10.2.17

Vita e morte di Tom il futurista. Intervista a Luce Marinetti (Enrico Filippini)

Filippo Tommaso Marinetti (1876 - 1944)
Man mano che ci si avvicina al Futurismo, la figura di Marinetti, che ne è stato il motore assoluto, acquista d' interesse. Di Marinetti non esistono le Opere complete, ed è un peccato, anche se ora si annunciano varie iniziative editoriali, per esempio 1500 pagine di Taccuini, l'Aeropoema di Gesù, il poema sulla Russia e Capri intima. Di Marinetti non esiste neppure una biografia. Ora però ne ha scritta una in inglese, per gli editori Weidenfeld & Nicholson, la sua terza figlia, Luce, che è anche "curator" del Centro Marinetti presso la Beineke Library dell' Università di Yale. Siccome è ancora inedita, vorrei provare a farmela raccontare.

Signora, lei è la figlia piccola, dopo Vittoria e Ala. Di Marinetti ha un ricordo personale preciso? 
Quando papà morì, avevo dodici anni; ma ho di lui un ricordo vivissimo e intenso. Dormivo spesso accanto a lui, che era molto malato, e lui mi diceva: "Non ti preoccupare, Luce, stai tranquilla, tranquilla...".

Vogliamo cominciare da qui, cioè dalla fine?
Papà era tornato dalla Russia ammalato di un edema polmonare che spesso lo faceva rantolare. Nell'ottobre del ' 43 (c' era già stato lo sbarco ad Anzio), Bastianelli, il suo chirurgo, gli impose di lasciare Roma. Così passammo un anno a Venezia, dove lui scriveva dalla mattina alla sera. Poi, nel luglio del ' 44, andammo a Salò, e poi a Como ospiti dei Mieli...

Chi erano i Mieli?
Erano i cugini dei Grassi, una famiglia ebrea che ad Alessandria d' Egitto aveva avuto il monopolio del tabacco e a cui avevamo lasciato la nostra casa di Piazza Adriana, a Roma. Poi andammo a Cadenabbia, dove c'era una vecchia zia, che mi sorprese perché chiamava papà semplicemente Tom (mammina lo chiamava Marinetti). E infine andammo a Bellagio, dove l'ambasciatore giapponese Idaka ci aveva dato due stanze all'Hotel Splendid, residenza dei diplomatici accreditati presso la Repubblica. Lì papà morì, in dicembre.

Qual è il ricordo più vivo di quei mesi?
Il rantolo di papà. E la fame. Non c'era assolutamente nulla da mangiare. C'era la borsa nera, ma papà ce l'aveva vietata.

Di Salò ricorda qualche cosa?
Sì, papà fece visita a Mussolini. E una notte, picchiarono alla porta coi calci dei fucili. Avevano scavalcato il grande cancello del giardino: non si è mai saputo se fossero partigiani o tedeschi. Qualcuno gridò che dovevano prendere papà. Lui prese la rivoltella, mammina telefonò per chiedere aiuti. Loro si dileguarono. Mammina mi disse di salire ad aprire il cancello. Ecco, attraversando il giardino buio, conobbi la paura: non la paura di morire, la paura e basta.

Marinetti era stato molto ricco. A quel punto...
Gli restava poco, e non guadagnava nulla. Il “Corriere della Sera” non lo faceva collaborare; dall'Accademia d'Italia non arrivava niente. Sa, Marinetti aveva finanziato le innumerevoli attività futuriste, si occupava sempre degli altri, la nostra casa era sempre piena di gente, e lui viaggiava continuamente. Deve immaginare: se partiva per esempio da Roma per Berlino, affittava vari scompartimenti, si portava amici, segretari e segretarie, archivi, appunti; e in treno continuava a lavorare.

