2.6.17

La rivoluzione repubblicana di Mazzini. Modernità della «Giovine Italia»

Il programma della «Giovine Italia» fu elaborato e diffuso da Mazzini nell’estate del 1831, dopo il fallimento dei moti italiani e dopo aver inviato una lettera senza esito a Carlo Alberto, in cui invitava il nuovo re sabaudo a mettersi alla testa del movimento di riscossa nazionale italiano: per tutta risposta il sovrano del Regno di Sardegna emanò l’ordine d’arrestare Mazzini e, con ciò, pose fine a ogni speranza riposta da questi nello stato piemontese.
L'istruzione generale per gli affratellati della Giovine Italia raccoglieva i principi fondamentali e gli indirizzi programmatici del pensiero di Mazzini sulla base dei quali egli svilupperà tutta la sua attività politica. Il punto di partenza risiedeva nella critica alle «ormai superate» pratiche carbonare: «Vi è un periodo nella vita dei popoli, come in quella degli individui, nella quale le nazioni s’affacciano alla libertà, come le anime giovani all’amore: per istinto - per bisogno indefinito e segreto - ma senza conoscenza intima della cosa bramata, senza studio dei mezzi, senza determinazione irrevocabile di volontà, senza fede. Allora la libertà è passione di pochi privilegiati a sentire e soffrire per tutta una generazione. (...) Allora le rivoluzioni si tentano artificialmente con le congiure: gli uomini liberi si raccolgono a metodi d’intelligenza misteriosa, s’ordinano a fratellanze segrete, costituiscono setta educatrice e procedono tortuosi. Però che le moltitudini durano inerti e i più vivono astiosi al presente ma spensierati nell’avvenire - e se taluno muove guerra al tempo, e tenta di rivelarlo a milioni, i milioni lo ammirano onesto, ma lo scherniscono sognatore». Nonostante i fallimenti del passato, Mazzini riteneva che fossero maturi i tempi per un nuovo metodo rivoluzionario che coinvolgesse il popolo, una convinzione che traeva dall’osservazione storica e dalla fede nel progresso: «Quando un popolo, diviso in mille frazioni, guasto dalle abitudini del servaggio, ricinto di spie, oppresso dalle baionette straniere, divorato per secoli dall’ire municipali, stretto tra la cieca forza del principato e le insidie sacerdotali, senza insegnamento, senza stampa, senz’armi (...) trova pur modo di sorgere tre volte in dieci anni (....), quando in dieci giorni la bandiera italiana sventola sopra venti città e gli uomini della libertà invocano confidenti i comizi popolari per concertare opportune riforme (...) allora compiangete quel popolo, che le circostanze condannano ancora all’inerzia: ma non lo calunniate: v’è una scintilla di vita in quel popolo, che un dì o l’altro porrà moto a un incendio». Evidenti i riferimenti ai moti italiani del decennio 1821-31: per Mazzini esistevano tutte le premesse e le condizioni per una rivoluzione nazionale, previa una strategia e un metodo politico adeguati per coinvolgere il popolo e rendere concreta quella che fino ad allora era rimasta solamente una potenzialità mai pienamente espressa. Mazzini non dubitava nemmeno per un momento che il destino dell’Italia fosse quello di essere una nazione. Una convinzione che gli derivava sia da una visione romantica della storia (la tradizione culturale italiana e la sua «missione» universalistica), sia dalla sua fede nel progresso che affidava agli uomini il compito di realizzare la «missione» del miglioramento continuo della condizione dell’umanità. Questa fede nel progresso, nella realizzazione di una missione storica - personificata dalla «gioventù» in quanto futuro dell’umanità - giustificava il dovere della rivoluzione e ne faceva il mezzo indispensabile per il cambiamento.
Il luglio francese insegnava anche questo: «Il momento sorse, la gioventù lo afferrò. Il cannone dell’Hotel de Ville tuonò la chiamata. La gioventù si levò come un sol uomo: la gioventù vinse. Cortigiani, baionette, trono, tutto rovinò davanti all’impeto d’un princìpio. Il sole del 27 aveva diffusa la luce sopra ogni cosa: il sole del 29 non salutò che una bandiera: la bandiera del secolo».
Dentro questa filosofia della storia - piena di evocazioni religiose - Mazzini collocava il senso dell’esistenza e del programma della «Giovine Italia», lo strumento della storia e del progresso nella Penisola: «Noi lo dichiariamo solennemente: per giovine Italia noi non intendiamo che un sistema, voluto dal secolo: quando noi combattiamo la vecchia non intendiamo combattere che un sistema, rifiutato dal secolo!». Lo sviluppo storico generale, per Mazzini, giustificava la sua impostazione politica e la nuova organizzazione, la cui bandiera «sarà il tricolore con iscritte da un lato le tre parole d’ordine universali, Libertà, Eguaglianza, Umanità, e, dall’altro, le parole d’ordine italiane: Indipendenza, Unità»; un’organizzazione che sarà «la fratellanza degli italiani credenti in una legge di progresso e dovere», che avrà uno scopo preciso, «restituire l’Italia in Nazione di liberi e uguali, Una, Indipendente e Sovrana».
