9.8.17

1984. Oliviero Beha inviato. “Una galleria lunga sedici anni”

Per un omaggio a Oliviero Beha, scomparso da poco, ho scelto tra i ritagli un articolo di cronaca che all'epoca molto mi piacque per la qualità anche letteraria. La cronaca di un rito politico, una inaugurazione, in mano a un giornalista di talento diventa una pantomima del potere. (S.L.L.)

L'AQUILA - Sul Gran Sasso gran pavese per il gran traforo: sedici anni fa le prime mine sulla montagna regina dell' Appennino centromeridionale le fece brillare l'allora ministro competente, Giacomo Mancini, a fianco dell'attore Nino Manfredi. Era maggio.
Ieri, un mattino scolorito di dicembre ha preso vita e anima per l'inaugurazione della prima galleria delle due scavate attraverso il Gran Sasso. L'inaugurazione è stata nobilitata dal presidente del Consiglio Craxi, giunto in elicottero tra i fumi rossi delle segnalazioni, sbarcato sul pianoro e poi consegnato alla folla plaudente davanti al buco, "lu buciu" per gli indigeni. Con Craxi c'erano il ministro Nicolazzi e la coppia sovrana della politica abruzzese: rispettivamente Gaspari, patron dell'autostrada per Pescara e Natali, genius loci di quella per Teramo, entrambi democristiani, accompagnati dai loro attendenti di partito e di corrente della Regione e del capoluogo.
La mattinata se ne è andata in discorsi, dopo i cori locali e la frenesia dell'attesa per Craxi: lo spiazzo prima dell'entrata dalla parte dell'Aquila, su cui soprastava un palco tricolore, era gremito. Intiere famiglie dell'Aquilano da tempo sostavano pazienti, movimentando quei metri quadri attorno ai quali per chilometri si dispiegano desolati, i contrafforti montani.
Eppure, secondo il sindaco dell'Aquila, De Rubeis, non di cattedrale nel deserto si tratta, per il traforo, ma di un'opera "che interessa tutta l'umanità, portata a termine contro tutte le polemiche". Il riferimento alle polemiche è stato un po' di tutti gli oratori, Craxi escluso, e Gaspari e Natali parlando alla rete regionale Rai non hanno lesinato accenni agli attacchi che una "straordinaria opera dell' ingegno umano ha subito a lungo". Ecco, già in queste poche righe c'è il senso di questa impresa sì "straordinaria" ma almeno discutibile: non si sa bene se il Traforo interessi tutta l'umanità. Per ora sarebbe già tanto che interessasse tutta la zona. Poi, l'impresa "portata a termine" per ora è dimezzata. Questo tunnel si gloria di essere il più lungo d' Europa a due gallerie: ma ne è in funzione una sola, per ora. E qualunque considerazione cronologica non può evitare di render conto di sedici anni, sedici interminabili anni che dovevano essere molti di meno. Sedici anni di sforzi, con tragedie (12 morti e circa 300 incidentati in varia forma), commedie (negli ultimi tempi i lavori subivano pause eccezionalmente in fase con le elezioni politiche, così che i minatori e tutti coloro che prestavano la propria opera potessero godere di collaudate forme di pressione per finanziamenti intermittenti), problemi di ogni genere.
Ma ieri mattina la presenza del presidente del Consiglio personificava qualcosa di fatto, qualcosa di concreto, un risultato. E il clima generale ("Viva Bettino") risentiva di questo punto fermo in un'intrapresa che per anni era parsa qualcosa a metà tra Sisifo e Penelope, avanzata tra opportunismi e passioni in un alone di incredulità sulle possibilità di arrivare mai alla fine, a una fine. Craxi, pacato ma determinato, insensibile al freddo tagliente nella sua leggera flanella scura, non ha parlato a lungo: ha genericamente accennato all'importanza delle vie di comunicazione nella storia, ha catturato gli applausi degli astanti con encomi alla "natura calorosa e sincera della gente d'Abruzzo", ha elencato altre imprese degli italiani in giro per il mondo. Mentre sciorinava India e Nigeria, Perù e Argentina, faceva un po' effetto vedersi quel paio di migliaia di persone ristrette nello spiazzale come in un set cinematografico di scena, con due gallerie una perfetta e l' altra in fieri. Ma insomma, Craxi ha poi riscaldato l'insieme promettendo il completamento delle opere avviate. "A me niente dà più fastidio delle opere lasciate a metà o a tre quarti", ha detto.
