20.5.17

Storia del Novecento. Il Papato e Vaticano tra difesa e attacco (Giorgio Fabre)

Pio XI
Ma papa Francesco decide tutto da solo? È davvero difficile, con quel poco che si sa di certo sul Vaticano, dare oggi una risposta a questa domanda. La recente presa di posizione della Chiesa sul funerale di Priebke, a cui Adriano Prosperi ha dedicato un notevole articolo sulla Repubblica, lascerebbe pensare di sì: che sia stata una decisione solo sua, del vescovo di Roma. Ma non è detto. La storia dei Papi e della Chiesa, a conoscerla meglio, può riservare molte sorprese. Si veda ad esempio il profondo cambiamento che ne ha modificato da non molto la storiografia relativa al Novecento. Alcuni forti segnali di novità erano arrivati nel passato: si ricordino in particolare i bei lavori di Giovanni Miccoli, di Daniele Menozzi e di Susan Zuccotti. Ma da quando sono stati aperti gli archivi vaticani, e si possono vedere i documenti fino al 1939, data di morte di Pio XI, è incominciata una nuova fase.
Davanti ai documenti veri, e non alle chiacchiere interessate, un grande numero di cose è cambiato. Sono passati dieci anni da quella apertura, il tempo giusto per far emergere studi seri. E ora disponiamo davvero di un quadro più circostanziato e di un nuovo gruppo di studiosi attrezzati e non prevenuti. È il caso di Lucia Ceci e del suo recente volume L’interesse superiore. Il Vaticano e l’Italia di Mussolini (Laterza 2013), su cui mi soffermo in particolare qui. Ma si possono aggiungere anche altri nomi di studiosi. Il riferimento ovvio è a Hubert Wolf, che ha indicato la strada con i suoi studi sul Sant’Uffizio; ma si vedano, tra gli altri, Giovanni Coco, Gabriele Rigano, Laura Pettinaroli, Paolo Valvo. Superando le forti resistenze del passato, ora i documenti vengono studiati senza dover a tutti i costi(salvo qualche eccezione) difendere l’onorabilità della cattedra di Pietro.
Una cosa che il notevole libro di Lucia Ceci ci dice è che un organismo così complesso e articolato com’è la Chiesa recente, che è pur sempre una teocrazia, non si capisce solo guardando e studiando il Papa e la Curia. Pio XI fu un Papa verticista come non si vedeva da secoli, un Papa quasi medievale nella sua aspirazione a convertire interi continenti e popoli come gli slavi. A quest’ultimo scopo si affidava a personaggi incredibili, come il gesuita Michel d’Herbigny, che con alcuni viaggi scriteriati in Unione Sovietica, alla metà degli anni venti riuscì a rovinare i rapporti tra Urss e Santa Sede e a condurre alla rottura totale e alle persecuzioni dei cattolici in quel paese.
Dall'altra, però, papa Ratti a un certo punto chiamò come suo principale braccio destro Pacelli, mediatore all'ennesima potenza, capace di gestire un collegio di cardinali più che riottosi, classi dirigenti cattoliche in tutto il mondo che chiedevano autonomia, fedeli e sacerdoti delle più disparate tendenze, spesso in forte contrasto con Roma.
I vari totalitarismi mettevano a dura prova la resistenza della Chiesa, perché facevano nascere qua e là nuove forme di religioni laiche e di misticismi di vario tipo, in concorrenza con la religione della Chiesa di Roma. Per non parlare dei rapporti con gli stati. Come sottolinea bene Ceci, da secoli la Chiesa non stipulava tanti Concordati come quelli siglati al tempo di Pio XI (ben 16, in pochi anni). Eppure, anch'essi furono a loro volta fonte di ulteriori conflitti, in Italia, in Germania, in Francia. A tutto questo poi si aggiungevano altre situazioni di scontro frontale in paesi cattolicissimi come Spagna e Messico. E quindi altri uomini e altre risorse divennero necessari per gestire questa grande situazione centrifuga: diplomatici, ordini religiosi, uomini e politici di provata fede. E ci sarebbero da aggiungere gli uomini dei mezzi di comunicazione, che proprio Pio XI, papa medievale e moderno, utilizzò in abbondanza e in concorrenza con i regimi totalitari: cinema, radio, giornali.
