6.2.17

Il grande gioco. L'intrepido volo dell'oca (Anna Li Vigni)

“Oca selvatica, lunga è la strada da Nord a Mezzogiorno, migliaia di archi sono tesi sul tuo tragitto. Attraverso il fumo e la bruma, quante di voi raggiungeranno Hen-Yang?”. I versi del poeta cinese Lu Kuei-Meng (dinastia T'ang) ci fanno sollevare lo sguardo per contemplare il difficile e affascinante volo delle oche. L'oca è un uccello intrepido: in volo sfida le più potenti correnti ventose, sui corsi d'acqua nuota velocemente ma, soprattutto, è un gran camminatore che avanza pazientemente sulle sue zampe palmate.
Per il suo comparire improvviso nel cielo a dare annuncio della bella stagione, l'oca in moltissime culture è un animale totemico. Nell'antico Egitto la cerimonia di assunzione al trono del Faraone era aperta da 4 oche lanciate in volo, a testimoniare la rigenerazione celeste. Per le popolazioni del Nord, il volo dell'oca rievoca un felice ritorno da un viaggio pericoloso, come è evidente in molte favole archetipiche, nelle quali il protagonista-bambino torna vittorioso da un'ardua impresa iniziatica proprio volando aggrappato al dorso di un'oca: così fanno Hansel e Gretel, dopo aver cacciato la strega dentro al forno. E forse Konrad Lorenz amò così tanto la sua oca Martina, proprio perché aveva letto il romanzo il viaggio meraviglioso di Niels Holgersson. Non deve stupire, dunque, se a quest'uccello così amabile è stato dedicato uno dei giochi più celebri della storia, ormai poco in voga purtroppo, nell'era dei videogiochi in 3D.
Roberta Borsani dedica al Grande gioco il saggio Sul dorso di un'oca (Moretti e Vitali, Bergamo, 2015), un approfondimento che è un erratico narrare tra storie e leggende. Del Gioco dell'Oca si hanno notizie sin dal 1580, quando Ferdinando de' Medici lo donò a Filippo II re di Spagna: una cultura raffinata e attenta alla bellezza quale quella rinascimentale non potè che restare ammaliata dalla visione del coloratissimo tabellone illustrato, su cui campeggia il classico percorso aspirale in 63 caselle. Sulla spirale, ogni pedina avanza di tante caselle quante sono le cifre sorteggiate dal lancio di due dadi. A ben guardare, il Gioco dell'Oca è ben più che un semplice divertimento. È una riflessione filosofica sulla ciclicità del tempo (la spirale), sul destino (il lancio dei dadi), sull'esperienza del viaggio e della vita stessa (il percorso a ostacoli). «In quanto uccello migratore, l'oca conosce l'andare e il venire del tempo, la precarietà e le scadenze, l'ineluttabilità, la morte. Il suo viaggiare fatto di partenze che al contempo sono ritorni, rappresenta una delle possibili modalità di concepire il tempo, la vita, trasformando, nei limiti del possibile, la difficoltà in risorsa».
Come nella vita, anche nel percorso sul tabellone bisogna avere il coraggio di rischiare, affidandosi alla sorte. E non è detto che gli ostacoli che si incontrano siano sempre negativi. La casella del Ponte, la n. 6, consente di raddoppiare il punteggio pagando, però, posta agli altri giocatori: il ponte rappresenta lo slancio verso il futuro, ma anche la vertigine del rischio - rischio insito in ogni scelta esistenziale - nel trovarsi sospesi sul vuoto. Alla Locanda, casella n. 19, ci si ferma per tre turni: nella vita è importante riconoscere i propri limiti e accettare umilmente di dovere fermarsi ogni tanto, per raccogliere le forze prima di lanciarsi verso la meta. Una volta caduti nel Pozzo, alla casella n. 31, si resta fermi finché qualcun altro giocatore non ci finisce dentro: è un luogo oscuro e spaventoso, ma al suo fondo si trova l'acqua preziosa; se escogitiamo il modo di cavarci fuori, però, dal pozzo - come dalle situazioni critiche che viviamo - usciamo migliorati e rafforzati, perché l'oscurità e la solitudine hanno favorito il raccoglimento e la riflessione. Il Labirinto, poi, alla casella 42, ci impone di tornare alla casella 33, ma non c'è di che lagnarsi: talvolta si rende proprio necessario compiere un passo indietro se si vuole andare avanti, poi, con più decisione.
Nell'esperienza di questo grande Gioco, dunque, così come nella vita, «le virtù richieste sono speranza nella vittoria, capacità di sopportazione di fronte alle avversità e alla malasorte, pazienza nell'attesa, fiducia nelle proprie possibilità di ripresa, contemplazione disinteressata della bellezza del gioco a prescindere dal risultato».


“Il Sole 24 Ore Domenica”, 13 dicembre 2015

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