14.12.16

Quei nostri mercoledì. Giulio Einaudi ricorda Franco Fortini

Franco Fortini: lo ricordo al tempo del Politecnico e lo ricordo polemizzare con Elio Vittorini, quando sembrava che la sua vocazione razionalista dovesse prevalere sull’eclettismo e sull'anarchismo di Elio. Lo rivedo al mare a Bocca di Magra. Aveva una piccola casa in riva al fiume. Fiumaretto si chiamava quel posto, che lasciò per trovarsi un'altra casa, in collina, sopra Monte Marcello. Lo rivedo mentre legge e soprattutto mentre scrive, quelle sue pagine fitte di una calligrafia ordinata e precisa. Ho davanti agli occhi le sue lettere, bellissime lettere che arricchiva di note a margine, di varianti e aggiunte, come se stesse lavorando sulle bozze di un libro. Alcune le riscriveva: erano magari quelle più polemiche, più dure nei confronti di certi ambienti della cultura italiana, con il tono sferzante, cui non sapeva rinunciare. Per questo forse non riusciva ad avere amici o ne aveva pochi. Era capace di trattare male chi gli stava appresso. Famose erano le sue liti. Una volta cacciò di casa il povero Elvio Fachinelli. Bocca gli mandava messaggi e lui neppure gli rispondeva. Nei confronti di Calvino ha sempre manifestato un dissenso profondo. Capitava con altri nella nostra casa editrice, nelle riunioni del mercoledì, e più di una volta si era augurato che io mi liberassi «da quello che di morto e falso ti sei lasciato deporre addosso». Si sentiva isolato, fermo su una sponda etica e politica e per questo diverso da tanti altri. In questo rivelava la sua forza e la sua purezza. «C’è un Piave - aveva detto in un'intervista - e io sono su questo Piave. Pur sapendo che nessun redentore e nessuna rivoluzione cambieranno l’intero mondo». L’ultimo libro di poesie che pubblicammo, Composita solvantur sembra rappresentare e racchiudere la poetica di una dissoluzione del mondo e della propria decomposizione fisica. Però anche in quei versi estremi si legge il coraggio e la fatica di un insegnamento e la speranza che la sua verità continui ad essere recepita da qualcuno. L'ultimo verso dice proprio: «proteggete le nostre verità». Sente quanto è difficile trasmettere quelle «verità» e come è difficile che gli intellettuali le riconoscano.
La polemica nei confronti della cultura italiana è una costante della sua riflessione e del suo lavoro. In una lettera si fermava sulla responsabilità di chi non aveva saputo leggere gli anni Sessanta e protestava contro chi aveva sistematicamente distorto la realtà sociale di quel decennio: «di questo - diciamolo una buona volta - la responsabilità è dei politici, degli storici e degli intellettuali di varia intellettualità che hanno fatto di tutto per non dire una parola seria sugli anni sessanta italiani e mondiali. Tu ne conosci i nomi: sono spesso seduti con noi il mercoledì». Fortini, un uomo dritto nel suo rigore, di formidabile cultura, grande poeta, polemista inesauribile. Persino i titoli dei suoi libri (pensate a Verifica di poteri) lo dicevano. Lo diceva la sua scrittura pungente e lo dicevano i suoi versi che ricordano, nella originalità della sua invenzione, quelli dei poeti preferiti, che generosamente aveva voluto tradurre: come Brecht. come Eluard.
Purtroppo negli ultimi tempi i nostri incontri si erano fatti rari. La sua malattia è stata lunga, però non lo ha separato da un lucido e forte impegno. Ci ha lasciato un diario, assolutamente inedito, le ultime considerazioni dì una vita. Lo stava rivedendo, lo stava curando prima di consegnarlo al suo editore. Tante pagine. Lo abbiamo visto, anche se nessuno ancora ha potuto leggerlo. Speriamo di averlo presto, per lasciare ai giovani d'oggi l'ultimo messaggio di colui che è stato maestro per tanti giovani di tante generazioni diverse.


L'Unità, 29 novembre 1994

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