20.7.17

Giorgio Manganelli lettore di poesia. Sul “Canzoniere” di Saba e “L'allegria” di Ungaretti

Giorgio Manganelli
Per “Il Giorno” nel 1960 Cesare Garboli e Giorgio Manganelli curarono la rassegna Cento libri in ogni casa. Brevemente ne illustravano uno al giorno, o quasi. Le brevi e pregnanti presentazioni vennero raccolte molti anni dopo da Rosellina Archinto in un aureo volumetto dal titolo Cento libri offerto in omaggio agli abbonati a “Leggere”, la rivista di cui era editrice. (S.L.L.)
Umberto Saba
Fece uso aperto della sofferenza
Fra tutti i poeti del più recente Novecento, nessuno fece uso aperto, onesto e talora impudico della sofferenza, quanto Umberto Saba: si è detto spesso che la poesia di Saba è autobiografia: come a dire che ne è assente il litigio, solenne o sommesso, con la propria esistenza. Da codesta condizione Saba trae una sorta di scaltra mollezza di modi, una gentilezza talora agevole e querula; ma ne trae anche una fantasia capace di istituire un ricco e insieme disinvolto rapporto con cose di segreta qualità poetica, come una partita di calcio, un comizio politico.
In realtà, il litigio tra poesia ed esistenza ritorna in Saba nella tensione ironica, affidata a quei suoi modi arcaici, di voluto, lavorato provincialismo: la sua modernità si scopre nell’uso sottile di modi e forme, toni di voce, di una poeticità patetica e ironica; in certe parole che introducono lo squisito stridore del letterario nel quotidiano; infine, nella strumentazione drammatica, difficile, talora sgradevole, ma sempre straordinariamente intelligente e insieme sensuale.
Giuseppe Ungaretti
Immagine luminosa di tragica intelligenza
«Se vogliamo avere una testimonianza sincera e precisa del dramma e della tragedia del nostro tempo dobbiamo consultare i poeti. Essi hanno provato più di tutti lo squilibrio tra vita contemplativa e vita attiva. Hanno sofferto, gridato, e pagato per tutti». Con queste sue parole, Ungaretti dichiara di coltivare una idea solenne della poesia, non «maledetta» ma eroica: strumento di tormentosa perfezione.
A codesta eroicità morale, Ungaretti un’altra ne aggiunse, di stile, di fantasia; «L’allegria», apparso una prima volta nel 1919, portò in Italia ancora fervida di modi dannunziani, futuristi e crepuscolari, il gusto di un linguaggio che venne definito «immediato»: cioè nudo ed essenziale mondato di ogni lusinga letteraria, non gradevole, né facile: ma anzi duro, grave, e insieme brulicante di significati. I bruschi «a capo», la rauca scansione, la solitudine delle parole, costringono ad una lettura severa; la sola idonea ad intendere la testimonianza portata da questa poesia, dolente quanto luminosa di tragica intelligenza.

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