25.6.17

Leibovitz-Sontag. C'eravamo tanto amate (Marcello Sorgi)

Una coppia, la vita di una coppia eccentrica di donne che si amano e cercano di condividere tutto dei loro strani giorni, del lavoro, dei viaggi, delle case disseminate in giro per il mondo, degli alberghi più belli, delle navi, degli aerei, delle città e dei deserti. Annie Leibovitz, la famosa fotografa, e Susan Sontag, la scrittrice simbolo della sinistra americana, si conoscono alla fine del 1988 e restano insieme per quindici anni, anche se mai, pubblicamente, lo riconosceranno. Il ricordo che la Leibovitz ha dedicato a Susan, morta due anni fa di cancro, è un atto di amore e di rispetto per la loro storia. Ma Annie si aspetta che faccia «molto discutere, soprattutto per la decisione di pubblicare anche le immagini di Susan malata, sofferente per le cure e appena morta, nel suo feretro».
In uscita la prossima settimana dall'editore Jonathan Cape, il libro, intitolato con un espediente A Photographer Life, si può già sfogliare in questi giorni. La Sontag, con il suo sguardo terribile e penetrante, la sua inconfondibile frezza di capelli bianchi, il suo look sciatto da intellettuale tormentata, ne è la supeiprotagonista, Annie restando, in realtà, la maggior parte delle volte, dietro l'obiettivo della macchina fotografica. C'è, all'inizio, un'immagine di Susan in viaggio, sullo sfondo delle tenebre che stanno per avvolgerla del deserto giordano. E c'è, a un certo punto, lei appena sveglia su un letto sfatto, e ancora pieno di passione, dell'hotel Quisisana di Capri: Annie s'è appena alzata per fermare il ricordo di un momento speciale. C'è la foto simbolo - per loro due - della collezione di sassi di Susan, che Annie vide subito nell'appartamento della scrittrice dov'era andata la prima volta per fotografarla «e per ovvie ragioni è rimasta come un simbolo del nostro incontro». Poi, ci sono un'infinità di foto legate a servizi della Leibovitz in giro per il mondo in cui Susan doveva, anche contro la sua volontà, accompagnarla per infonderle sicurezza, foto di attori e attrici e scrittori, personaggi, amici e personaggi del loro lavoro: Demi Moore e Arnold Schwarzenegger, Andrew Wylie, l'agente letterario, a passeggio con Susan sulla spiaggia di Southampton, e l'assistente Karla Eoff, sullo sfondo dell'enorme libreria dello studio della scrittrice, nel suo appartamento newyorkese di West 24 Street.
C'è una foto di Susan nuda e felice, abbandonata in estasi tra le lenzuola. Innamorate, inseparabili, litigiose, com'è facile immaginare in due personalità e due caratteri come i loro, «eppure - spiega Annie - non avremmo mai accettato di considerarci compagne o partner, queste parole non facevano parte del nostro vocabolario. Ci siamo sempre considerate amiche». Anche se poi, spiega chi le ha conosciute insieme, la loro storia è sempre stata una specie di match, un continuo saliscendi, tra Annie che amava far baldoria e Susan che si è sempre considerata una letterata seria e che ha fatto della serietà il suo tratto distintivo, salvo proporre a sorpresa, magari all'ultimo minuto, di andare a vedere un film comico di Keanu Reeves.
Annie aveva 39 anni quando la vide per la prima volta, e Susan 55: ma dalle immagini, anche a dispetto dell'interessata, esce tutto l'aspetto vulnerabile del carattere della Sontag. «Per me - racconta oggi Annie - Susan era proprio la persona che speravo di incontrare. Quando ci siamo viste, è stato un momento meraviglioso, era come se una spingesse l'altra a dare il meglio di sé». Susan è una scrittrice «cult», di fama mondiale. Annie è già una fotografa famosa. Viene da una famiglia middle class, padre nell'aviazione, madre insegnante e casalinga con sei figli, ha studiato a San Francisco fotografia, ha esordito a Rolling Stone nel momento magico della rivista, e dopo 13 anni è approdata a Vanity Fair. Per lei, che ha sempre lavorato da sola, lo studio affollato di assistenti che il nuovo editore le ha messo a disposizione è più che altro un impaccio. Mentre a poco a poco, dopo aver conosciuto Susan, si accorgerà di non poter fare a meno della sua presenza, per superare l'ansia che si porterà sempre dietro sul lavoro.
Il momento in cui la storia è messa a dura prova è quando Susan scopre i primi segni della malattia e Annie si accorge di desiderare un figlio. Forse all'inizio Susan sarà stata «ambigua», questo almeno è il ricordo di Annie, rispetto all'idea della sua maternità, ma alla fine la sosterrà. La fotograferà, nuda, incinta, di profilo, poco prima del parto - ed è una delle rare presenze della Leibovitz nel libro. E Sarah, la sua prima figlia, nascerà quasi ai piedi del letto di ospedale su cui Susan è adagiata per il primo ciclo di cure.
Qui le immagini della scrittrice, piegata dalla malattia, cominciano a essere dure da vedere. «Ci sarà qualcuno - ammette Annie -che giudicherà discutibile la scelta di pubblicarle, anche se io, prima di farlo, ho consultato la cerchia dei nostri amici più cari». Si vede Susan seduta con un'infermiera che le attacca la flebo della chemioterapia. La si rivede magrissima, invecchiata e con i capelli molto corti. Ancora lei su una barella che sta per essere caricata su un piccolo aereo, per tornare a casa. «E dai suoi occhi, dallo sguardo, emerge tutto il suo coraggio, il senso della sfida, il desiderio di vivere e scrivere altri libri», annota malinconicamente la Leibovitz.
Siamo agli ultimi giorni. Annie si divide tra Susan, alla fine, e suo padre anche lui in gravi condizioni in Florida. L'ultimo giorno di terapia di Susan decide di partire. «La baciai e le dissi "Ti amo", lei rispose: "Ti amo anch'io"». Sulla porta chiede a David, il figlio di Susan, se pensa che avrà il tempo di tornare e rivederla viva: «Ce la farai», dice David. Ma già la sera, nell'ultima telefonata dalla Florida, le notizie sono sconfortanti. Susan muore mentre Annie cerca di prendere un aereo per raggiungerla, il mattino dopo. La troverà distesa sul feretro, le mani giunte, un piede allungato sull'altro. Annie estrae dallo scrigno dei suoi ricordi un dettaglio disperato: «Non ho voluto nessun moke up, nessuna merda su di lei».
Due anni dopo, questo libro di Annie su Susan e su loro due è un omaggio al desiderio della scrittrice di vedere in qualche modo raccolto il diario della propria esistenza, e insieme, come sempre quando una persona se ne va, il tentativo di farla durare nella memoria. Leibovitz ha avuto altri due figli, con la fecondazione artificiale, l'aiuto di un compagno disponibile e di un utero in affitto. «Sono stata un po' incosciente - confessa -, non pensavo che sarebbero arrivati due gemelli». Ma adesso che «il momento più difficile è passato», il pensiero è a questo libro e a «Susan che mi dà ancora molto. Ogni giorno».


“La Stampa”, 11 ottobre 2006

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