3.7.17

L'invenzione di Fantozzi (Beniamino Placido)

Di tanto in tanto si incontra un grande scrittore. Paolo Villaggio, il noto autore-inventore comico-satirico, si comporta come grande scrittore, di tanto in tanto. In quella Lettera sugli anni 90 del rag. Ugo Fantozzi, che scrive la domenica per la prima pagina dell'Unità. Non sempre, non ogni domenica. Non quando si incarta nelle generiche bordate di contumelie impapocchiate all' indirizzo di tutti i dottor-commendator-grandufficiali che non gli vanno a genio. Ma quando mette in scena il personaggio del vecchio frustrato e rabbioso (l'ha fatto per esempio il 6 giugno, l' 11 e il 18 luglio) allora sì. Allora si comporta da vero scrittore.
Premetto doverosamente che su che cosa caratterizzi un grande scrittore non ho alcuna idea dotta, dottrinariamente garantita. Solo qualche vecchio pregiudizio, al quale peraltro sono tenacemente affezionato. Per me aveva ragione Stefan Zweig, quando scriveva: è grande scrittore colui che è capace di inventare personaggi così verosimili che potremmo riconoscerli, incontrandoli per strada. E metterci a chiacchierare con loro: tanto sappiamo benissimo che cosa hanno fatto ieri o l'altr'ieri. I loro pensieri non ci sono segreti.
Il personaggio di vecchio depresso e malefico, che Villaggio domenicalmente reinventa, è un qualsiasi anziano dei nostri giorni, come tanti. Come tanti ha visto passare gli anni della giovinezza e quelli della maturità. Ma quanto rapidamente. Ma quanto inutilmente. Adesso sente il freddo del tramonto, e non ha niente in mano. Qualche soldino di pensione, tutt'al più. Forse ha una moglie, ma logora anche lei: né amabile, né desiderabile. Mentre il mondo di cose desiderabili è pieno. Quante belle donne, quante belle case, quanti begli oggetti. E i suoi desideri non sono affatto spenti. Ma quelle donne, quelle case, quegli oggetti non appartengono a lui. Appartengono - almeno in prospettiva - ai maledetti giovani. Loro sì, che hanno tutti i denti in bocca e sono pronti ad azzannare. Lui invece in bocca sente traballare la dentiera, soffre di incontinenza urinaria, non è sicuro degli odori che emana. Né degli umori che ispira, intorno a sé. Un giorno scenderanno in campo tutti insieme, questi vecchi frustrati di oggi; questa "maggioranza silenziosa, puzzolente e feroce". Scenderanno in strada "armati di coltelli da cucina, forchette, forbici", scrive Villaggio. "E sarà una battaglia feroce, senza prigionieri".
Mi hanno insegnato una cosa, molto tempo fa. Non l'ho più dimenticata. Mi hanno insegnato che la letteratura ha un suo diretto valore conoscitivo. Nel momento in cui mi rende consapevole di cose di cui non ero consapevole fino a un momento prima. Me le fa conoscere, riconoscere. I pezzi di bravura dello scrittore domenicale Paolo Villaggio ci rendono improvvisamente consapevoli che questa figura di vecchio frustrato, non rassegnato, esiste. Potrebbe accaderci di incontrarlo per strada. Forse l'abbiamo già incontrato - borbottava, all'ufficio postale - ed abbiamo distolto prudentemente lo sguardo.
Villaggio ci costringe a guardarlo in faccia. Deve esistere - lo sappiamo bene - anche la figura letteraria a lui simmetrica ed opposta. La figura del giovane frustrato, arrabbiato a sua volta. Ha tutti i denti in bocca, ma non trova niente da mordere. Intorno a lui i punti di riferimento sono labili, incerti. Il mondo del lavoro e delle occasioni ostico, ostile. Tuttavia non mi è ancora capitato di trovarlo descritto - in un romanzo, in un racconto - con la stessa grottesca efficacia che Paolo Villaggio mette nella descrizione impietosa del suo anziano. Sarà certamente colpa mia. Questa descrizione ci deve essere, mi è sfuggita. Ringrazio sin d' ora chi me la indicherà. Ci deve essere. Lo sappiamo per diretta esperienza. Anche in altri tempi accadeva di essere giovani, per un po' . Eravamo pieni di "astratti furori": come nei libri di Vittorini. Ogni giorno era "un giorno di impazienza": come nei romanzi di Raffaele La Capria. Non era tanto allegra, nemmeno allora. Figuriamoci oggi. Per questo ci piacerebbe che qualcuno la descrivesse (o ci indicasse dov' è descritta) questa condizione giovanile. Anche per poterci regolare. Giorno verrà che scenderemo per strada, noialtri vecchi, armati di coltelli da cucina, forchette, forbici, bastoni, e ce li troveremo davanti - i giovani - altrettanto, forse meglio armati. Chissà come andrà a finire.


“la Repubblica”, 1 agosto 1993  

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