12.9.17

Le due rosse. Fiorella Mannoia, Vanna Marchi ed io (Luigi Manconi)

Incontrai la Mannoia al Portnoy, un baretto all’inizio di corso di Porta Ticinese, a pochi metri dalla mia abitazione di Milano. Mi ritrovai per caso vicino a lei, al bancone, e le rivolsi la parola. Chiacchierammo un po’ e scoprii immediatamente quanto la politica la appassionasse. Lei sapeva qualcosa di me e così trovai il coraggio di invitarla a pranzo. Qualche giorno dopo le telefonai e - per dare al nostro incontro il tono più informale possibile - le proposi di vederci poco lontano da lì, in un’anonima spaghetteria (oggi chiusa) in piazzale Resistenza Partigiana. Chiacchierare con lei era semplice e divertente per il suo continuo alternare allegria e seriosità. Mentre terminavano di mangiare, avvertimmo che sul rumore della pausa pranzo degli impiegati della zona si imponeva, acuta, una voce: era quella di Vanna Marchi, impegnata in un’animata conversazione con alcuni commensali. Il suono e il tono e il recitato di quella voce erano davvero unici e, così, raccontai a Fiorella che uno dei più autorevoli etnomusicologi italiani, Roberto Leydi, aveva dedicato un erudito saggio alla Marchi, rintracciando nelle sue performance televisive l’eco e la tecnica della grande tradizione dei venditori ambulanti emiliani.
La cosa divertì molto la Mannoia, ma proprio in quel momento la voce della Marchi straziò l’aria, con tonalità ancora più acuta: «Fiorellaaa!», abbattendosi su di noi. Poi, la Marchi riempì Fiorella di complimenti e rallegramenti, di apprezzamenti iperbolici e di imbarazzanti lusinghe, mentre guardava me di sottecchi. Quando mi ero presentato, non aveva capito il mio nome, né tanto meno il mio mestiere, ma solo che avevo a che fare con la politica o con qualcosa di simile. E, così, mi chiamò un paio di volte presidente, e non ho mai saputo se intendesse del Consiglio o della Rca o della Ricordi. Quindi, propose a Fiorella di fare un programma insieme («le due rosse, che ti sembra?») e già immaginava la scena: tu canti e io vendo le alghe. La sua presenza e la sua conversazione erano un turbine di parole, gesti, suoni, colori, tali da stordire. Noi l’ascoltavamo, introducendo a fatica qualche parola ogni tanto. Poi, come era venuta, si dileguò, ancora turbinosamente.


Da La musica è leggera, il saggiatore, 2012

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