camo (nome di famiglia)? Cielo o Ciullo? Chi propende per Cielo pensa a una palatalizzazione di Cheli (Michele); chi sceglie Ciullo lo fa derivare da Vincenzullo.
L'altrieri un bancario, ragionando con il quale m'era capitato di citare un verso dal celebre contrasto, mi ha fornito una spiegazione del “Ciullo” che ha fatto risalire al suo professore d'italiano, al liceo, peregrina ed estrosa, ma abbastanza convincente. Il giullare era detto in verità “Ciolla d'Alcamo” e il soprannome Ciolla aveva già allora i due significati che ha in Sicilia oggi di “pene” e di “stupido”. Non l'avevo mai sentito dire e non ho, finora, compiuto verifiche, ma mi pare giocare a favore l'uso tuttora frequente dell'accrescitivo ciulluni, che indica un organo sessuale maschile di ragguardevoli proporzioni o un grande sciocco.  

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