Questo ha allargato i cuori alle famiglie di coloro che hanno finora lavorato al traforo e naturalmente all' indotto, alle fabbriche di laterizi, a tutte le iniziative collegate. E si è venuti a sapere che l' atmosfera di festa senza nubi, se non la caligine che avvolgeva le punte del Gran Sasso, non sarebbe stata turbata da proteste o manifestazioni operaie solo perchè i rappresentati sindacali regionali avevano già avuto dal ministero dei Lavori pubblici le promesse in merito. Questo quando sembrava che fosse il solo Nicolazzi ad occuparsi del "varo". Invece, ubi maior, è venuto addirittura Craxi e Nicolazzi ha rinfoderato il discorso politico già pronto per buttarsi sulla storia tecnica del traforo, autocitandosi a profusione e annoverando solo i motivi che fanno grande in positivo l'opera. I costi, intanto: "solo" 200 miliardi per il traforo, solo 400 per i 32 km d'autostrada prima e dopo il buco, solo 987 miliardi per l' intiero percorso autostradale Roma - Teramo - Pescara e Torano - l' Aquila - Gran Sasso - Villa Vomano. Ora vale attorno ai seimila miliardi.
Naturalmente sarebbe stato di cattivo gusto ricordare che gli interessi passivi hanno in realtà portato i costi oltre i 2 mila miliardi, per un debito che si estinguerà nel 2086. Come pure, nello smaltare la complessità dei lavori e la prossima importante collocazione del "cubo" che ospiterà dentro il Gran Sasso il laboratorio di fisica nucleare di Zichichi, era impensabile che si menzionasse l'incombente problema (dramma?) idrico che riguarda tutta l'Italia centrorientale. Sì, perchè pare che le sorgenti d'acqua del Gran Sasso, che adesso irrigano generosamente il versante di Teramo così come quello dell' Aquila fossero patrimonio idrico che riguardava anche Perugia e Ancona, cioè una zona assai vasta. Quindi "furto d' acqua" che i geologi devono ancora analizzare per bene.
Finiti i discorsi, comunque, scoperte le lapidi ai caduti, l'arcivescovo dell'Aquila, monsignor Peressin, ha benedetto il traforo davanti a Craxi, prudentemente tornato al trench dopo vigorosi stropicciamenti di mano, e il presidente del Consiglio ha tagliato il nastro e cominciata la lunga visita agli oltre dieci km di galleria, a due corsie, una per senso di marcia. La vernice lucida e un po' gonfia sul budello ha fatto dire a un operaio: "Con l'acqua è dura", osservazione poi superflua quando siamo passati per i raccordi viscerali nel Gran Sasso: esterni - interni da Indiana Jones, chiodi enormi sulla parete, reti da cui l'acqua sgorga continua, un'impressione di lotta alla natura ancora incerta.
Ma "la sfida con la montagna è vinta", ripete Nicolazzi en passant. Si penetra nel cosiddetto "gran camerone", l'enorme spazio dove verrà ospitato il laboratorio di Zichichi, un Eden della ricerca ma anche potenzialmente il più capiente e naturale rifugio antiatomico d' Italia. I vecchi abruzzesi si dolgono delle "troppe ferite al monte". Sbucando verso Teramo, il cartello "passata la festa gabbato lu santu" e il santuario di San Gabriele. Più giù, undici miliardi e mezzo di piloni nudi attendono di sopportare la loro tranche di autostrada, per toccare finalmente l' Adriatico: ma quando?


“la Repubblica”, 2 dicembre 1984

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