Per un omaggio a Oliviero
Beha, scomparso da poco, ho scelto tra i ritagli un articolo di
cronaca che all'epoca molto mi piacque per la qualità anche
letteraria. La cronaca di un rito politico, una inaugurazione, in
mano a un giornalista di talento diventa una pantomima del potere.
(S.L.L.)
L'AQUILA - Sul Gran Sasso
gran pavese per il gran traforo: sedici anni fa le prime mine sulla
montagna regina dell' Appennino centromeridionale le fece brillare
l'allora ministro competente, Giacomo Mancini, a fianco dell'attore
Nino Manfredi. Era maggio.
Ieri, un mattino
scolorito di dicembre ha preso vita e anima per l'inaugurazione della
prima galleria delle due scavate attraverso il Gran Sasso.
L'inaugurazione è stata nobilitata dal presidente del Consiglio
Craxi, giunto in elicottero tra i fumi rossi delle segnalazioni,
sbarcato sul pianoro e poi consegnato alla folla plaudente davanti al
buco, "lu buciu" per gli indigeni. Con Craxi c'erano il
ministro Nicolazzi e la coppia sovrana della politica abruzzese:
rispettivamente Gaspari, patron dell'autostrada per Pescara e Natali,
genius loci di quella per Teramo, entrambi democristiani,
accompagnati dai loro attendenti di partito e di corrente della
Regione e del capoluogo.
La mattinata se ne è
andata in discorsi, dopo i cori locali e la frenesia dell'attesa per
Craxi: lo spiazzo prima dell'entrata dalla parte dell'Aquila, su cui
soprastava un palco tricolore, era gremito. Intiere famiglie
dell'Aquilano da tempo sostavano pazienti, movimentando quei metri
quadri attorno ai quali per chilometri si dispiegano desolati, i
contrafforti montani.
Eppure, secondo il
sindaco dell'Aquila, De Rubeis, non di cattedrale nel deserto si
tratta, per il traforo, ma di un'opera "che interessa tutta
l'umanità, portata a termine contro tutte le polemiche". Il
riferimento alle polemiche è stato un po' di tutti gli oratori,
Craxi escluso, e Gaspari e Natali parlando alla rete regionale Rai
non hanno lesinato accenni agli attacchi che una "straordinaria
opera dell' ingegno umano ha subito a lungo". Ecco, già in
queste poche righe c'è il senso di questa impresa sì
"straordinaria" ma almeno discutibile: non si sa bene se il
Traforo interessi tutta l'umanità. Per ora sarebbe già tanto che
interessasse tutta la zona. Poi, l'impresa "portata a termine"
per ora è dimezzata. Questo tunnel si gloria di essere il più lungo
d' Europa a due gallerie: ma ne è in funzione una sola, per ora. E
qualunque considerazione cronologica non può evitare di render conto
di sedici anni, sedici interminabili anni che dovevano essere molti
di meno. Sedici anni di sforzi, con tragedie (12 morti e circa 300
incidentati in varia forma), commedie (negli ultimi tempi i lavori
subivano pause eccezionalmente in fase con le elezioni politiche,
così che i minatori e tutti coloro che prestavano la propria opera
potessero godere di collaudate forme di pressione per finanziamenti
intermittenti), problemi di ogni genere.
Ma ieri mattina la
presenza del presidente del Consiglio personificava qualcosa di
fatto, qualcosa di concreto, un risultato. E il clima generale ("Viva
Bettino") risentiva di questo punto fermo in un'intrapresa che
per anni era parsa qualcosa a metà tra Sisifo e Penelope, avanzata
tra opportunismi e passioni in un alone di incredulità sulle
possibilità di arrivare mai alla fine, a una fine. Craxi, pacato ma
determinato, insensibile al freddo tagliente nella sua leggera
flanella scura, non ha parlato a lungo: ha genericamente accennato
all'importanza delle vie di comunicazione nella storia, ha catturato
gli applausi degli astanti con encomi alla "natura calorosa e
sincera della gente d'Abruzzo", ha elencato altre imprese degli
italiani in giro per il mondo. Mentre sciorinava India e Nigeria,
Perù e Argentina, faceva un po' effetto vedersi quel paio di
migliaia di persone ristrette nello spiazzale come in un set
cinematografico di scena, con due gallerie una perfetta e l' altra in
fieri. Ma insomma, Craxi ha poi riscaldato l'insieme promettendo il
completamento delle opere avviate. "A me niente dà più
fastidio delle opere lasciate a metà o a tre quarti", ha detto.
