3.9.17

COM'È MORTO PASOLINI (Ferdinando Camon e Carla Benedetti)

È morto a metà luglio Pino Pelosi, detto “la rana”, il ragazzo che andò con Pasolini la notte della sua uccisione e che di essa accusò soltanto se stesso, sopportando per questo qualche anno di reclusione. La morte ha suscitato – com'era inevitabile – qualche ritorno di fiamma sulla morte del poeta, anche perché il Pelosi, due anni fa, a quarant'anni da quella tragica notte dei Morti, aveva rivelato di aver fatto solo da esca e che altri erano gli assassini.
Una polemica s'è sviluppata sulle colonne del “Piccolo”, il quotidiano di Trieste, ove il 22 luglio ha pubblicato un suo articolo lo scrittore Ferdinando Camon. Non è reperibile in rete e non mi è stato possibile leggerlo per intero, ma dalla foto pubblicata nel sito “Il primo amore” e che qui riprendo, come dalle citazioni che ne fa chi polemizza con lui, mi pare che ribadisca le tesi espresse due anni fa, in occasione delle rivelazioni di Pelosi, in un articolo per i “Quotidiani del Triveneto” (che ho recuperato dal sito dello scrittore). Il 24 luglio il giornale ha diffuso una puntuale replica di Carla Benedetti, che ho ripreso come le foto dal sito “Il primo amore”. (S.L.L.)

