5.9.17

Caporetto 1917. Quel che non capirono gli alti comandi (Antonio Sema)

A Trieste, nel 1997, in occasione dell'ottantesimo anniversario della battaglia di Koper (per gli italiani “rotta di Caporetto”), Stefano Malatesta raccolse, per “la Repubblica”, il giudizio di Antonio Sema, storico militare, che proprio in quei giorni aveva pubblicato in questi giorni l'ultimo volume de La Grande guerra sul fronte dell'Isonzo (editrice Goriziana). (S.L.L.)

Lei dà molta importanza all'elemento etnico.
"Le undici spallate italiane sull'Isonzo vennero effettuate all' interno di un territorio dove esisteva una forte minoranza slava. Si credeva di andare a piantare il vessillo tricolore nelle terre irredente. Ci si ritrovò a combattere una guerra di posizione nelle due principali aree multietniche del nostro paese. La spiegazione della sconfitta di Caporetto sta anche in questo. E nell'incomprensione degli alti comandi italiani, che non se ne resero conto o non vollero rendersi conto. Mentre davanti avevano un nemico scaltrito dalla continua esperienza dei conflitti di confine".

Nell'area di Caporetto gli sloveni aiutarono gli austroungarici e i tedeschi?
"Dopo la conquista nel paese, nella prima fase della guerra, gli italiani avevano spedito parte della popolazione in Italia. Ma numerose famiglie, cacciate dalle case e dai campi e private dei loro beni, erano rimaste nei dintorni, e naturalmente detestavano le nostre truppe. E daranno un aiuto fondamentale al nemico prima e durante l'attacco, come informatori.
A Jevscek, un paese occupato dagli italiani, i soldati di Erwin Rommel, infiltratisi nella notte del 26 ottobre, furono ospitati dalle famiglie slovene, rifocillati con caffè e frutta secca.
Dormirono anche qualche ora e poi l'indomani erano pronti ad attaccare di nuovo".


“la Repubblica”, 21 ottobre 1997

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