Laura Conti |
«Obiettività
scientifica e partecipazione affettuosa, lucidità di analisi e
impegno militante». Con questa
formula si esprimeva su Laura Conti Mario Spinella, che con lei fondò
e diresse l’Associazione Gramsci. Laura Conti diresse anche la
Casa della Cultura di Milano.
La storia di Laura Conti
racconta con la molteplicità del suo impegno l’unità di una
visione attenta e partecipe in cui non hanno molto significato le
separazioni tra privato e politico, poesia e scienza, individuo e
ambiente, natura e cultura. La concretezza con cui ha lavorato ne
fanno un riferimento politico ed etico utile e necessario ai nostri
tempi.
Laura Conti da piccola
visse a Trieste, poi a Verona e infine a Milano, che considerò
sempre la sua città. I suoi genitori erano stati costretti ad
abbandonare Trieste in seguito all’impegno antifascista dei
genitori, che avevano perso la propria azienda commerciale. A Milano
la famiglia avrebbe avuto una vita dura, isolata, senza contatti: «la
mia divenne una famiglia che si opponeva al mondo, disperata e molto
sola».
Sulla sua educazione
resta una sua testimonianza diretta: «in casa non si occupavano di
spiegarmi le cose: avevo tutti i libri a mia disposizione, non avevo
che da attingere agli scaffali, liberamente, prima ancora di andare a
scuola». Ma probabilmente fu proprio questa modalità ad abituarla
alla ricerca autonoma, alla riflessione, alla libertà.
Come molte donne, nella
prima giovinezza Laura costruì la propria immagine per differenza,
ripensando alle scelte di sua madre: «mia madre era maestra e
rinunciò al suo lavoro adattandosi al modello di mio padre che,
coraggioso e onesto intellettualmente, era tuttavia un tiranno della
peggior specie. Lei era una meridionale succuba del modo tradizionale
di concepire la famiglia. Però soffriva e io lo avvertivo…»
Proprio per questo Laura
si rese molto presto conto che i ragazzi avevano diversi modelli cui
ispirarsi, ma che quello proposto alle donne era prevalentemente
quello della casalinga-madre, che a lei risultava estraneo. Forse per
questo ebbe una vita ricca di amicizie, intellettualmente,
professionalmente e affettivamente importanti, ma non costruì una
famiglia, probabilmente anche per il dolore seguito alla perdita di
Armando Sacchetta, divenuto suo compagno nel lager di Bolzano e morto
pochi giorni dopo la Liberazione in seguito all’emorragia seguita a
un intervento chirurgico effettuato nel tentativo di arrestare una
cancrena.
D’altra parte lei
stessa aveva scritto: «pensavo che mi sarei fatta una vita mia,
eventualmente con dei figli, ma priva dei legami coniugali che mi
facevano orrore. Così è stato e se i figli non sono venuti, non si
è trattato di una mia scelta».
Quando a scuola le
regalarono una biografia di Maria Curie, pensò di aver trovato un
modello che si le si adattava meglio: «non è escluso che anche di
qui sia nata la mia passione per le scienze».
Laura si iscrisse alla
facoltà di medicina e nel 1944 entrò nelle file della Resistenza,
aderendo al Fronte della gioventù per l’indipendenza nazionale e
per la libertà. Ebbe il rischioso incarico di fare propaganda presso
le caserme. «Avevo molta paura ma al contempo avevo la sensazione
che il mondo fosse troppo piccolo per albergare i nazisti e me, che
fosse persino necessario morire, perché se i nazisti avessero
trionfato, il mondo non avrebbe più avuto attrattive». Venne
arrestata già nello stesso 1944 e, dopo una breve detenzione nel
carcere di San Vittore a Milano, fu trasferita nel Campo di transito
di Bolzano, dove rimase fino alla fine della guerra.
Questa esperienza le
avrebbe suggerito un’opera narrativa, La condizione
sperimentale, scritta nel 1965 in cui ripercorre la sua
esperienza nella Resistenza e nel Campo di transito di Bolzano.
L’esperienza fatta
l’avrebbe indotta anche a riprendere la riflessione sul ruolo
femminile, dopo aver constatato la subalternità al modello
tradizionale di molte delle donne che avevano condiviso la sua
esperienza di detenzione. Donne che avevano scelto di lottare per un
mondo nel quale gli uomini vivessero un rapporto democratico, senza
che ciò trasformasse la subalternità delle donne.
La scrittura sarà un
altro dei tratti costanti della vita di Laura Conti. Prima di La
condizione sperimentale aveva già scritto Cecilia e le
streghe, sua opera prima, con cui nel 1963 aveva vinto il premio
Pozzale. Il romanzo, quasi un thriller scritto con grande finezza per
le ambientazione e gli stati d’animo di cui restituisce la potenza,
soprattutto nei vuoti impossibili da descrivere, prende le mosse da
un misterioso incontro fra due donne, nelle strade deserte di Milano
in una sera di mezz’agosto e affronta con toni poetici i temi della
malattia, della morte, del dolore, della fede e dell’eutanasia,
affrontando pienamente le pieghe del rapporto fra medico e paziente.