La rivoluzione di Mazzini aveva, quindi, un senso nazionale: ma far dell’Italia una nazione significava concretizzare in un’istituzione statale la tendenza storica all’unità del paese: «Senza unità di credenza e di patto sociale, senza unità di legislazione politica, civile e penale, senza unità d’educazione e di rappresentanza, non v’è nazione. Senza unità - continuava Mazzini, criticando il federalismo - non c’è forza e l’Italia, circondata da nazioni unitarie e potenti e gelose, ha bisogno innanzitutto di essere forte (...) Il federalismo, condannandola all’impotenza della Svizzera, la porrebbe sotto l’influenza necessaria d’una o d’altra delle nazioni vicine (... ) il federalismo, smembrando in molte piccole sfere la grande sfera nazionale, cederebbe il campo alle piccole ambizioni e diverrebbe sorgente d’aristocrazia». Assieme all’unità, la repubblica è l’altro obiettivo e principio guida dell’azione della «Giovine Italia», «perché teoricamente, tutti gli uomini d’una nazione sono chiamati, per la legge di Dio e dell’umanità, a essere liberi, uguali, fratelli; e l’istituzione repubblicana è la sola che assicuri questo avvenire, perché, la sovranità risiede essenzialmente nella nazione, sola interprete progressiva e continua della legge morale suprema». Inoltre anche la repubblica era iscritta nel percorso storico: «La serie progressiva dei mutamenti europei guida inevitabilmente la società allo stabilimento del principio repubblicano, e l’inaugurazione del principio monarchico in Italia trascinerebbe necessariamente la necessità d’un’altra rivoluzione tra non molti anni. (... ) Perché la tradizione italiana è tutta repubblicana: repubblicane le grandi memorie (... ) e la monarchia s’introdusse quando cominciava la nostra rovina e la consumò: fu serva dello straniero, nemica del popolo e dell’unità nazionale».
Ma come raggiungere l’unità e la repubblica? Mazzini «rompeva» con i precedenti moti liberali, indicando un metodo fondato sull’educazione e sull’insurrezione: «Questi due mezzi devono usarsi concordemente e armonizzarsi. L’educazione, con gli scritti, con l’esempio, colla parola, deve conchiudere sempre alla necessità e alla predicazione dell’insurrezione; l’insurrezione, quando potrà realizzarsi, dovrà farsi in modo che ne risulti un principio d’educazione nazionale. L’educazione necessariamente segreta in Italia, è pubblica fuori d’Italia. I membri della Giovine Italia devono contribuire a raccogliere e alimentare un fondo per le spese di stampa e diffusione. La missione degli esuli italiani è quella di costituire l’apostolato. L’intelligenza indispensabile ai preparativi dell’insurrezione è, dentro e fuori, segreta».
Anticipando alcune delle caratteristiche dei moderni partiti politici Mazzini insisteva molto sulle modalità d’azione degli affiliati alla sua associazione e nell’Istruzione generale per gli affratellati della Giovine Italia ne indicava i quattro caratteri generali. Sarà un’insurrezione a carattere popolare perché «destinata a formare un Popolo, agirà in nome del Popolo e s’appoggerà sul Popolo negletto finora, mentre le insurrezioni passate non s’appoggiarono che sulle forze d’una classe sola, non mai sulle forze dell’intera nazione». Dovrà poi essere un’insurrezione prettamente italiana e non ispirata dall’estero: «L’Italia può emanciparsi colle proprie forze» perché «qualunque insurrezione s’appoggi sull’estero dipende dai casi dell’estero e non ha mai certezza di vincere». In terzo luogo avrà due distinti momenti, prima con l’instaurazione di una dittatura provvisoria e poi con la creazione di un potere popolare fondato sull’elezione di un’Assemblea costituente: «La Giovine Italia distingue lo stadio dell’insurrezione dalla rivoluzione. La rivoluzione comincerà quando l’insurrezione avrà vinto. Lo stadio dell’insurrezione, cioè il periodo che si estenderà dall’iniziativa alla liberazione di tutto il territorio italiano continentale, dev’essere governato da un’autorità provvisoria, dittatoriale, concentrata in un piccolo numero d’uomini. Libero il territorio, tutti i poteri devono sparire davanti al Concilio Nazionale, unica sorgente d’autorità nello Stato». Infine dovrà essere preparata e iniziata dalla guerriglia: «La guerra nazionale d’insurrezione per bande è la guerra di tutte le nazioni che s’emancipano da un conquistatore straniero. Essa supplisce alla mancanza, inevitabile sui princìpi delle insurrezioni, degli eserciti regolari. (... ) La Giovine Italia prepara dunque gli elementi a una guerra per bande e la provocherà, appena scoppiata l’insurrezione. L’esercito regolare, raccolto e ordinato con sollecitudine, compirà l’opera preparata dalla guerra d’insurrezione».
Per unificare il popolo a sostegno della rivoluzione Mazzini non credeva - a differenza di Buonarrotti - che fossero necessari contenuti sociali e di carattere comunistico: per muovere il popolo egli riteneva bastasse «esporgli l’utile materiale che deve indurlo all’azione», cioè la propaganda per convincerlo a muoversi: «Là, nelle mille angherie, nelle vessazioni infinite, nell’insulto perenne d’un insolente potere, d’una esosa aristocrazia (...) di là avrete a trarre quel grido che può far sorgere. Gridate all’orecchio del popolo: la tassa prediale v’assorbe la sesta parte o la quinta dell’entrata, le gabelle imposte alle polveri, ai tabacchi, allo zucchero, ad altri generi coloniali, agguagliano la metà del valore; il prezzo del sale, genere di prima necessità, v’è rincarito di tanto che né potete distribuirne al bestiame, né potete usarne per voi medesimi; la necessità d’adoperare per le menome contrattazioni la carta soggetta a bollo v’è sorgente continua di spesa». Una rivoluzione priva di ogni carattere classista, perché l’idea stessa di repubblica dovrebbe bastare per attivare le masse, perché il governo della repubblica si baserà sulla «volontà generale», eliminando arbìtri e privilegi. Una rivoluzione, cioè, nazionale e borghese.


Da La Conquista, II fascicolo: “Rivoluzioni”, speciale de “il manifesto” per i 150 anni dell'Unità d'Italia a cura di Gabriele Polo, 2011

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