28.2.17

In Russia e in Georgia per amore di dada (Cesare G. De Michelis)

"Taci, taci,/(femmina, nelle sue braccia/delirasti una notte così)...": così scriveva, all'inizio degli anni Venti, Ada Negri, scrittrice già dai fieri sentimenti populisti, e come tale di buona popolarità anche in Russia. E contemporaneamente, pressappoco, ecco come un personaggio di nome Ada Negri parlava in una bislacca operetta drammatica di Nikolaj Shalimov del 1922, L'amore equatoriale ovvero la terribile vendetta di una negra: "Agiu l' chuva/chuljanam/pingiaru ragiuljum/giufcha raspere...", spingendosi nel contesto dell'improbabile parlata meridionale fino a vaghe allusioni falliche: "palla polla palla/coriambo/cine banda/ban ban ban/Why son come l'ibis/lingam fallas/Diplodok".
Ebbene, sì: questo è il dada russo, del quale Marzio Marzaduri ci offre ora un'antologia ragionata, che è il primo contributo complessivo volto a intendere questa pagina certamente minore, ma sin troppo negletta, dei movimenti sperimentali: Dada russo. L'avanguardia fuori della Rivoluzione (Il Cavaliere azzurro, pagg. 258, lire 15.000). Sul perché "fuori della Rivoluzione" torneremo subito; ma intanto vale la pena di avanzare qualche considerazione sul rutilante intrecciarsi, e talora confondersi, dei molti gruppi e gruppuscoli dell'avanguardia russa, destinati spesso a una esistenza effimera e periferica.
In proposito si può ricordare un episodio forse marginale, ma emblematico come pochi altri: c'è un testo poetico del pittore Vasilij Kandinskij, Vedere ("Azzurro. Azzurro s'innalzava, s' innalzava e precipitava./Acuto. Sottile fischiava e si conficcava..."), le cui peregrinazioni sono ghiottamente tortuose. Apparso dapprima in tedesco nella raccolta Klange (1912), venne annoverato tra i primi testi dell' espressionismo letterario; a distanza di un anno ricomparve in russo (nella traduzione di David Burljuk) sull'almanacco Schiaffo al gusto del pubblico, e venne pertanto catalogato tra gli archetipi del cubofuturismo russo. Nel 1916 fece ancora in tempo per riapparire in tedesco su Cabaret Voltaire a Zurigo, tra i testi del nascente movimento dada.
Espressionismo, futurismo, dadaismo: la storia della poesia di Kandinskij sembra fatta apposta per convalidare la nozione indistinta degli "...ismi contemporanei", di cui aveva già parlato trent'anni prima Luigi Capuana. Ma siccome l'indagine scientifica procede non già dal distinto all'indistinto, ma precisamente all'inverso, eccoci al quesito da cui prende le mosse lo stesso Marzaduri: in buona sostanza, se sia esistito un dada russo, e nel caso di risposta affermativa, perché esso si ponga non occasionalmente, ma strutturalmente, "fuori della Rivoluzione" (non contro, o accanto: semplicemente fuori). La domanda appare sensata, se non altro perché nelle svariate ricognizioni che sono state compiute sul fenomeno dell'avanguardia russa (tanto per restare in Italia, ricorderemo almeno Le poetiche russe del Novecento di Giorgio Kraiski, del 1969, e L'avanguardia russa di Serena Vitale, del 1978), di un dada russo non si fa nemmeno menzione.
Tuttavia, i filoni culturali cui si rifà anche questa rassegna antologico-critica, sono ben conosciuti e presenti: in particolare, transmentali (zaumniki) e nullisti (nicevoki). Ha senso dunque convogliare gli uni e gli altri (e altri ancora) sotto la comune etichetta di dada? Il modo di procedere di Marzaduri appare in proposito sensato, anche se non dimostrativo: "L'autore - scrive - assume come plausibile la categoria di un dada russo, o transmentale. L'affermazione non è comprovabile filologicamente (...), ma appare tuttavia giustificata da una seria tradizione". In sostanza si tratta del fatto che dal tronco vigoroso del futurismo russo s'è sviluppato - tra gli altri - un ramo assai particolare, quello dello zaum' (o lingua transmentale), coltivato già prima della guerra e della Rivoluzione da Chlebnikov e Kruciònych. Trapiantato a Tbilisi (in Georgia), ebbe l'apporto di altri scrittori e pittori, russi e georgiani, dando vita alla compagnia del 41, che si fregiò, oltre quello di Kruciònych, dei nomi di Il'ja e Kirill Zdanevic, nonchè di Igor' Terent'ev. Questo ramo dell'avanguardia russa, pur se ben noto, è rimasto piuttosto in ombra, in patria e all'estero, per il concorso di circostanze eterogenee: la sua breve esistenza, la quasi programmatica intraducibilità (o perfino illeggibilità) dei testi che produceva, la commistione di cultura russa e di cultura (e lingua) georgiana: ad esempio, il numero unico più prossimo al "dada assoluto", "H2SO4" apparve nel 1924 in georgiano.
L'altro ramo dell'avanguardia russo-sovietica che può legittimamente esser avvicinato al dada zurighese, è come abbiamo detto quello dei nullisti, di Rostov sul Don, che promulgarono il loro manifesto nel 1920, e ai quali fu vicino il giovane Grigorij Shil'tjan (Sciltian), prima di divenire nell'emigrazione convinto assertore della restaurazione. Episodio minore e provinciale, s'esaurì esso pure nei primi anni Venti; ha ragione insomma Marzaduri a sostenere che "tra la primavera e l'autunno del 1923 finisce il dada russo".
Episodi successivi d'un'avanguardia estrema e nichilistica, pur se accusati di "dadaismo" (come fu il caso, nel 1927, degli Oberiuty di Leningrado: Charms, Vvedenskij, in parte Vàginov e Zabolotskij), escono di fatto dal quadro del fenomeno ora ricostruito e documentato da Marzaduri. L'avanguardia fuori della Rivoluzione. Episodio nato negli anni convulsi della guerra civile (e in particolare nella repubblica "socialdemocratica" di Georgia), quando il potere sovietico prese definitivamente piede, si dissolse per gran parte nell'emigrazione (le dra, quasi illeggibili, di Zdanevic, vennero proposte a Parigi); quelli che rimasero in Unione Sovietica, o finirono dimenticati (come lo Shalimov, dal quale abbiamo preso le mosse), o continuarono sempre più isolati - è il caso di Krukiònych - a coltivare una sorta di "antiquariato nostalgico" dell'avanguardia. O ancora, come lo sventurato Terent'ev finirono in un lager, a costruire il Canale del Mar Bianco: e con una epistola in versi indirizzatagli da Kruciònych si conclude anche l'antologia: davvero, "triste tombeau del dadaismo russo".


“la Repubblica”, 29 agosto 1985  

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