Ora vorrei tornare all'inizio. Era nato nel 1876, ad Alessandria d'Egitto. Questo fatto è importante? 
Molto importante. Non solo perché in lui rimase sempre qualcosa di orientale, per esempio il suo gusto dei tappeti. Ma anche perché Alessandria era un crogiuolo ribollente di culture e di nazionalità; è lì che in lui prese corpo il mito dell'Italia, e il mito del mare. E poi la passione letteraria. Il padre, Enrico, era un grande avvocato. Era addirittura l'avvocato di re Fuad per le questioni relative al taglio dell'istmo di Suez. Ed era un uomo severo, duro, distante. L'intellettuale era la madre, che al bambino declamava poesie passeggiando in riva al mare. Se lei legge “Otto anime in una bomba”, alla sesta troverà la donna marinettiana: oggetto di un amore tenerissimo, delicato, come di sogno... Poi, a sedici anni entrò al Saint François Xavier, un collegio di gesuiti francesi, dove incontrò un insegnante di lettere che, a quanto pare, era geniale, e che fu decisivo per l'educazione di papà.

Da qui, immagino, il suo splendido francese. Però fu espulso.  
Fu espulso perché aveva introdotto i libri di Zola. I gesuiti erano colti e aperti, ma non fino a Zola... Allora andò a Parigi per fare il baccalaurèat. Lei lo immagina, nella Parigi di quel tempo, un bel ragazzo, pieno di vita, con danaro in tasca, con una cultura letteraria eccezionale... Non si deve dimenticare: Marinetti era un grande letterato. Presto cominciò a pubblicare nell' Antologie-Revue. E con il poemetto “Les Vieux Marins” vinse un premio, e fu declamato nientemeno che da Sarah Bernhardt. A questo punto, tutte le porte erano spalancate.

Però torna in Italia.
Sì, suo padre era tornato a Milano, abitava in Via Senato 2, e per fargli piacere, lui andò a Pavia a studiar legge. Nel frattempo era morta la madre....

Tra il 1902 e il 1904 (io conosco solo le bibliografie) Marinetti pubblica “La Conqute des ètoiles”, “Destruction”, “La momie sanglante”. Sono titoli ancora simbolisti, ma già molto marinettiani. E poi un “D' Annunzio intime”. Perché D'Annunzio?
Ammirava molto D' Annunzio, lo considerava il poeta eterno, e il poeta italiano. Più tardi, quando verrà ferito, D' Annunzio lo andrà a trovare, con un immenso mazzo di rose rosse.

Nel 1905, pubblica quello che secondo me è il suo primo capolavoro, il “Roi Bombance”, dove i rivoluzionari divorano il re per poi rivomitarlo. In una lettera al Pascoli, definisce “Roi Bombance” (poi “Re Baldoria”) "une tragèdie de la Faim".
Sì, secondo me, “Roi Bombance” è stato scritto molto prima, forse già nel 1900, e indubbiamente rappresenta una prima esplosione dell' incubo politico-sociale.

C'è rapporto con l'"Ubu roi" del grande Jarry?
Forse. Esiste una fitta corrispondenza tra Jarry e Marinetti: Jarry gli inviava i suoi manoscritti per avere un giudizio, e poi i due avevano in comune il gusto per l'eversione.

Nel 1905, inizia la rivista "Poesia" con una bella copertina ancora liberty.
Se ne stupisce? In Marinetti c'era una forma di romanticismo, che resterà in lui, come, credo, in tutti i grandi uomini dell' Avanguardia. È come "il profondo" di Marinetti. “Poesia” è molto importante. Intanto perché è una rivista internazionale, e questa internazionalità resterà una costante nel suo lavoro. E poi io sono convinta che fin d'allora Marinetti avesse concepito un programma intellettuale, teorico e letterario ben preciso, che poi sfocerà nel Futurismo.

Già, non ci siamo ancora arrivati. Ma prima, mi tolga una curiosità. Ho sentito dire, oppure ho letto che in quegli anni si occupava anche di occultismo. La cosa non era rara, ma...
E' vero. Ho trovato vari articoli, che papà scriveva per riviste di occultismo. Come dire? Marinetti era sensibile alle "forze esterne", a un aldilà inteso non come morte ma come "un' altra vita", e poi "vedeva oltre", anche nel senso... Pensi per esempio a come sono attuali le sue "sintesi teatrali". Se lei leggerà l'“Aeropoema di Gesù”, vedrà che c'era in lui un problema, come dire?, poetico-religioso".

Chi sono gli amici di questo periodo?
Moltissimi. Per esempio, Capuana, Guido da Verona, Gustavo Botta, soprattutto Paolo Buzzi, un interessantissimo scrittore, che resterà sempre futurista.