Alle opere narrative si
sarebbero aggiunti nel tempo molti saggi, che documentano l’intensa
attività di divulgatrice scientifica di Laura Conti.
Finita la guerra, Laura
Conti si specializzò in ortopedia e affiancò la professione di
medico con l’attività politica e l’impegno culturale.
Si iscrisse dapprima allo
PSIUP, cui aderì fino al 1951, quindi al PCI e tra il 1960 e il 1970
fu consigliera alla Provincia di Milano, nel decennio successivo fu
consigliera alla Regione Lombardia e tra il 1987 e il 1992 fu eletta
alla Camera dei Deputati.
Non ebbe mai alcuna
remora a prendere posizioni contrarie a quelle ufficiali del partito
in cui militava, come avvenne per esempio nella questione del
nucleare, decisamente avversato, in contrasto con quanto sostenuto
dal PCI.
Si avvicinò alle scienze
biologiche e all’ecologia quando le questioni ambientali non erano
per nulla nell’agenda politica istituzionale. Il suo approccio a
questi temi fu di grande originalità: con grande anticipo sulle
riflessioni circa la “sostenibilità” ambientale e sociale delle
scelte industriali, economiche e politiche, Laura pose come primaria
la relazione fra politica e ricerca tecnologica e scientifica.
Frequentò fin dagli
inizi del 1970 “Medicina democratica”, il centro di
controinformazione sulla salute e sulla nocività in fabbrica fondato
da Giulio Maccacaro. Intorno alla rivista «Sapere» si riunivano
scienziati e intellettuali che cominciavano a tessere i primi
collegamenti tra posto di lavoro e diritto alla salute, tra economia
e diritto all’ambiente.
Il metodo che Laura Conti
adottava nel lavoro politico richiedeva l’analisi dei problemi
ambientali, condotta attraverso la valutazione di tutta la
documentazione disponibile, quindi il coinvolgimento della
popolazione nella ricerca di una soluzione che fosse scientificamente
efficace, ma anche socialmente accettata. Adottò questo approccio
anche nel 1976 durante l’emergenza della nube tossica sviluppatasi
a Seveso dagli impianti Icmesa.
Seveso divenne per lei la
dimostrazione paradigmatica degli errori nell’uso del territorio:
«della mancanza di controlli pubblici contro lo strapotere degli
interessi privati, dell’impotenza della pubblica amministrazione di
un paese, pur industriale e civile, come l’Italia, di fronte a un
disastro ecologico imprevisto, ma non imprevedibile».
Laura Conti ha fatto
capire agli italiani che, oltre all’ecologia delle piante e degli
uccelli, conta anche quella delle fabbriche, dei lavoratori, delle
periferie urbane. Divenne così una figura chiave del nascente
movimento ambientalista italiano. Non semplificò mai una materia di
per sé complessa e articolata, ma tenne sempre come punto fisso un
principio semplice: per occuparsi di politica ambientale è
necessario accostare alla sensibilità sociale il sapere scientifico.
Ancora una volta
l’esperienza vissuta le ispirò un’opera letteraria Una lepre
con la faccia da bambina (1978) che tratta la crisi sociale e di
valori che il dramma ecologico dell’Icmesa aveva innescato nella
comunità della Brianza. Per essere pienamente apprezzata questa
storia dovrebbe essere letta insieme al saggio Visto da Seveso,
cronaca rigorosa degli eventi. Queste due pubblicazioni – una
narrazione e un saggio – illustrano emblematicamente le due facce
dell’impegno di Laura sui temi ambientali e il suo più generale
approccio con la realtà.
Dal 1984 la salute di
Laura Conti cominciò a peggiorare ed ella decise di andare in
pensione dalla sua professione di medico e di non accettare più
cariche pubbliche: ma nel 1987 fu nuovamente eletta in Parlamento.
In tutto questo periodo,
il suo impegno prioritario fu quello di diffondere la consapevolezza
dei grandi problemi ambientali e di affermare l’urgenza di
un’azione politica per risolverli. Fu il periodo del grande
coinvolgimento nella Lega per l’ambiente.
Nel 1990 si consumò la
sua rottura con la Lega per l’ambiente, ma non per questo Laura
ridusse le proprie attività: convegni, lezioni, scrittura la
impegnavano continuativamente, nonostante fosse affetta da una grave
patologia cardiocircolatoria. Alla fine del 92 fu ricoverata a causa
di un brusco peggioramento delle sue condizioni di salute, ma non
appena ritornò a casa, si rimise al lavoro, benché rassicurasse gli
amici dichiarando di aver ridotto le attività.
Morì il 25 maggio 1993,
nel pieno della sua attività, mentre stava progettando un nuovo
libro.
Attualmente i suoi libri
e materiali personali d’archivio sono collocati nella Fondazione
Micheletti di Brescia. A lei sono intitolate una scuola media di
Buccinasco (Milano) e un premio di giornalismo ambientale. Due giorni
di studio le sono stati dedicati a Roma, nell’ottobre 2011
dall’associazione Donne e scienza presso la Casa internazionale
delle donne. il suo nome è stato inserito nel 2007 nel Famedio del
cimitero monumentale di Milano.
Dal sito “enciclopedia
delle donne”
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