Questo ha allargato i
cuori alle famiglie di coloro che hanno finora lavorato al traforo e
naturalmente all' indotto, alle fabbriche di laterizi, a tutte le
iniziative collegate. E si è venuti a sapere che l' atmosfera di
festa senza nubi, se non la caligine che avvolgeva le punte del Gran
Sasso, non sarebbe stata turbata da proteste o manifestazioni operaie
solo perchè i rappresentati sindacali regionali avevano già avuto
dal ministero dei Lavori pubblici le promesse in merito. Questo
quando sembrava che fosse il solo Nicolazzi ad occuparsi del "varo".
Invece, ubi maior, è venuto addirittura Craxi e Nicolazzi ha
rinfoderato il discorso politico già pronto per buttarsi sulla
storia tecnica del traforo, autocitandosi a profusione e annoverando
solo i motivi che fanno grande in positivo l'opera. I costi, intanto:
"solo" 200 miliardi per il traforo, solo 400 per i 32 km
d'autostrada prima e dopo il buco, solo 987 miliardi per l' intiero
percorso autostradale Roma - Teramo - Pescara e Torano - l' Aquila -
Gran Sasso - Villa Vomano. Ora vale attorno ai seimila miliardi.
Naturalmente sarebbe
stato di cattivo gusto ricordare che gli interessi passivi hanno in
realtà portato i costi oltre i 2 mila miliardi, per un debito che si
estinguerà nel 2086. Come pure, nello smaltare la complessità dei
lavori e la prossima importante collocazione del "cubo" che
ospiterà dentro il Gran Sasso il laboratorio di fisica nucleare di
Zichichi, era impensabile che si menzionasse l'incombente problema
(dramma?) idrico che riguarda tutta l'Italia centrorientale. Sì,
perchè pare che le sorgenti d'acqua del Gran Sasso, che adesso
irrigano generosamente il versante di Teramo così come quello dell'
Aquila fossero patrimonio idrico che riguardava anche Perugia e
Ancona, cioè una zona assai vasta. Quindi "furto d' acqua"
che i geologi devono ancora analizzare per bene.
Finiti i discorsi,
comunque, scoperte le lapidi ai caduti, l'arcivescovo dell'Aquila,
monsignor Peressin, ha benedetto il traforo davanti a Craxi,
prudentemente tornato al trench dopo vigorosi stropicciamenti di
mano, e il presidente del Consiglio ha tagliato il nastro e
cominciata la lunga visita agli oltre dieci km di galleria, a due
corsie, una per senso di marcia. La vernice lucida e un po' gonfia
sul budello ha fatto dire a un operaio: "Con l'acqua è dura",
osservazione poi superflua quando siamo passati per i raccordi
viscerali nel Gran Sasso: esterni - interni da Indiana Jones, chiodi
enormi sulla parete, reti da cui l'acqua sgorga continua,
un'impressione di lotta alla natura ancora incerta.
Ma "la sfida con la
montagna è vinta", ripete Nicolazzi en passant. Si penetra nel
cosiddetto "gran camerone", l'enorme spazio dove verrà
ospitato il laboratorio di Zichichi, un Eden della ricerca ma anche
potenzialmente il più capiente e naturale rifugio antiatomico d'
Italia. I vecchi abruzzesi si dolgono delle "troppe ferite al
monte". Sbucando verso Teramo, il cartello "passata la
festa gabbato lu santu" e il santuario di San Gabriele. Più
giù, undici miliardi e mezzo di piloni nudi attendono di sopportare
la loro tranche di autostrada, per toccare finalmente l' Adriatico:
ma quando?
“la Repubblica”, 2
dicembre 1984
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