5.9.17

Tra filosofia e filologia. Eraclito era un riccio o una volpe? (Armando Massarenti)

Particolare da un busto di filosofo (Eraclito?) - Roma, Musei Capitolini
Tra i molti, meravigliosi giochi che si possono fare avendo tra le mani i nove volumi della nuova e innovativa edizione dei frammenti dei cosiddetti Presocratici curata da Glenn Most e André Laks, uno potrebbe essere quello di provare a verificare quanto fosse giustificata l’idea di Karl Popper secondo cui i primi filosofi greci - Parmenide compreso - furono gli inventori del pensiero critico e della discussione razionale, salvo scoprire quanto sia raro trovare testimonianze dirette che corroborino la sua tesi. Soprattutto nell’ambito a lui più caro, quello della filosofia della natura e della cosmologia, mentre qualche “prova” la si può trovare tra i medici di quel periodo. Ma anche se non erano dei falsificazionisti ante litteram come li sognava Popper, i primissimi pensatori greci restano una palestra in cui è possibile allenarsi per infiniti giochi intellettuali. Compreso quello principale che ha ispirato i curatori nel costruire un’edizione [...] frutto di anni di lavoro e che ha tutte le caratteristiche per imporsi come quella di riferimento.
Se la natura tende a nascondersi, come dice Eraclito, tra i suoi nascondigli migliori ci sono sicuramente le varie stratificazioni del linguaggio. Most e Laks vi si immergono in una autentica caccia al tesoro per farci scoprire, tra le altre cose, che Eraclito era insieme una volpe e un riccio, dal punto di vista del linguaggio (ma non solo). Ricordando il celeberrimo verso di Archiloco, «La volpe sa molte cose, ma il riccio ne sa una grande», possiamo apprezzare infatti la struttura assolutamente chiara e al contempo profondamente complessa delle frasi di Eraclito, dove una singola espressione di grande potenza espressiva (riccio-friendly, si potrebbe dire, come è tendenzialmente interpretata) può prestarsi a molti, volpini, significati.
Ma dove è in questo la novità? Si prenda proprio la frase sulla natura. Con mossa innovativa e sapienza volpina, Most e Laks ne inseguono le varie ramificazioni non solo all’interno dei testi tradizionalmente utilizzati come testimonianze del pensiero di Eraclito, ma anche nel corpus degli autori vissuti nei secoli successivi, fino alla fine dell’antichità. Per scoprire (come rileva Most in un saggio uscito nel volume Riccio o volpe? a cura di Vanna Maraglino, Cacucci editore) «che una singola espressione perfettamente composta da Eraclito può prestarsi a molteplici paradossali significati. In altre parole, sul piano della performance testuale, Eraclito si rivela essere un riccio nei suoi significanti, ma una volpe nei suoi significati». Significati che si moltiplicano e arricchiscono (senza mai smettere di giocare a nascondino col filologo) se ricostruiti attraverso l’interpretazione di filosofi successivi, come Filone alessandrino. Le edizioni precedenti di Eraclito sono edizioni “ricce”, perché lo presentano nella forma di espressioni perfette, indiscutibili e lapidarie, laddove invece questa edizione volpina - e il metodo è applicato anche agli altri pensatori - tiene conto, e mette in scena, le difficoltà di stabilire il testo esatto di molti aforismi di Eraclito, difficoltà «causate in parte dal loro enorme successo tra i lettori antichi, che spesso li citarono, parafrasarono e fecero allusioni ad essi, senza preoccuparsi molto di fornire le esatte parole dell’originale».
Dal metodo volpino emerge dunque un’immagine ricca e sfumata del filosofo. Per Eraclito la maggior parte degli uomini è pigra, vuole vivere tranquilla evitando la fatica di comprendere la vera natura delle cose e le loro ragioni nascoste. Se le cose a una prima occhiata non rivelano la loro vera natura, è necessario studiarle con cura e a lungo per comprenderle. E ciò vale persino per la cosa a noi più vicina: noi stessi. «Ho cercato me stesso», dice Eraclito, che, se alla luce di uno dei suoi aforismi più famosi - «Dopo che hai ascoltato non me ma il logos, è saggio riconoscere che tutto è uno» - appare più che mai riccio, si rivela mano a mano sempre più volpe fino ad affermare che «gli uomini che amano la sapienza devono indagare molte cose». E se è vero che «quelli che cercano l’oro scavano molta terra e ne trovano poco» ciò significa solo che devono continuare a scavare. La caccia al tesoro continua, anche perché - popperianamente - la ricerca non ha fine.


“Il Sole 24 ore Domenica” 12 giugno 2017

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