6.10.17

Carlo Alberto dalla Chiesa. Il generale interista (Andrea Galli)

Il generale Carlo Alberto dalla Chiesa a Milano
Milano
Trentacinque anni dopo il suo assassinio, il metodo investigativo del generale dei carabinieri Carlo Alberto dalla Chiesa è citato a esempio nelle scuole militari. Ovunque andò rovesciò gli equilibri tattici con intuizioni e scelte per molti aspetti rivoluzionarie. Giovane capitano nella Corleone delle stragi delle forze dell'ordine, mutuò sul campo le tattiche imparate da partigiano. A Milano, in anni di boom economico e di rapine a raffica nelle banche, ideò un sistema d'allarme per accorciare i tempi d'intervento delle pattuglie. Ma forse il massimo capolavoro dalla Chiesa lo raggiunse nella lotta al terrorismo quando, come ha ricordato ieri l’ex magistrato Gian Carlo Caselli che con il generale lavorò a lungo, convinse Patrizio Peci a diventare uno dei primi, e fra i più decisivi pentiti.
Nell’aula magna del Palazzo di giustizia di Milano affollata di ragazzi, Caselli ha partecipato alla presentazione del libro del giornalista del Corriere Andrea Galli (dalla Chiesa, Mondadori, 2017), una biografia che ripercorre il doppio binario della vita intensa del generale: da un lato l’investigatore dalle idee lungimiranti, come ha sottolineato il procuratore generale Roberto Alfonso; dall’altro il marito romantico, il padre affettuoso, con le sue passioni, dai fumetti di Topolino all’Inter. «Vedeva le partite a San Siro due file dietro me e mio padre — ha ricordato l’ex patron nerazzurro Massimo Moratti — e soffriva come i tifosi veri». Carlo Alberto dalla Chiesa rimane una figura attuale, oggi, per il suo rispetto per lo Stato, la difesa delle regole, l’esempio nella vita quotidiana, la grande fiducia nelle nuove generazioni. Perché non bisogna appartenere alle forze dell’ordine per poter combattere ma spetta a ogni singolo cittadino non voltarsi dall’altra parte. Come ha detto ieri, a margine della presentazione del libro, l’arcivescovo di Milano Mario Delpini a proposito della recente inchiesta sulle infiltrazioni della ’ndrangheta in Brianza: «Immagino che un cristiano serio reagisca così: alzi la testa e faccia un po’ di pulizia, non mettendo tutti al muro ma facendosi avanti, comportandosi con onestà, senza cercare troppi guadagni personali e senza avere paura delle minacce dei cattivi».
Difficile persino in un’aula stracolma di colleghi, amici, collaboratori riuscire a raccontare fino in fondo chi fu il carabiniere più amato d’Italia. «Un uomo carismatico, un comandante vero — ha ricordato il generale Teo Luzi, a capo della Legione Lombardia—, capace di scegliere i propri uomini, difenderli nei momenti critici e saperli motivare per cogliere ogni obiettivo». Non era un caso, come ha raccontato Caselli, se ancora in piena notte, in caserma, uno degli uffici con la luce accesa fosse quello di dalla Chiesa. «Un lavoratore instancabile», ha ripetuto il comandante generale dei carabinieri Tullio Del Sette, uno stratega abile a intuire l’importanza delle sinergie con investigatori tedeschi, francesi e inglesi — altro tema di strettissima attualità — per arrestare terroristi che si nascondevano all’estero. Ai «suoi» uomini, che lo avrebbero seguito ovunque, dalla Chiesa raccomandava riservatezza. In casa come con i giornalisti. «Alcune cose le abbiamo scoperte leggendo questo libro — ha detto il secondogenito Nando —, a noi non rivelava mai nulla, anche per non caricarci di preoccupazioni». E per quanto avaro di notizie, con la stampa, ha ricordato il direttore del Corriere Luciano Fontana, il generale «aveva un rapporto sano». Dopo aver selezionato e avviato uno scambio basato sulla reciproca stima, si fidava. Famose le sue interviste con Enzo Biagi e Giorgio Bocca, e intensa l’amicizia, nata in occasione del terremoto del Belice, con uno dei migliori cronisti passati in via Solferino: Egisto Corradi. Avevano entrambi combattuto la guerra ed erano entrambi uomini tutti d’un pezzo, uomini per i quali la parola data vale come un giuramento.


Corriere della Sera, 1 ottobre 2017

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