5.2.17

“La memoria è un campo di battaglia” (Mario Tronti)

Il manifesto” pubblicò nel 2006 come anticipazione l'introduzione di Mario Tronti al volume L'archivio di Pietro Ingrao. Nel testo Tronti parla poco dell'archivio in questione e si produce al contrario su una breve riflessione filosofico-politica sulla necessità e sulla funzione della memoria, una memoria, quella del patrimonio di lotte e di organizzazione del movimento operaio, non solo da conservare, ma da riorganizzare dopo la sconfitta del Novecento. (S.L.L.)

Non dimenticare viene prima del ricordare. È una mossa intellettuale, che solo in apparenza ha un segno negativo. In realtà impone, in via preliminare, un atteggiamento che porta a costruire poi il ricordo. Viviamo in un'età della smemoratezza. Siccome ciò che è stato non doveva essere, allora va cancellato dalla memoria. Noi siamo portatori di un'altra idea, opposta. Ciò che è stato doveva essere altrimenti. Dunque conoscerlo significa non ripeterlo. Quello della memoria è oggi un campo di battaglia.
Più che sui contenuti del passato, la disputa è su come dobbiamo atteggiarci di fronte ad esso. L'età della tecnica è l'età del dominio della tecnica. La rapida obsolescenza del prodotto è essenziale per la efficiente produzione del profitto. La parola magica è: innovazione. Chi non innova, muore. Chi non dice di voler innovare, non ha ragioni per esistere. Il «nuovo inizio» è la narrazione ideologica post-novecentesca. Una truffa. Come azzerare il contachilometri prima di vendere un'automobile usata. La storia diventa un ferrovecchio. E questo mondo di plastica non sopporta la ruggine del tempo. Il grande concetto di eredità storica scompare dall'orizzonte. E si capisce perché. Il patrimonio di lotte e di organizzazione del movimento operaio fa più paura di tutti i nuovi partiti che si possono inventare. Ma l'accumulo di esperienze è indispensabile per ricomporre un «che fare». Riappropriarsene diventa un compito culturale e una necessità politica. Sapere ciò che siamo stati fa capire molto su ciò che siamo oggi e che cosa possiamo diventare. Verrebbe da dire: la memoria prima di tutto. Prima dei programma e del progetto. Cioè, prima della tattica e della strategia. Non è una legge generale. E' una decisione imposta dalla contingenza. Purtroppo, sul qui e ora pesa molto oggi ciò che era, pesa poco ciò che sarà.
Sapere ciò che siamo stati fa capire molto su ciò che siamo oggi e che cosa possiamo diventare. Verrebbe da dire: la memoria prima di tutto. Prima dei programma e del progetto. Cioè, prima della tattica e della strategia. Non è una legge generale. E' una decisione imposta dalla contingenza. Purtroppo, sul qui e ora pesa molto oggi ciò che era, pesa poco ciò che sarà.. Tesi XII: «Il soggetto della conoscenza storica è la classe oppressa che combatte. In Marx essa appare come l'ultima classe schiava, come la classe vendicatrice, che porta a termine l'opera di liberazione in nome di generazioni di vinti». Questa coscienza è sempre stata ostica alla socialdemocrazia. «Essa si compiaceva di assegnare alla classe operaia la parte di redentrice delle generazioni future. E così le spezzava il nerbo migliore della sua forza. La classe disapprese a questa scuola sia l'odio che la volontà di sacrificio. Poiché entrambi si alimentano all'immagine degli avi asserviti, e non all'ideale dei liberi nipoti».
Quando diciamo Archivio Ingrao, non riusciamo che a metterlo a questa altezza. O così, o non ne varrebbe la pena. È la personalità stessa di Pietro Ingrao a spingerci a pensare le sue «Carte» come il deposito di un'esperienza politica carica di storia. E che questa storia tenga insieme il passato della classe e la gestione della democrazia, fa di queste «Carte» un unicum nel panorama dei fondi archivistici, perché si tratta di un patrimonio di parte che appartiene a tutto il Paese. Il direttore dell'Unità sta insieme al Presidente della Camera dei deputati, il membro della segreteria del partito insieme al presidente del Centro per la riforma dello Stato. «Masse e potere» non vuol dire semplicemente cittadini e governo ma, più in grande, popolo e Stato. È in questo senso che pensiamo l'Archivio Ingrao come il nucleo fondante di una Fondazione di studi, che del Crs raccolga la tradizione di ricerche e iniziative, per aggiornarla e svilupparla ai compiti di pensiero e di azione che l'età presente ci impone.
Questo progetto che punta a riaprire una stagione di analisi e di riflessione, capace di riprendere il passo di una battaglia delle idee, ha come condizione indispensabile un ritorno della memoria. Le forme di lotta e le esperienze di organizzazione del movimento operaio, che hanno attraversato il Novecento, meritano di sopravvivere oltre se stesse, come figure soggettive che hanno segnato la storia di un'epoca. Perdere questa parte di sé sarebbe una perdita per l'umanità tutta.
Sappiamo chi ha interesse a dimenticare: sono quelli che vogliono seppellire ogni istanza di un possibile futuro riscatto di chi sta in basso nella società, con sopra di sé privilegi e poteri, ricchezze e culture. Salvare il passato del movimento operaio: ecco un lavoro intellettuale che vale la pena oggi di affrontare. Un'archeologia industriale dovrebbe ormai riguardare non solo gli spazi della produzione di capitale, ma anche i tempi dei soggetti produttori. Ora, se sono in molti a fare storia dell'impresa, ben pochi sono quelli che fanno storia del lavoro, che è poi storia dei lavoratori. Tra questi pochi sarebbe intanto importante stabilire un collegamento, per dividersi i compiti e mirare a un unico scopo. Il sogno è quello di una Mnemosyne alternativa, più che un Archivio, un Atlante della memoria operaia. Aby Warburg apriva, con queste parole, l'Introduzione al suo Atlante: «Introdurre consapevolmente una distanza tra l'io e il mondo esterno è ciò che possiamo senza dubbio designare come l'atto fondatore della civilizzazione umana». L'«uso mnemico del patrimonio ereditario inalienabile» è l'atto civilizzatore che bisogna riproporre ora da quest'altra parte. L'Archivio Ingrao parte, senza modestia, avendo in mente questo quasi impossibile obiettivo.


“il manifesto”, 30 marzo 2006

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