5.2.17

Un tema dello scolaro Benito, a proposito di libri di storia (Emilio Gentile)

Benito Mussolini nel 1897, a 14 anni
Uno scolaro non ancora diciassettenne, svolgendo il 14 aprile 1900 un compito di pedagogia sul testo di storia per la scuola elementare, si domandava: «Quale è la storia che abbisogna alle moltitudini? Come darle fondamento nella cultura scolastica? Come poterla far comprendere ai ragazzi?». Lo scolaro deplorava che l’insegnamento della storia, nel momento in cui la didattica «aveva fatto passi giganteschi verso la modernità», fosse fatto ancora attraverso il «dettato storico», con un «sovraccarico dannoso alla memorazione logica». Invece, sosteneva lo scolaro, il testo di storia non deve «contenere molte date e molti nomi, cose che si dimenticano presto», ma «schizzi storico-geografici che rendan chiaro al fanciullo come si svolsero i fatti». E gli educatori che «veramente sentono l’importanza della loro missione, devono servirsi della storia anche come talismano didattico» per «suscitare e nobilitare il sentimento»; il maestro deve far apparire occasionali le lezioni di storia, e nell’esporle «il suo timbro di voce deve essere bello e conquidente, la sua movenza aggraziata, il suo gesto appropriato. Deve saper rinnovare la scena storica davanti agli occhi della scolaresca, e se qualche brano gli sfugge che non sia capito dagli allievi il danno è minimo, purché riesca a commuovere, ad ammirare (sic!), ad affascinare. Una commemorazione, un anniversario possono fornire argomento al maestro per una lezione di storia, tanto più proficua perché d’attualità ed i fanciulli lo ascolteranno con amore se ne avranno sentito parlare». «Solo operando come io ho espresso in questo scritto - concludeva lo scolaro con ammonitrice sicumera - la storia avrà efficacia nelle scuole del popolo».
Lo scolaro era Benito Mussolini. Il suo compito di pedagogia è stato recentemente riesumato da Paola S. Salvatori, studiosa del culto fascista della romanità, per introdurre un saggio su Mussolini e la storia, che getta luce su un aspetto importante dell’ideologia mussoliniana, anche se l’indagine è limitata agli anni dalla militanza socialista alla conquista del potere, e all’analisi di tre temi, illustrati in successione: la Roma antica, la Francia rivoluzionaria, il Risorgimento, dalla Grande Guerra alla marcia su Roma.
Da socialista, da interventista e infine da fascista, negli scritti e nei discorsi Mussolini si richiamò spesso alla storia per sostenere le sue posizioni e le sue scelte, quasi applicando da politico i precetti che aveva consigliato da scolaro. «La storia mi serve» per «creare la coscienza antiguerresca che oggi manca»: «La storia mi dice che le guerre sono il disastro delle nazioni», così scriveva nel 1912, opponendosi alla guerra di Libia, il giovane socialista quell’anno assurto improvvisamente, a capo prestigioso nel partito socialista.
Mussolini ebbe per la storia una curiosità costante e tutt’altro che superficiale. Come documenta Salvatori, «l’uso della storia in Mussolini non rappresentò mai un casuale e formale esercizio oratorio, ma fu sempre strettamente legato a intenzioni e momenti della sua riflessione politica, sociale, economica». I riferimenti storici mussoliniani furono però sempre intrecciati con la sua politica, e in tale intreccio vanno studiati, nel concreto, diremmo quotidiano, svolgimento dell’azione mussoliniana. Perciò, opportunamente, la studiosa critica la propensione di taluni studiosi, soprattutto anglosassoni, a interpretare l’ideologia mussoliniana attraverso «un’estrema concettualizzazione e teorizzazione filosofica», che finisce con l’oscillare in una «una polarizzazione interpretativa comunque confusa».
Vi è tuttavia da osservare che anche la studiosa italiana incorre in una concettualizzazione tutt’altro che convincente, quando attribuisce a Mussolini una «visione teleologica» della storia, che sarebbe rimasta invariata dai giovanili anni socialisti fin dentro gli anni del regime fascista. Con accostamenti alquanto sbrigativi fra i riferimenti storici del Mussolini socialista, e interventista con quelli del fascista negli anni Venti, Trenta e Quaranta, la studiosa ritiene che vi sia stata «una linea di continuità tra il giovane e socialista Mussolini e quello che sarebbe stato il duce del fascismo», rintracciando atteggiamenti fascisti addirittura nel compito scolastico del 1900. 
Siffatti accostamenti, piuttosto che dimostrare tale continuità, lasciano emergere un’interpretazione teleologica retrospettiva della visione mussoliniana della storia, che in realtà, nei momenti cruciali della sua politica, fu condizionata da circostanze nazionali e internazionali del tutto impreviste, tali da costringerlo a scelte altrettanto impreviste, come accadde con la conversione mussoliniana all’interventismo, e di nuovo alla fine della Grande Guerra e negli anni del primo fascismo, quando Mussolini agiva senza una prospettiva e una meta ancora definite. In tal senso, non si può neppure sostenere l’identificazione dell’ideologia del Mussolini interventista con il nazionalismo di Enrico Corradini, che invece fu bersaglio di strali polemici mussoliniani fino al 1918, e oltre.
Al di là di queste osservazioni, il saggio della Salvatori ha avviato un’indagine che merita di essere proseguita, allargandola a temi storici altrettanto importanti nella vicenda politica mussoliniana, come la storia del socialismo e del marxismo, la storia italiana ed europea nell’età dell’imperialismo, e soprattutto la «storia dei dieci anni», per dirla col titolo di un libro di Arturo Labriola apprezzato da Mussolini, cioè la storia d’Italia durante l’egemonia politica di Giovanni Giolitti, che fu per il Mussolini socialista e per l’interventista (un po’ meno per il fascista) il principale nemico. 
Ma anche per queste auspicabili ulteriori indagini, converrà aver presente che una visione teleologica non si concilia con la convinzione mussoliniana della imprevedibilità della storia: «La storia – scriveva nel gennaio 1913 – è piena dell’imprevisto e nessuno …. può tracciare o ipotecare la strada dell’avvenire». E un mese dopo ribadiva: «La storia è piena dell’imprevisto e presenta d’improvviso delle situazioni rivoluzionarie». E di nuovo, alla fine del 1913: «Poiché la storia – checché si possa dire in contrario - non si ripete ma presenta sempre nuove situazioni di fatto e nuovi problemi, è necessario non abbandonarsi ai facili entusiasmi cui seguono immancabilmente le dolorose sorprese».

«Il Sole 24 Ore domenica», 11 dicembre 2016

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