6.9.17

Caporetto 1917. Se il consenso delle masse viene a mancare (Mario Isnenghi)

La Seconda armata dell’esercito italiano, comandata da Capello, forte di centinaia di migliaia di uomini subisce il 24 ottobre 1917, a Caporetto, un'infiltrazione nemica, in poche ore l’infiltrazione si trasforma in sfondamento e penetrazione profonda delle truppe austro-ungariche, rinforzate da contingenti tedeschi, dentro le linee italiane. In pochi giorni queste vengono scompaginate; isolati interi reparti; tagliata fuori della lotta l’artiglieria; resi affannosi e a volte inesistenti i rapporti gerarchici tra comando e comando e tra comandi e unità operative; frantumate nell’aneddotica spicciola le operazioni di difesa; posto in crisi tutto lo schieramento italiano dalla Bainsizza al Carso. Mentre lo sbandamento organizzativo e psicologico aumenta e si trasforma in rotta, con centinaia di migliaia di uomini che gettano le armi, il generalissimo Cadorna, per evitare il peggio, ordina la ritirata — prima sulla linea del Tagliamento, poi ancora più indietro, sulla linea del Piave — anche a quei reparti che avevano tenuto le posizioni. Nel contempo: 30 ottobre, crisi di governo a Roma, Orlando sostituisce Boselli. 6 novembre, esonero di Cadorna dal comando in capo. E in conclusione, tra ottobre e novembre: 11.600 morti (seconda armata); 22.000 feriti; 300.000 prigionieri; 300 mila sbandati; oltre 3.000 cannoni perduti.
Un disastro. Su questo, per le sue proporzioni materiali, tutti d’accordo, e da subito: militari, politici, storici. Ma le cause? Qui Caporetto-fatto e Caporetto-interpretazione (una, due, varie interpretazioni) si intrecciano. E parte — dentro e dopo la guerra — la lotta delle versioni narrative, che accumula «fatti» di secondo grado su fatti di primo grado, di cui nessuno o quasi sa peraltro nulla di preciso e di organico.
Quali sono oggi, dopo oltre mezzo secolo di dibattito — con accelerazioni politiche e altrettanto politiche pause di silenzio — le conclusioni degli storici? Tra i due corni del dilemma — cause «militari» o cause «politiche»? — gli studi sono concordi nella scelta della spiegazione più riduttiva: cioè nel considerare pressoché definitivamente comprovata come causa scatenante della rotta una serie di circostanze militari: alcuni aspetti tattici nuovi nella preparazione ed esecuzione dell'’azione da parte austro-tedesca; errori tattici e strategici da parte dei comandi italiani.
Ma la politica, espulsa dalla porte, rientra subito dalla finestra. «Caporetto si configura come una sconfitta essenzialmente militare, anche se tutte le cause di debolezza dello schieramento italiano discendono dall’impostazione politica», scrive Rochat nella sua felice sintesi dei «Problemi di interpretazione e prospettive di ricerca» su L’Italia nella prima guerra mondiale: lo schieramento italiano era infatti «offensivo» per ragioni politiche, cioè per gli scopi attribuiti alla guerra dalla classe dirigente politico-militare che l’aveva indetta e la conduceva; politiche, l’ignoranza e la noncuranza dei sentimenti delle masse, condotte al macello nella presunzione che sono le minoranze eroiche a fare la storia e che a garantire l’ubbidienza degli altri basta la somma di rassegnazione e repressione; politica, infine, la gestione — quella gestione — dell’esercito e del paese. Caporetto è il fulmineo flash dell’estraneità proletaria.
Quello su cui le possibilità di ulteriore documentazione e discussione restano apertissime, sono le condizioni sociali e i motivi storici di fondo per cui il circoscritto evento militare della penetrazione austro-tedesca entro le linee italiane in un punto del fronte è in grado di innescare la catastrofica concatenazione di eventi disgreganti che chiamiamo, appunto, Caporetto: non tanto, dunque, è in discussione il livello organizzato, quanto quello spontaneo dell’insubordinazione, della disaffezione e dell’assenteismo. L’antidoto immediato è «la rinuncia alla strategia offensivistica e l’avvento di una nuova direzione delle operazioni rigorosamente difensiva (...): una precisa scelta politica, che nasceva dalla presa di coscienza dei limiti di efficienza e di coesione dell’esercito italiano». (Rochat).
Resta in piedi il nodo dell’autorità e del consenso, di ciò che garantisce l’ubbidienza delle masse: ecco la questione di Caporetto, per l’immediato e per il futuro.


“la Repubblica”, 23 ottobre 1977

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