Qui compare anche una certa Tèrèsah, primo grande amore di Marinetti?
Sì. Tèrèsah è stata la prima scrittrice futurista... Come Rosa Rosà, o Mina Loy, o più tardi la Ginanni e molte altre, pone il problema della donna futurista, della sua parità con gli uomini: problema difficile, data la condizione sociale della donna nell'Italia di allora.

Così siamo al Manifesto del 1909, pubblicato nel “Figaro”.
Il Manifesto era stato concepito prima, e aveva avuto una gestazione faticosa. Ne esistono cinque o sei stesure, che nessuno ha mai studiato. C'è il racconto di Palazzeschi, che aspetta in anticamera di vedere Marinetti, ma Marinetti se ne sta dentro a discutere con gli amici. Palazzeschi si addormenta. Quando si sveglia sono le sette del mattino, e vede uscire Marinetti molto soddisfatto: il "movimento" era nato. Questo racconto le dà anche l'idea di come vivevano i futuristi.

La mia impressione è che, col Manifesto, la letteratura deflagra, si espande, ricade su altri terreni...
Non c' è dubbio. Il futurismo è un programma di vita, di azione, di eversione. Non per nulla investirà la pittura, la scultura, la musica, lo spettacolo, la grafica, la tipografia, perfino l'abbigliamento e la cucina. E poi è importante che, nel 1909, prenda forma per la prima volta il tipico medium futurista, appunto il manifesto, diffuso istantaneamente in tutto il mondo, in tante lingue, in molti modi, per esempio attraverso il lancio dalla Torre dell'Orologio di Venezia. Una tecnica straordinaria e nuova di pubblicità.

Già, quanti manifesti avranno fatto i futuristi? Intanto l'anno dopo, arrivano i pittori, Russolo, Carrà, Boccioni e Severini, poi tutti gli altri, Balla, Prampolini...
Era un incontro inevitabile, iscritto nel programma. Credo che fu Buzzi a presentare Boccioni a papà.

Poi vennero le famose "serate futuriste".
Di queste serate ci sono molti ricordi di papà, e anche Cangiullo le ha descritte bene. Cominciarono nelle piazze, con l' idea di unire palcoscenico e platea, di coinvolgere, come si dice adesso, gli spettatori. Sono una parte importante del futuro "teatro totale" futurista. Poi passarono nei teatri, a Milano, a Torino, a Trieste... Le serate futuriste erano dei pandemoni: i futuristi declamavano e arringavano; il pubblico rispondeva con ingiurie e spesso con lancio di frutta e di ortaggi. Vittorio Cini ha raccontato che lui e i suoi amici anti-futuristi affittavano i palchi muniti di carote, e subito cominciava la bagarre. Ma a quel punto i futuristi avevano già vinto. Ho letto che mio padre agguantava le carote e se le mangiava tranquillamente seduto in poltrona.

Nel 1910, Marinetti venne processato per oscenità, a seguito della traduzione italiana di un altro dei suoi grandi libri, "Mafarka il futurista". Perchè oscenità?
Per lo stupro delle negre nel terzo capitolo. E in quella piccola Italia vaticana, perbenista e meschina, si capisce. Ma in realtà, fu un processo a Marinetti e al Futurismo. Papà venne magistralmente difeso da Innocenzo Cappa, che era un grande avvocato e un uomo meraviglioso, e che ricordo benissimo. Accusò la magistratura di doppiezza e di vigliaccheria: il processo racconta bene l'Italia confusa e depressa di quel tempo.

Non possiamo ricordare tutti i manifesti e i libri di quegli anni: sono un' infinità. Ma a quel punto cominciarono le manifestazioni interventiste, e lì Marinetti conobbe Mussolini, e insieme vennero anche imprigionati.
Sì, per molto tempo, fino al ' 20, papà restò convinto che Mussolini fosse un vero rivoluzionario. Nel 20, stracciò la tessera del Fascio accusandolo di tradimento. Poi, nel ' 24, si riavvicinò a lui e poi gli rimase fedele, perché questa era un' altra caratteristica di Marinetti: era fedele: alle donne, agli amici, e anche a Mussolini.

