Delle traduzioni di
Tommaso Landolfi dai Racconti di Pietroburgo di Nikolaj Gogol
(apparse da Rizzoli nel 1941, in una collezione diretta da Leo
Longanesi) e delle loro attuali riproposizioni, ci siamo già
occupati su queste pagine. Adesso, altri due di quei racconti (Il
naso. Il ritratto, Rizzoli, Pagg. 241, lire 9.000) vengono
opportunamente ristampati col testo russo a fronte, e saranno
d'indubbia utilità per coloro penso in primo luogo agli studenti
universitari che s'accostano a Gogol con esigenze che vanno al di là
d'una mera assimilazione d'una fabula. Ma non di Gogol vogliamo qui
parlare (o almeno, non principalmente), e neppure dell'ormai classica
versione di Landolfi; bensì della nota introduttiva che ha scritto
per l'occasione Eridano Bazzarelli: una trentina di pagine che hanno
come tutte le introduzioni la funzione primaria di guidare il lettore
alla lettura del testo.
Bazzarelli è (ormai) uno
dei più anziani professori di russo dell'Università italiana (alla
Statale di Milano), e la sua collaudata esperienza gli ha dettato
pagine di solida dottrina e di esemplare chiarezza. Esse contengono
tuttavia due asserzioni che non mi trovano affatto d' accordo. Le due
asserzioni sembrano a prima vista sconnesse. La prima è questa:
Bazzarelli respinge come d'evidente volgarità e insensatezza
l'interpretazione sessuale del racconto Il naso e in
particolare l'ovvia metaforicità del naso per organo sessuale
maschile. Ed ecco la seconda: egli sente come invecchiata e inutile
addirittura ripugnante il suo uso la nozione e il termine stesso di
grottesco (p. 15): troppo spesso utilizzata per intendere Gogol, e
quel racconto in particolare.
Qual è il ragionamento
sul grottesco avanzato da Bazzarelli? Secondo Victor Hugo, il
grottesco è unione di bello e brutto; ma a lui questo appare privo
di senso, perché prima della trasfigurazione artistica tutto è
brutto, e dopo (se quella trasfigurazione c' è stata) tutto diventa
bello. La mescolanza dunque o è superata nell' arte e cessa
d'esistere , oppure non è superata: ma allora non vedo perché si
debba usare questo termine, quando ce n'è uno più semplice: brutto.
Questa nozione della trasfigurazione artistica come d'un qualche
processo o reazione chimica, mi lascia più che perplesso.
Ma passiamo al naso.
Respingendo l'ovvia interpretazione fallica, Bazzarelli
implicitamente rigetta come errata la tesi di Bachtin (che ovviamente
ben conosce), secondo cui nelle immagini grottesche (attenzione: qui
sta il nesso!) il naso sostituisce sempre il fallo. Gogol non aveva
certamente letto Bachtin, però aveva conosciuto a Roma Giuseppe
Gioachino Belli, che, negli stessi anni di viva moda della nasologia,
aveva scritto sull'argomento una folgorante terzina: “Eppuro, in
cuanto a uscello, ho protenzione/ che gnisun frate me po' fà paura:/
basta a guardamme er peperone” (peperone=naso). Con bel altra
distaccata erudizione, Bachtin dice la stessa cosa, citando un testo
cinquecentesco di Laurent Joubert (Erreurs populaires (...)
touchant la médicine, Bordeaux, 1579) nel cui quarto capitolo si
parla della diffusa credenza popolare secondo cui dalla dimensione e
forma del naso è possibile stabilire la taglia e la potenza sessuale
del membro virile. Ora dove sta, a mio avviso, il punto su cui
Bazzarelli si sbaglia? Nel considerare il nesso naso/fallo in termini
freudiani, sulla scorta di Nabokov: dunque, in termini a-storici e
a-culturali; mentre la chiave sta nella tradizione della cultura
popolare, su cui sono ben radicati e Rabelais, e Belli, e Gogol.
Per questa via sarà
anche agevole intendere che il grottesco non è una forma di brutto
(o di mescolanza di bello e brutto, non trasfigurata artisticamente),
ma un procedimento di connessione tra alto e basso, positivo e
negativo, che per via iperbolica mette capo a un'altra, diversa,
opposizione nell' ambito del comico: quella che l'oppone al satirico
(che, anche quando ride, è arcigno). Forse Bazzarelli è stato
indotto al suo ragionamento dalle pagine che l'accademico Vinogradov
dedicò a suo tempo alla questione, avversando fieramente per motivi
tutti ideologici, vien da supporre, l'interpretazione freudiana. Ma
l'accademico Vinogradov, a quanto mi risulta dalle poche fotografie
che ne conosco, aveva un naso bello grosso, leggermente schiacciato
verso le narici a mo' di melanzana. Forse, semplicemente, se ne
vergognava un po'.
“la Repubblica”, 8
settembre 1989
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