Caso chiuso e chiaro (Ferdinando Camon)
Le nuove, fastidiose rivelazioni su com'è morto Pasolini, acutizzano nella nostra mente e nella nostra coscienza un dolore che non s'è mai placato. Tutti abbiamo dei sensi di colpa per quella morte. Democristiani e comunisti, cattolici e atei, omosessuali ed eterosessuali, scrittori e lettori. L'assassino di Pasolini, che all'epoca era minorenne, e che ha ormai scontato tutta la pena, è apparso in tv sabato scorso e ha capovolto la prima versione dei fatti. Allora, trent'anni fa, disse che Pasolini l'aveva aggredito e che lui s'è difeso, nella lotta il poeta-scrittore-regista è stramazzato a terra e lui, rubandogli l'Alfa Romeo 1750, è passato con due ruote sul corpo steso a terra e gli ha spaccato due costole, le costole sono entrate nel cuore, e la vita di Pasolini s'è fermata. Le corti che han giudicato l'assassinio non hanno mai dubitato della colpevolezza del ragazzo Pino Pelosi. Hanno però pensato, specialmente quella di primo grado, che ci fossero anche altri, con lui. Che sia stato un pestaggio collettivo. Un gruppetto di neofascisti avrebbe organizzato e attuato, sul poeta comunista (ma io direi cattolico-comunista incompreso dai cattolici e dai comunisti), una spedizione assassina. Le sentenze successive hanno sempre più velato la presenza dei complici. Se ci furono, non han lasciato tracce. E siamo all'oggi: oggi il ragazzo condannato per l'assassinio viene a dire che lui non è l'assassino, non ha ucciso Pier Paolo: era stato caricato in auto da Pier Paolo alla stazione Termini, sul lato di via Marsala, era stato portato a un ristorantino (Pier Paolo non mangiò ma pagò con un assegno, per anni il ristoratore esibiva l'assegno a chi voleva vederlo, adesso non più, perché un cliente gliel'ha rubato), da lì sulla radura spelacchiata e sporca di Ostia, e lì era avvenuto quel che Pasolini, onestamente, aveva chiesto fin dall'inizio: un rapporto sessuale orale, al prezzo di ventimila lire. Fin qui tutto bene, dicono le cronache. Ma non è vero. Usare il corpo di un minorenne solo perché si è in grado di pagarlo è un crimine sessuale e sociale. Pasolini è la vittima di quella notte, stiamo scrivendo di questo. Ma aveva già fatto una sua vittima. E non lo dico da etero: se avesse preso e comprato una bambina minorenne, direi le stesse cose. Secondo la versione di trent'anni fa, consumato il rapporto, Pasolini insisté con un gioco che al ragazzo non piacque: e cioè (così mi raccontò Moravia) urtò il ragazzo sul coccige con la punta di un bastone. Il ragazzo s'infuriò. E cominciò la lotta. Secondo la versione di sabato scorso, invece, Pasolini si comportò "come un gentiluomo", ma finito tutto balzò fuori dal buio un branco di fascisti: uno picchiò e immobilizzò il Pelosi, altri due si buttarono su Pasolini pestandolo e fracassandolo con grida di "fetuso" e "sporco comunista". Pasolini urlava, Pelosi anche, gli assassini erano scatenati. Quando il poeta cadde, gli assassini scapparono, ma prima lanciarono al Pelosi l'ordine di non parlare, se no avrebbero ammazzato anche lui e i suoi genitori. E così Pelosi non fiatò per trent'anni. Parla oggi, perché i suoi genitori sono morti, e pensa che gli assassini siano morti anche loro, o siano stravecchi. Dunque, Pasolini morto per antifascismo, non per omosessualità. Ucciso dallo Stato. Dai servizi segreti. Dalla DC. Forse da Andreotti, che infatti dichiarò: "Se l'è cercata".
La polemica è feroce perché è feroce, implacabile questa esigenza: di mondare Pasolini dalla morte per omosessualità e consegnarlo alla storia come morto per antifascismo. La morte per antifascismo risponde a un bisogno degli amici di Pasolini, e non riesco a capire perché. Pasolini è stato tre volte mio padre (prefatore del mio primo romanzo, delle mie prime poesie, dedicò un saggio critico al mio primo libro di critica): gli voglio molto bene, ma non sento il bisogno di mondare la sua morte. E' morto come tante volte aveva rischiato di morire. La nuova versione di Pino Pelosi è enormemente inattendibile per tante, troppe ragioni, tutte gravi, determinanti, decisive. Fuggendo con l'auto, Pelosi passò sul corpo del poeta: ma per passarci sopra dovette deviare, una sterzata a sinistra, premerlo con due ruote, e poi sterzare nuovamente a destra, per imboccare la strada. Interrogato, si confonde: "Non lo so, ho sterzato, non ho sterzato, non lo so". In realtà con quella sterzata lui ha "deciso" la morte, e questa decisione non può non ricordarla. Chi ha ucciso, sa bene quando l'ha voluto, e come. La lotta sul corpo di Pasolini ebbe varie fasi e si svolse in vari posti, accanto all'auto, a trenta metri, a settanta metri. Nel primo posto fu trovato un anello di Pelosi. Lui lo riconosce. Con la prima versione, gli è stato sfilato nella colluttazione. Con la seconda versione, non riesce a dire perché gli sia caduto lì. Nel secondo posto Pasolini si fermò, si sfilò una maglietta, si asciugò il sangue. Una pausa. Negli scontri a due (i duelli) una pausa c'è spesso. Nelle guerre di branco, mai. E poi, prima si diceva che un branco di fascisti, in moto, seguì l'Alfa Romeo di Pasolini fino al campetto, per massacrarlo. Ma il benzinaro che faceva il turno di notte, su quella strada, non vide passare nessuna moto: la tesi del branco inseguitore non ha fondamento. Adesso salta fuori la tesi del branco già sul posto, in agguato, con Pelosi che faceva da esca: ma Pelosi non sapeva dove Pasolini l'avrebbe condotto, come avrebbe potuto informarne gli amici? E poi, che amici, se neanche li conosceva? In tv continuano a parlare di "bastone" usato da Pelosi, ma quello che è agli atti è una clava: con quella clava, la testa di un uomo si può maciullare, e maciullata era la testa di Pasolini, che in tv han mostrato all'una di notte. Chi sente il bisogno di far morire Pasolini per antifascismo sente il bisogno di trovare un colpevole per quella morte, un colpevole esterno, la polizia segreta, il partito della Chiesa, il governo, la Destra. Anch'io credo che la morte di Pasolini sia una morte per colpa. Anzitutto sua: non si gira di notte in auto per comprare minorenni. Ma anche nostra: è colpa di tutti se uno, perché omosessuale, deve consumare la sua sessualità così, di nascosto, in fuga, a pagamento, tra minacce continue (altre volte gli avevano spaccato il naso), in Italia e nel Terzo Mondo. Pasolini è stato utile a tutti noi, ha denunciato molti nostri problemi, politici, morali, sociali, ha condotto analisi, esposto denunce per noi. Noi non abbiamo fatto niente per lui. Noi cattolici, noi democratici, noi comunisti, noi moralisti, noi italiani l'abbiamo lasciato sprofondare nella vergogna. Il PCI l'ha espulso per indegnità, invece di capire che anche gli omosessuali sono vittime della società borghese. La Chiesa l'ha maledetto, mettendo l'omosessualità tra "i peccati che gridano vendetta al cospetto di Dio". Il padre si vergognava di lui (ma ritagliava tutti i suoi articoli; a Casarsa, Pasolini è sepolto insieme con la madre, in una tomba doppia, una tomba matrimoniale; il padre sta da solo, distante). La psicanalisi non l'ha aiutato (è andato in analisi da Cesare Musatti, ma dopo sette-otto sedute s'è ritirato). Queste sono le nostre colpe. Non l'abbiamo capito. Cerchiamo di capirlo adesso, e accettiamolo per quel che è stato. La sua scrittura grande era e grande resta. La sua vita è finita com'è finita. Pace.

