Nell’Acea, la società
che rifornisce di acqua la capitale d’Italia, c’è un azionista
francese, Suez, che con il 23,3 per cento è il primo socio privato
del gruppo, il cui controllo è nelle mani del Comune di Roma. Quello
in Acea è solo un avamposto (più visibile, dato il momento, tra
emergenza siccità, scontri politici e inchieste giudiziarie) di un
esercito di aziende francesi in Italia, in tutti i settori, più
spesso in posizione di controllo che di minoranza. Sono stati più di
100 i miliardi di euro investiti da società francesi in acquisizioni
italiane negli ultimi venti anni, contro i 52 miliardi del flusso
opposto, dall’Italia alla Francia. Conteggio che non comprende
l’ultima, il colpo grosso messo a punto da Fincantieri con
l’acquisizione del 66,6 per cento di Stx, i cantieri navali di
Saint Nazaire. Per bloccarlo, il governo francese ha deciso il
ricorso all’arma estrema, la nazionalizzazione. Trasformando quello
che pareva solo un braccio di ferro affaristico-politico in una fiera
dei paradossi; dando la prima reale prova della politica economica di
quell’oggetto misterioso che è apparso improvvisamente nel
firmamento politico, Emmanuel Macron; nonché sferrando l’ennesimo
colpo a un’Unione europea sempre più agonizzante.
Il primo paradosso è
proprio in quella bandiera europea sotto la quale, accompagnato dalle
note dell’Inno di Beethoven, il presidente francese ha fatto la sua
prima passeggiata all’Eliseo: dedicandosi attivamente, subito dopo,
a frantumare ogni parvenza di solidarietà europea, prima di tutto
sulla questione dei migranti e rifugiati, poi nelle sue iniziative
unilaterali in Libia, e adesso in economia. Da quella passeggiata a
oggi, il cammino di Macron si è manifestato molto più simile
all’antico nazionalismo francese che all’europeismo moderno che
ha illuso qualcuno; risvegliando la memoria degli storici che ben
sanno che, nel processo di costruzione di un’ormai lontana Europa
federalista, i francesi hanno frenato sempre e molto più dei
rigorosi tedeschi.
Passando all’economia,
i paradossi si moltiplicano. Il moderno Macron, banchiere e liberale,
che straccia come un foglietto di nessun valore un’acquisizione
fatta sul mercato, nonché la parola presa dal suo predecessore
Hollande. Peggio: il suo ministro dell’economia, che viene dalle
fila della destra liberista, che firma la prima nazionalizzazione
della “Macronomics”. Un ribaltone che fa saltare tutti gli
schieramenti tradizionali: se è vero che, in casa Stx, i sindacati
sono tutt’altro che contenti della nazionalizzazione, anzi la Cgt
non fa mistero di preferire una soluzione industriale straniera a una
pubblica interna. E l’Europa, pronta ad alzare il ditino a ogni
sospetto di aiuto di Stato, che si appresta a fare buon viso al nuovo
gioco, e digerire l’esercizio della golden share francese a tutela
dell’industria strategica delle navi da crociera e delle fregate
militari.
Annunciando la sua
clamorosa decisione, ieri il ministro francese dell’economia l’ha
definita una “nazionalizzazione temporanea”; facendo capire che è
solo una mossa, molto dura ma non definitiva, sulla strada del
negoziato con l’azienda pubblica italiana. Il tempo ci dirà se
tutto ciò prelude a un nuovo accordo, nel quale il governo francese
possa salvare la faccia dell’orgoglio nazionale mantenendo la
sostanza dell’accordo; oppure se finirà in rottura definitiva, e
se dietro c’è una nuova strategia di alleanze del complesso
politico-economico-militare d’Oltralpe. In ogni caso è evidente
che parliamo di complessi e di politiche nazionali, con buona pace
della retorica sulla più grande area economica integrata del mondo –
l’Europa – e sul suo glorioso futuro politico. Con l’Italia in
evidente difficoltà, se non altro perché ha meno alleati nel resto
dell’Europa (il caso delle banche lo ha appena dimostrato) e perché
in perenne campagna elettorale. Di positivo però, c’è la caduta
di alcuni miti e ipocrisie, come quella del libero mercato,
perennemente sbandierata ma solo dalle parti dei più deboli; e
l’annientamento delle tradizionali linee di divisione
destra/sinistra, tutte in attesa di essere ridisegnate. Cos’è
l’interesse nazionale? E quello europeo? E quello pubblico? Il
Macron della marsigliese ha dato la sua risposta, evocando più Trump
che Mitterrand.
Ripreso dal sito di
Roberta Carlini (http://www.robertacarlini.it/
) scritto per Finegil e pubblicato il 28 luglio 2017 dai quotidiani
locali del gruppo “L'Espresso”
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