29.7.17

“Senz’anima che animali sono?” Carnivori e vegetariani nell'antica Grecia

Allocco
È uscito due anni fa, nei “Millenni” delle edizioni Einaudi, un libro dal titolo L'anima degli animali, in qualche modo collegato all'uscita del papa cattolico sulla possibilità che anche gli animali vadano in Paradiso. Il ponderoso volume, che raccoglie testi di Aristotele, Plutarco e altri, cerca i fondamenti della questione nel pensiero greco dell'antichità. Riprendo qui la recensione sul domenicale de “Il Sole 24 Ore” di Armando Torno e i brani che egli ha trascelto per offrirli in anteprima. (S.L.L.)

Asinelli dell'Amiata
L’uomo ama distinguersi
Armando Torno
Nel 1684, a Venezia, presso il torcoliere Antonio Poletti vedeva la luce un libro di Ignace-Gaston Pardies: Dell’anima delle bestie e sue funzioni. Il sottotitolo informava sulla materia trattata: Se gli Animali Bruti siano mere Machine Automate senza cognizione, né senso come gli Orologi. L’autore, un gesuita francese fisico e matematico, impegnato in ricerche astronomiche e, con Grimaldi e Hooke. sostenitore della natura ondulatoria della luce, partecipava al dibattito vivo a metà Seicento in ambienti libertini. Questioni e domande che in buona parte risalivano ad Aristotele o al pensiero greco e che, in quel secolo, si arricchivano di un dubbio: gli animali sono dotati di razionalità?
Il quesito sarà utilizzato ancora in pieno Novecento nell’opera di Horkheimer e Adorno Dialettica dell’Illuminismo (tradotta da Einaudi). I due pensatori scrivono: «L’idea dell’uomo, nella storia europea, trova espressione nella distinzione dall’animale. Con l’irragionevolezza dell’animale si dimostra la dignità dell’uomo. Questa antitesi è stata predicata con tale costanza e unanimità da tutti gli antenati del pensiero borghese – antichi ebrei, stoici e padri della Chiesa – e poi attraverso il Medioevo e l’età moderna, che appartiene ormai, come poche altre idee, al fondo inalienabile dell’antropologia occidentale». A proposito di sensibilità degli animali, Omero, nel XVII canto dell’Iliade, parla dei cavalli di Achille che «piangevano» dopo aver visto «l’auriga caduto nella polvere sotto Ettore massacratore». Una testimonianze su Pitagora ne ricorda l’indole vegetariana: «Aborriva uccisioni e uccisori: non solo si asteneva dal mangiare esseri viventi ma neppure si accostava a macellai e cacciatori». E un frammento di Empedocle la condivide: «È una grande vergogna spargere il sangue e divorare le belle membra di animali cui è stata tolta violentemente la vita».
Ora due studiosi, Pietro Li Causi e Roberto Pomelli, hanno tradotto e raccolto i testi del mondo antico che sono a fondamento dell’eterno dibattito su L’anima degli animali (così si intitola il volume dei Millenni Einaudi in libreria il 31 marzo) e, di conseguenza, sui comportamenti da tenere. Compiendo una scelta precisa, hanno focalizzato l’attenzione sull’ottavo e nono libro dell’Historia animalium di Aristotele, su alcuni frammenti degli stoici dedicati al tema, su tre trattati di Plutarco (dai Moralia) e chiudono con il De abstinentia di Porfirio. Certo, c’erano altri testi più antichi o più vicini a noi, tuttavia Aristotele consente di capire la nascita delle osservazioni sulle differenze tra uomini e animali, gli stoici «depotenziano» le funzioni mentali degli altri esseri viventi e ci «deresponsabilizzano» nei loro confronti, Plutarco scrive opere di riferimento sul vegetarianismo e sulla «questione animale», Porfirio offre la «summa» di tutti gli orientamenti dell’antichità, ripresi nel mondo moderno e contemporaneo. Alcune pagine sono in prima traduzione italiana. Del volume dei Millenni sono qui dati in anteprima alcuni stralci.
Cavallo arabo
Aristotele
da «Historia animalium» - libro VIII
Le attività e i generi di vita differiscono secondo le modalità del comportamento e il modo di nutrirsi. Sono infatti presenti nella maggior parte degli esseri animati tracce delle disposizioni dell’anima che negli uomini presentano tuttavia differenze piú evidenti: in effetti, la mansuetudine e la selvatichezza, la docilità e l’aggressività, l’indole coraggiosa e la codardia, le paure e gli atteggiamenti audaci, gli impulsi e le astuzie e certi tratti di intelligenza applicati alla facoltà di comprendere che si presentano simili a quelli dell’uomo si trovano in molti di essi, in maniera analoga a come è per le parti del corpo. Alcuni animali, infatti, differiscono dagli uomini per il più e il meno, e così avviene per l’uomo se paragonato con molti degli animali (giacché alcune delle dette disposizioni sono presenti in misura superiore nell’uomo, alcune negli altri animali); altri animali invece differiscono in base all’analogia.
Come infatti nell’uomo ci sono l’arte, la saggezza e la capacità di comprendere, così in alcuni animali c’è una facoltà diversa ma rapportabile a queste che è insita per natura. Una cosa simile è evidentissima se si considera l’infanzia dei bambini. In essi, infatti, è possibile intravedere come le tracce e i semi di quelle che saranno successivamente le loro disposizioni in età adulta.
Ebbene, durante questa fase della vita nei bambini l’anima non differisce in nulla – per cosí dire – dall’anima delle bestie, cosicché non c’è nulla di assurdo se alcune loro disposizioni psichiche sono identiche, se altre sono simili e altre analoghe a quelle di altri animali. E cosí la natura passa gradualmente dagli esseri inanimati agli esseri animati, al punto che, per effetto della continuità, la linea di confine e il punto intermedio fra i due stadi non appaiono manifestamente».