A proposito di collaboratori di Pio Xi, segnalo alcune altre pagine molto interessanti del libro di Ceci: quelle sull'influenza della rivista dei gesuiti, «La Civiltà Cattolica», sul Papa e sulla Chiesa tutta. Anche qui, diverse cose erano state già dette. E il campo parrebbe stranoto. Eppure, nel quadro unitario di questo libro, colpisce il rapporto, così stretto e diretto e multifunzionale, che viene indicato tra rivista (e gesuiti in genere) e azione papale e della Chiesa.
Si veda ad esempio l'analisi sull'elaborazione del concetto di «nazionalismo esagerato», poi usato da Pio XI per indicare sia i movimenti nazionalisti da condannare come l'Action Française degli anni venti, sia però, in seguito, i regimi razzisti veri e propri, come nazismo e fascismo. Il termine fu prodotto dalla rivista dei gesuiti prima dell'arrivo al soglio del Papa, ma questi lo assimilò addirittura nella sua prima enciclica, del dicembre 1922. Esso all'inizio stava a indicare il nazionalismo bellicistico, che aveva portato alla prima guerra mondiale. Applicando un termine così generico, in seguito, ai regimi razzisti, il Papa si lasciò molta mano libera (e poté dire che lui parlava appunto di «nazionalismo esagerato», non di «razzismo»). Ma in fin dei conti evitò di definire i termini possibili di una condanna della lotta tra le razze, di cui pure la Chiesa all’epoca aveva preparato gli ambiti dottrinali.
Ma «La Civiltà Cattolica» elaborò molto per tempo (1922) anche un altro concetto, quello del «complotto ebraico» tratto dai Protocolli dei Savi Anziani di Sion. E pure questo fu messo a disposizione (e usato) sia del Papa sia da molti intellettuali della Chiesa. Anch’esso fece una lunga strada. Anzi, si può affermare che, per via cattolica, i Protocolli la fecero molto più lunga di quella che avrebbero potuto fare nel solo ambito laico-antisemita in cui erano nati. Anche su questo, Ceci fornisce alcune riflessioni interessanti.
In proposito aggiungo, anzi, che ora sembrano per fortuna messe da parte le affermazioni, fatte da varie parti nel passato, su una Chiesa, anche nei suoi vertici, estranea al razzismo. Tuttavia ancora oggi esse affiorano qua e là, anche a costo di deformare i documenti. Segnalo ad esempio un recente saggio di Raffaella Perin (sull’ultimo numero della «Rivista di Storia del Cristianesimo», 2013/1), la quale arriva a dire che una lettera piuttosto imbarazzante, a proposito di ebrei e razzismo, scritta da Pacelli su indicazione di Pio XI, non fu consegnata a Mussolini. Quando ormai invece è dimostrato che essa, rifatta l’8 agosto 1938 dal padre gesuita Tacchi Venturi (il trait d'union del papa con Palazzo Venezia), fu letta e consegnata da costui al duce: lo stesso Tacchi Venturi ha scritto che Mussolini la «ritenne presso di sé». Forse Tacchi Venturi nella sua rielaborazione calcò un po’ la mano sui dettagli di quella lettera, esaltando il fatto che i Papi in passato avevano segregato gli ebrei nei ghetti (per premunirsi «contro le loro malefatte»). Ma il senso non era diverso da quanto la Chiesa aveva scritto e ammesso negli anni passati. E Mussolini ebbe tra le mani quella lettera e anche quella gli servì come arma di ricatto per ottenere un accordo con la Chiesa sul razzismo.
Storia complessa ed ecumenica, quella dell’istituzione Chiesa. Piena di meandri, intessuta di rapporti, interni ed esterni, difficili da seguire. Talvolta difensiva in modo arcigno e ossessivo, come fu al tempo di Pio XI e di Pio XII. O conciliante, come quella di Giovanni XXIII e Paolo VI. Talvolta aggressiva, perfino nel chiedere scusa, come fu quella di Giovanni Paolo II: che dichiarò per ben 94 volte le colpe avute dalla Chiesa nella sua storia, quasi a dire che essa era così benedetta da Dio da potersi permettere di avere tanto sbagliato. Ma, di sicuro, si tratta di un’istituzione mondiale e millenaria. Ben venga papa Francesco, ma questo passato non lo potrà negare o distruggere. Lui che tra l’altro proviene dal più strutturato e istituzionale (e intelligente) dei segmenti della Chiesa, la Compagnia di Gesù.


Alias domenica – il manifesto 20 ottobre 2013

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