Quotidiani delle Venezie, 10 maggio 2005

La “verità” su Pasolini è solo una sceneggiata (Carla Benedetti)
Leggendo l’articolo di Ferdinando Camon uscito su Il Piccolo di Trieste del 22 luglio, “Chiaro e chiuso il caso Pasolini”, un brivido di indignazione mi ha colta. E subito dopo una grande pena per Pier Paolo Pasolini. Non solo massacrato di colpi e infine schiacciato dall’auto dopo un’agonia terribile, ma nemmeno mai risarcito nell’unico modo in cui si può risarcire una vittima: facendo luce sul delitto e condannando i colpevoli. Infatti la verità su quell’omicidio non è ancora emersa, dopo quarant’anni. E i colpevoli, esecutori e mandanti, non hanno ancora pagato per quel crimine. Ma Camon dice che il caso Pasolini è chiaro. E si stupisce che ci sia qualcuno che invece lo considera aperto.

L’offesa però non finisce qui. Povero Pasolini due volte! Non solo vittima senza risarcimento di giustizia né di verità, ma persino inchiodato a una morte infamante (ucciso mentre tentava di violentare un minorenne), come vuole la versione ufficiale che per decenni è stata data dell’omicidio. Noi oggi sappiamo che è falsa, che non era altro che una sceneggiata costruita a tavolino dai mandanti per coprire un altro tipo di delitto. Ma per tanto, troppo tempo ci hanno creduto in tanti in Italia. Tanti uomini di cultura, tanti giornalisti, tanti scrittori, tanti politici, che si sono così resi complici, inconsapevolmente o meno, di un depistaggio durato quarant’anni. Questa sceneggiata viene oggi ri-raccontata da Camon ai lettori di questo giornale come se fosse certa (tra l’altro chiamando a testimone Moravia, che invece, come è noto da tante sue dichiarazioni, non ci ha mai creduto) e ce la ripropone persino con i particolari scabrosi con cui all’epoca fu condita per renderla più efficace: “Mentre il ragazzo si tirava su i jeans, Pasolini raccolse da terra un bastone e con la punta del bastone urtò il ragazzo sul coccige. Il ragazzo s’infuriò”. Povero Pasolini, massacrato per ordine di mandanti ancora ignoti e ancora oggi infamato, e da un collega, da un uomo di cultura, che avrebbe quanto meno il dovere di informarsi sul caso di cui scrive, prima di fare certe affermazioni. Camon pare persino ignorare che di recente si sono svolte nuove indagini, che hanno rilevato sugli abiti di Pasolini il DNA di cinque individui diversi oltre a quello di Pelosi. E ignora tanti altri fatti e testimonianze, ormai resi pubblici, che smentiscono quella versione, da lui posta come un dogma. Eccone qualcuno:
1. Pasolini già frequentava Pelosi da alcuni mesi. Glielo aveva presentato Nico Naldini. La loro relazione era nota agli amici. La versione ufficiale lascia invece credere che Pasolini lo abbia rimorchiato per caso quella notte alla Stazione Termini.
2. La notte dell’omicidio Pasolini non andava a rimorchiare ragazzi ma a incontrare un ricattatore da cui si aspettava di avere indietro le bobine del film Salò che gli erano state rubate, portando i soldi per il riscatto sotto il tappetino dell’auto.
3. Sul luogo del delitto c’erano altre auto oltre a quella di Pasolini, una moto e diverse persone di cui oggi si conosce l’identità: i fratelli Borsellino, Antonio Pinna e, probabilmente, Johnny Lo Zingaro (il criminale evaso qualche settimana fa).
4. Nel 2005 Pelosi, dopo aver scontato la pena, ha ritrattato la sua prima confessione, sostenendo di essersi accusato dell’omicidio perché sotto minaccia.
Pino Pelosi non ha ucciso Pasolini, ma si è macchiato ugualmente di un crimine terribile. Ha testimoniato il falso. Si è autoaccusato di un omicidio che non aveva commesso, probabilmente sotto minaccia di morte, per lui e per i suoi familiari. E così ha reso credibile quella sceneggiata. La quale però non avrebbe potuto reggere per tanti anni se non ci fossero stati depistaggi nelle indagini, e senza le complicità, compresa quella, inconsapevole o meno, di tanti uomini di cultura italiani che l’hanno presa per buona senza alcuno scrupolo di verità, e ci si sono affezionati ricamandoci su, facendo di questa morte da “frocio che se l’è andata a cercare”, una “morte sacrificale”, la “bella morte” del poeta omosessuale, “il suo capolavoro”. Ed era solo una sceneggiata!


“Il Piccolo”, 24 luglio 2017

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