15.4.17

Per Elsa Morante (Nicolò Scaffai)

Alla vigilia del centenario della nascita di Elsa Morante uscì per i tipi della Sellerio un volume miscellaneo che conteneva inediti morantiani, testimonianze, contributi critici. La recensione che segue, di un critico di nuova generazione, lontano dalle polemiche suscitate dal libro più controverso della scrittrice, La Storia, coglie l'occasione per un approccio che si vorrebbe più equilibrato, meno pervaso da furori ideologici. Non mi convince, credo che la nuova stroncatura di quel libro (perché di questo si tratta), parallela ad una rivalutazione nettamente positiva dell'intera opera della Morante, non sia esente da quei pregiudizi (“ideologici”) da cui Scaffai si proclama immune. Il pezzo è comunque degno d'esser tenuto presente per una “riscoperta” che oramai mi pare non solo matura, ma addirittura urgente. (S.L.L.)

A una festa, capita di incontrare amici che non si vedevano da molto tempo. In quel caso, ci si coglie a misurare i cambiamenti che i mesi o addirittura gli anni trascorsi hanno portato, e talvolta regalato, ai volti e alle figure. L'anno scorso era il venticinquesimo dalla morte di Elsa Morante, l'anno prossimo cadrà il centenario della nascita. Prima di disporsi alle grandi manovre critiche e congressuali che le circostanze richiedono e che l'opera della Morante merita, è utile prendere in mano il volume appena pubblicato da Sellerio (Festa per Elsa, a cura di Goffredo Fofi e Adriano Sofri, pp. 194, € 14,00), per ricevere la testimonianza di quelli che la Morante l'hanno conosciuta in carne e ossa. È un po' come nella canzone del Mondo salvato dai ragazzini: quei fortunati sono i Felici Pochi agli occhi di noi Infelici Molti che oggi frequentiamo Elsa Morante solo come autore (guardiamoci dall'usare i femminili - 'autrice', 'scrittrice', e men che mai 'poetessa' - che Elsa detestava) di un libro bellissimo quale è Menzogna e sortilegio.
Il titolo di questo rendez-vous ricorda la parola Festschrift, di gusto assai più accademico; ma in fondo, se pensiamo che quel tipo di miscellanea si allestisce in vita del celebrato, la coincidenza etimologica non stona. C'è da dire che questa non è la prima Festa per Elsa, perché il titolo e gran parte dei testi appartenevano già a un numero speciale di «Fine secolo», supplemento di «Reporter» uscito nel dicembre del 1985, poco dopo la scomparsa della Morante. Intervennero tra gli altri, e ritroviamo oggi, Fabrizia Ramondino, Carmelo Samonà, Patrizia Cavalli, Ginevra Bompiani, Giorgio Agamben, Ninetto Davoli. Alla Festa del 2011 partecipa anche un ospite di speciale riguardo, la stessa Morante, di cui sono ora pubblicate alcune lettere a Fofi e la citata Canzone degli F. P. e degli I. M. Inoltre qui il co-curatore Sofri, già autore di un breve scritto nella raccolta dell'85, affida il suo ricordo anche a un più lungo memoriale-postfazione (Gli ombrelli sono bellissimi quando si aprono).
Sono proprio gli anni trascorsi fra l'una e l'altra 'festa' a permetterci, come si diceva all'inizio, di scorgere i segni del tempo; il che non vuol dire solo rimpiangere la scomparsa di alcuni amici di Elsa presenti all'epoca e qui riconvocati. Come Giorgio Caproni, che motivava la sua «defezione» dal funerale della Morante con l'insofferenza nei confronti di «chi si reca quasi goloso (...) alle esequie di un personaggio illustre soltanto per mettersi in vista». Come Natalia Ginzburg, che tornava col ricordo alla prima lettura di Menzogna e sortilegio e all'emozione di scoprire che era possibile, nella nostra epoca dove i libri erano annodati e avari, dare al prossimo un'opera così luminosa e generosa». O come Cesare Garboli che di Elsa Morante è stato il massimo intenditore, curandone le varie edizioni postume uscite da Einaudi e da Adelphi e, con Carlo Cecchi, il doppio «Meridiano» delle Opere. Ma, appunto, non sono solo questi i segni. Si tratta di una festa, non di una necrologia né di un fantastico colloquio con le ombre, come quello di Elisa in Menzogna e sortilegio.
Vale la pena leggere Festa per Elsa facendolo reagire col vivo presente: è anche un'occasione per guardare sub specie morantiana al Paese che l'autore aveva abitato e conosciuto fino al 1985, confrontandolo con quello che abitiamo e conosciamo oggi. Per esempio, nell'introduzione Fofi scrive che «La Storia divise la sinistra per il suo salvar ben poco della Storia, mentre la sua ispirazione era stata (...) quella di metterci in guardia, di mettere in guardia una generazione dai pericoli della Storia, e cioè del Potere. (...) Una messa in guardia dai rischi e dalle aberrazioni della politica, disse Norberto Bobbio che ne capiva più di noi». Non ci è oscuro nemmeno oggi il concetto di 'divisione della sinistra', ma faremmo fatica a immaginare una frattura provocata da un romanzo, per di più da un romanzo dell'entità della Storia (il recente caso-Gomorra, o meglio caso-Saviano, che qualche attrito l'ha creato, mi pare sia tutta un'altra cosa). E se dei pericoli della Storia la generazione della Morante fu più esperta della nostra, qualcosa sulle aberrazioni della politica, nel frattempo, abbiamo imparato anche noi.
Reagire col presente e nel presente, da un punto di vista critico-letterario, significa anche impegnarsi nel giudizio di valore. Elsa Morante è ormai da tempo collocata tra i primissimi scrittori italiani del Novecento, tra gli autori necessari. Per questo non le si fa più danno se si prova a rimetterne in discussione certi esiti. Anzi, una raccolta come Festa per Elsa, nel ribadire e salvaguardare la vivente eredità di affetti che la Morante ha lasciato, può forse servire per sottrarre la sua opera all'immobilità dei canoni, alla prigione dei valori indiscutibili, restituendola viva ai lettori di oggi. Lettori che possono permettersi, ad esempio, di relegare le antiche critiche a La Storia nello sciocchezzaio ideologico dell'epoca; ma che possono anche riconoscere sine ira et studio le cadute formali e gli effetti facili di quel romanzo. Non è un'idea nuova, ma non per questo è meno fondata: la precipitazione della narrativa ottocentesca, Trivialliteratur inclusa, ha prodotto un'opera sublime come Menzogna e sortilegio. Invece la saturazione di una certa topica neorealistica, che pure la Morante rifiutò quando il neorealismo era in voga, ha prodotto un romanzo di tenuta diseguale, che non sempre resiste all'attrazione del triviale. Più che in un risarcimento fuori tempo nei confronti di una moda mai amata, la ragione risiede forse nella tenace volontà di aderire alla «finzione tragica» che, scrive qui Agamben, «alla fine apre un varco al di là di se stessa. In quel varco, senza pena ne redenzione, contempliamo per un istante la pura Finzione, prima che i demoni la trascinino all'inferno o gli angeli la sollevino in cielo”.

"alias - il manifesto", 26 marzo 2011


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