2.8.17

La banconota “rosa” della poetessa Rachel (Virginia Di Marco)

«Sulla riva c’è un salice piangente / come un bimbo vispo che, portato al mare, / corre scapigliato, corre tra la gente / e, arrivato all’acqua, spruzza per giocare». Così scriveva la poetessa Rachel all’inizio del Novecento, seduta in riva al lago di Tiberiade, quel mar di Kineret, come viene definito nella Bibbia, che la giovane donna russa - pioniera sionista e raffinatissima intellettuale - tanto amava, e a cui dedicò questi e altri versi.
Rachel Bluwstein, meglio nota come la Poetessa Rachel, in Israele è considerata una delle pietre miliari della letteratura ebraica moderna: al punto che oggi, a Gerusalemme e Tel Aviv, in molti corsi di ebraico per i nuovi immigrati, gli ebrei della diaspora “tornati” nella Terra Promessa, le sue poesie sono le prime ad essere insegnate. Dal prossimo anno questa madre della patria sarà ancora più conosciuta: è una dei quattro personaggi scelti dalla Banca d’Israele per una nuova serie di banconote. Insieme a lei, unica donna, ci sono tre premi Nobel - due per la Pace, uno per la Letteratura: Menachem Begin, premiato dall’Accademia svedese per aver firmato la pace con l’Egitto; l’ex Primo ministro Yitzhak Rabin, il “militare tramutato in colomba” che vinse il Nobel per la Pace in seguito agli accordi di Oslo; e infine lo scrittore Shamuel Yosef Agnon, che con le sue poesie conquistò il premio nel 1966. Lei, Rachel, di riconoscimenti internazionali altrettanto prestigiosi non ne ha mai ricevuti, e anzi all’estero la sua popolarità è di certo minore di quella di questi altri tre nomi di primo piano della storia e cultura israeliane. Ma questo, in patria, non ne sminuisce il valore, che è indiscusso.
Il Governatore della Banca israeliana, Stanley Fischer, ha affermato che la scelta di questi personaggi è «d’importanza storica per le future generazioni», e come tutte le scelte che segnano la storia non è stata affatto facile, né veloce. La commissione incaricata di decidere ha impiegato mesi, durante i quali il ministro delle Finanze, chiamato a dire la sua, ha camminato sulle uova e ha dovuto fronteggiare critiche feroci provenienti dagli ambienti più disparati e lontani. Destra ultrà, femministe, ebrei sefarditi: per accontentare tutti ci è voluta una gran dose di diplomazia. In particolare, molto vivaci sono state le attiviste per i diritti delle donne. All’inizio, nella rosa dei candidati proposta dalla commissione della Banca non c’era neanche un esponente del gentil sesso; le signore non l’hanno presa bene e si sono rimboccate le maniche, reclamando una quota rosa: è grazie alla loro militanza che Rachel è entrata nel quartetto finale. Prima di lei, solo all’ex capo di governo Golda Meir era stato tributato un onore così alto. La lady di ferro israeliana e la Poetessa: due figure per molti versi distanti, ma allo stesso tempo così simili. Tra le loro esistenze vi sono diverse analogie, o meglio delle eco: le stesse che si ritrovano leggendo le biografie dei grandi uomini che hanno costruito letteralmente lo Stato ebraico. Ebrei russi, ucraini, polacchi sfuggiti ai pogrom che insanguinavano l’Europa orientale all’inizio del ventesimo secolo, e approdati nell’allora Palestina ottomana, divenuta in seguito mandato Britannico e, infine, Israele. Giovani uomini e donne che diedero vita al movimento dei kibbutz per realizzare il loro sogno socialista, sotto la doppia insegna del ramo d’ulivo e della spada.
Rachel è a tutti gli effetti una di loro. Nasce a Saratov, in Russia, nel 1890, undicesima figlia di una famiglia d’intellettuali; frequenta un liceo laico, studia pittura e inizia a scrivere poesie quando ha appena 15 anni. A 19 approda in Palestina, sbarca a Giaffa insieme alla sorella: le due sono in viaggio per l’Italia, hanno un’idea romantica del Bel Paese, e vorrebbero studiare lì arte e filosofia. Ma sono gli anni della seconda Aliyah, l’immigrazione del 1905-14, e la tappa in “Eretz Israel” cambia tutto: le due, già sostenitrici del movimento sionista, decidono di restare, di diventare pioniere e sposano l’ideologia del kibbutz. Nel villaggio comunitario di Kineret, Rachel ritrova l’élite russa in mezzo a cui è cresciuta: i suoi compagni sono intellettuali, marxisti, utopisti. Insegna e lavora nei campi, e celebra nei suoi versi la vita in campagna, i panorami agresti, il sudore della fronte e l’amore per la patria che prende forma, giorno dopo giorno. E una delle prime narratrici dell’epopea nazionale ebraica, insieme a Dvora Baron, ma canta anche la sua vita privata : l’amore per Zalman Shazar, leader sionista con cui ebbe ima relazione e che diventerà il terzo presidente d’Israele, i suoi dubbi esistenziali, il dolore mai sopito per non poter generare bambini. I suoi versi, intimi e senza fronzoli, hanno una modernità destinata a resistere: tanto che ancora oggi molti musicisti e cantanti israeliani (un nome per tutti: Noa), continuano a metterli in musica, ricavandone successi commerciali.
Ma alla semplicità del suo vocabolario e al procedere piano delle sue poesie non corrisponde il suo percorso di vita, che fu accidentato e troppo breve. Dopo alcuni anni in Palestina, rientra in Europa, in Francia, per studiare agronomia e disegno. La Grande Guerra la coglie impreparata, rimane incastrata nel Vecchio continente, per anni non toma al suo kibbutz, alla terra che ama e che nelle sue poesie diventa la «madre», a cui si duole di non poter offrire grandi soddisfazioni («Oh, Terra, non cantai, / né ti glorificai. / Le gesta degli eroi / non t’ho narrato mai. / Ho solo calpestato la riva del Giordano, / soltanto un alberello piantai con la mia mano»).
La Poetessa ripara in Russia, e lì la sua militanza sionista prende la forma dell’insegnamento ai figli dei rifugiati ebrei. Quando in Europa tacciono i cannoni e si iniziano a piangere i morti, toma in Palestina via nave: porta con sé il suo quaderno di appunti, e la tubercolosi. Torna sulle sponde del lago di Tiberiade, e per un certo periodo vive a Degania, la madre di tutti i kibbutz, un altro pezzo della storia d’Israele. I dieci anni che seguiranno verranno scanditi dalla sua malattia, dall’impossibilità di continuare a insegnare, dai viaggi e dalla necessità di lasciare il kibbutz, e trasferirsi a Tel Aviv, che all’epoca è una città giovane, con appena una ventina di anni di storia alle spalle. Alla fine, nel 1931, Rachel chiuderà gli occhi in un sanatorio per tubercolotici; affida il suo testamento a una poesia (Se il fato decreta), in cui chiede di essere seppellita sulle rive del lago beneamato. Oggi la sua tomba è meta di pellegrinaggi da parte di affezionati estimatori, che le rendono onore organizzando letture delle sue poesie proprio lì dove molte di esse sono state scritte. Le affinità elettive resistono alla morte: e i versi della Poetessa riescono tuttora ad arrivare al cuore della gente. E pensare che di sé stessa, la giovane Rachel aveva scritto in Solo di me: «Solo di me vi saprei narrare: / una formica nel mondo quaggiù, / porto una soma pesante anch’io, / che le mie spalle non reggono più».


“Il riformista”, 2 gennaio 2011

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