Facciamo un salto in avanti. Nel 24, quando si riavvicina al fascismo, Mino Somenzi organizza a Milano un Congresso futurista e solenni Onoranze nazionali a Marinetti. Che significa?
Me lo sono a lungo domandato. Da un lato, era certamente una maniera di fare il punto su un movimento che compiva i quindici anni. Ma forse era anche una dimostrazione di forza: la politica, va bene, ma Marinetti era il capo di ben altro: di un grande movimento che, non lo dimentichiamo, era internazionale.

Ora facciamo un salto indietro...
Dobbiamo accennare alle "parole in libertà". Non al libro “Les mots en libertè”, che è del 1919, ma alla pratica parolibera applicata, per esempio, in un altro libro importante, “Zang Tumb Tumb”, del 1914, dov'è descritta la battaglia di Adrianopoli. L'idea era nata prima, nel 1911, in Libia, dove papà era andato come corrispondente di “L'Intransigeant”. Si trattava di rendere i rumori della battaglia, l'angoscia del silenzio, la nuova musicalità meccanica, di usare i numeri in funzione letteraria, di spaziare le parole e di allungare le vocali, di stravolgere la sintassi, la punteggiatura, l'ortografia e la tipografia. Nei “Taccuini” si vede bene l' origine di tutto questo.

Poi ci fu la sospirata guerra...
In guerra, papà venne ferito tre volte, l'ultima delle quali, gravemente, all'inguine. Nei “Taccuini”, la guerra come fatto è atroce: fango, gelo, fatica, sangue, disperazione, morte. Ma la guerra era un dovere. Papà le ha fatte tutte: la Libia, la guerra bulgaro-turca, la prima e la seconda guerra mondiale, l' Etiopia..., tutte salvo la guerra di Spagna. Diceva ai giovani che bisognava combattere, e quindi lui partiva per primo.

Nel 1919, i futuristi andarono a Fiume. Ci andò anche Marinetti?
Certo. E lì ci fu un malinteso con D' Annunzio, che forse temeva che i futuristi gli rubassero l'impresa.

Subito dopo, ci fu l'incontro con Benedetta, il grande amore, su cui molti ironizzarono, come su una rinuncia al Futurismo.
Ma fu il contrario! Papà la incontrò nello studio di Balla, a Roma, dove un giorno incontrò Alberto Cappa, liberale e più tardi antifascista, che gli parlò della giovane sorella, pittrice e scrittrice. Papà disse che la voleva conoscere, e Alberto andò a chiamarla nella vicina Via Paisiello. Così ci fu il primo incontro, che all'inizio fu un incontro letterario. Poi divampò l' amore. Benedetta era giovane, piemontese, di madre protestante, figlia di un' alta borghesia molto rigida. Un bel giorno si presentò allo zio Innocenzo, di cui le ho già parlato, e gli annunciò che aveva deciso di vivere con Marinetti. Lei può immaginare le reazioni... Si sposarono più tardi, quando nacque Vittoria, e fu un matrimonio riuscito e felice.

Signora Luce, mi rendo conto che dobbiamo trascurare un'infinità di cose. Ma vorrei parlare un istante dell'aeropittura.
Sì, non abbiamo parlato del viaggio di papà in Russia nel 1914, della grande mostra a Berlino del 1921, della lettera aperta a Hitler del 1934, che protestava contro l'antisemitismo, contro il bando agli artisti "degenerati", e in cui invitava questi artisti a casa sua. Non abbiamo parlato di mille cose: il Futurismo e la vita di mio padre sono un oceano tempestoso, che non si placa mai. L'aeropittura venne al mondo dopo la trasvolata di Balbo da Orbetello a Chicago. Lei capisce: la macchina era per papà un idolo ma un idolo troppo lento. L'aereo era un' altra cosa: nuovi spazi, nuove sensazioni, nuove percezioni dell' universo. Volava con Caproni sopra le Alpi, facevano cose dell'altro mondo. L'aereo era il nuovo simbolo futurista, che permetteva di avvicinarsi alla dimensione della simultaneità.

Piero Bellanova mi ha detto che Marinetti era superstizioso.
È vero. Guardi: questo è un mezzo ferro di cavallo della prima guerra mondiale, e questo è un corno di cervo spezzato, su cui è scritto di suo pugno: Marinetti 1917.

Non gli servirono a molto.
No, alla fine purtroppo no. Però che incredibile vita è stata la sua!


“la Repubblica”, 20 marzo 1986  

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