Aristotele
da «Historia Animalium» - libro IX
I caratteri degli animali più difficili da avvistare e meno longevi sono per noi più oscuri alla percezione, mentre sono maggiormente evidenti quelli degli animali più longevi. Sembra infatti che possiedano una certa facoltà naturale in relazione a ciascuna delle affezioni dell’anima, così come in relazione alla saggezza e alla semplicità di carattere, al coraggio e alla viltà, alla docilità e alla ferocia e ad altre disposizioni simili.
Alcuni di loro, poi, partecipano, al contempo, della capacità di apprendere e insegnare.
Alcuni imparano e apprendono tra loro, altri dagli uomini.
Si tratta, in particolare, di quanti sono dotati di udito: non solo di quelli che percepiscono le differenze fra le voci, ma anche di quelli che percepiscono le differenze dei segni.

Due frammenti sugli Stoici
I
Il maiale, del resto, quale altra caratteristica ha se non quella di essere una vivanda?
Crisippo, del resto, dice che a questo animale la stessa anima è stata data al posto del sale per non farlo imputridire.
E poiché questa bestia non era adatta a nient’altro che a nutrire l’essere umano, la natura non ha generato niente di meglio rispetto a essa. (da Cicerone)

II
Alcune cose che vengono generate vengono prima delle altre, altre invece vengono subito dopo queste che hanno il primato. L’essere razionale ha il primato, mentre il bestiame e tutto ciò che viene generato della terra è generato per essere usato da questi. (da Origene)
Capretto
Plutarco
da «De usu carnium»
Tu chiedi in base a quale principio filosofico Pitagora si astenesse dal mangiar carne. Io invece sarei curioso di sapere in che occasione e con quale disposizione d’animo o pensiero il primo uomo lambì il sangue con la bocca e accostò le labbra alla carne di un animale morto; mi chiedo inoltre perché imbandendo sulla tavola cadaveri e ombre di vita, egli chiamò «vivande prelibate» quelle che poco prima erano membra che emettevano muggiti e grida, si muovevano e vedevano. Come poté la vista tollerare lo sterminio di esseri sgozzati, scuoiati, fatti a pezzi? Come l’olfatto ne sopportò il lezzo? Come poté la contaminazione non disgustare chi si accostava alle ferite di altri viventi e da piaghe mortali strappava umori e sangue?

Plutarco
da «De sollertia animalium»
Per noi uomini l’atto stesso del vivere non viene pregiudicato né l’esistenza viene mandata in rovina se non abbiamo a disposizione piatti di pesce, fegati di oche, se non facciamo a pezzi buoi e capretti per le nostre scorpacciate, se, presi come siamo dall’ozio nei teatri e dal diletto per le battute di caccia, non costringiamo alcuni animali a soffrire e a combattere contro la loro volontà, se non ne massacriamo altri che per natura non sono neanche capaci di difendersi».

Porfirio
da «De abstinentia»
«La carne non giova alla salute, ma piuttosto la ostacola. Infatti i mezzi con cui la salute si riacquista sono gli stessi con cui la si conserva. E siccome la salute si riacquista grazie a un regime alimentare leggerissimo, da cui è esclusa la carne, la si dovrebbe potere conservare nello stesso modo. Se poi è vero che i cibi inanimati non contribuiscono alla forza di Milone, in generale essi non contribuiscono neppure ad accrescere la prestanza fisica. Infatti il filosofo non ha bisogno né di forza né di prestanza fisica, almeno se intende dedicarsi alla vita contemplativa e non alle attività del mondo e alla sregolatezza. Non c’è da stupirsi se la maggior parte della gente ritiene che la dieta carnivora contribuisca alla salute, poiché costoro sarebbero disposti a credere che i piaceri, compresi quelli d’amore, hanno il potere di preservare la salute. Ma i piaceri d’amore non hanno mai giovato a nessuno ed è già desiderabile non esserne danneggiati. Se poi le persone comuni non possiedono le attitudini di cui ho parlato, a noi non importa nulla».


“Domenica – Il Sole 24 Ore” 29 marzo 2015  

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