26.6.17

Errori. Una ouverture appassionata (Valentino Parlato)

Quella che segue è la risposta alla domanda Quale credi sia stato l'errore più grosso che avete commesso?, che Giancarlo Greco rivolge a Valentino Parlato nel libro-intervista La rivoluzione non russa (Manni 2012), dedicato alla storia del “manifesto”. (S.L.L.)   
Valentino Parlato tra Vittorio Foa e Lucio Magri
Quello che fu all’origine della nascita della rivista e del quotidiano: l’illusione che nella seconda metà degli anni Sessanta fosse iniziata un’avanzata impetuosa e inarrestabile del movimento operaio. Fu l’abbaglio fondamentale ma anche il più provvidenziale. Nella lunga lista delle idee innate ce n’è una particolarmente resistente, difficile a morire, che vede nell’errore una sciagura. È un’idea stupida. La vita dell’uomo, dalla sua nascita alla sua morte, è un insieme di tentativi a volte azzeccati, a volte miseramente falliti. E se siamo uomini e non anime belle, lo si deve proprio a questo, alla capacità di rimettersi in piedi dopo la caduta. Come dice un proverbio francese: “Cadere sette volte, rialzarsi otto”. E aggiungerei che l’unico modo per tollerare il logorio quotidiano della battaglia politica è credere in un avvenire migliore che non si realizzerà mai, in mancanza del quale per molti il motore della militanza finisce per diventare l’interesse immediato, il realistico, pragmatico, postideologico arricchimento della propria parte. Come dimostrano i nostri conti in banca, noi del “manifesto” abbiamo perseguito la prima strada, credendo forse in illusioni vane, ma la cui eticità ha via via alimentato le battaglie del presente.
In questo senso, la speranza in una rivoluzione italiana ci diede energia per combattere, talvolta in solitudine, le malefatte e i disastri di oltre un trentennio. Difficile dire cosa sarebbe l’Italia senza la concreta difesa della democrazia che tanti come noi, pur vagheggiando un avvenire socialista, condussero giorno dopo giorno. Cosa sarebbe stato del nostro Paese se una parte delle sue coscienze non si fosse fermamente opposta a scenari e tentazioni autoritarie. Questo perché il capitolo sui nostri abbagli non abbia come colonna sonora una musica di requiem, bensì una ouverture tragica ma appassionata, e comunque una ouverture, dunque piena di speranza.

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