1.10.17

Chateaubriand (1768-1864). Che vita nell’oltretomba! (Carlo Carena)


I viaggi, le donne e le disavventure raccontate in un capolavoro letterario poco letto e studiato in Italia

Lo scorso settembre nella stampa parigina e inglese si è letto che il visconte François-René de Chateaubriand è stato coinvolto in un processo giudiziario per faccende di eredità e diritti d’autore concernenti il suo estremo e supremo capolavoro, le Memorie d’oltretomba. Una complicatissima vicenda di copie e pubblicazioni, che si snoda fra catene di eredi e di notai fin dagli ultimi giorni della sua vita, quando nel 1847 verga con grafia involuta il congedo sulla prima pagina del manoscritto visto e rivisto, e lo deposita nella cassetta di abete con la serratura rotta che giace ai piedi del letto.
Lo scrittore muore poco dopo, il 4 luglio del ’48, e già in ottobre le Memorie cominciano a circolare a fascicoli su «La Presse», e dal gennaio del ’49 in volumi – dodici fino all’ottobre del 1850. Sarà un cammino irto ma anche trionfale, per quello che Jean d’Ormesson nella sua “biografia sentimentale” Il mio ultimo pensiero sarà per voi definisce «uno dei cinque o sei monumenti più importanti della letteratura», straripante delle vicende ed esperienze di quel randagio; un oceano di piccola e povera gente commovente, o viceversa di personaggi grandi e potenti, incontrati, ammirati o abominati prima o poi da chi, oltreché scrittore eccelso e ammaliatore di lettori e di donne, fu politico, ministro, esule randagio sulle due sponde dell’Atlantico.
In apertura di libro si presentano sùbito alcune delle pagine più belle e schiette, nella descrizione dell’infanzia a Saint-Malo e a Combourg e dell’adolescenza in collegio in Normandia e Bretagna. Colui che ora è celebre scrittore e ambasciatore del re di Francia riprende con nostalgia «in mezzo alle mie insipide pompe» i primi passi penosi di una vita veramente o comunque resa sempre appassionante. Si allontanò di là sùbito dopo la morte del padre, come si allontanò dalla giovinezza: un congedo come le partenze della flotta ateniese quando salpava dal porto del Pireo incoronata di fiori per muovere alle sue conquiste. Non avrebbe rivisto quei luoghi che poche volte dopo di allora. Ma è nei boschi di Combourg, racconta, che «divenni ciò che sono». Là attinse e subì i primi attacchi della cifra della sua vita: la tristezza come tormento e felicità.
I prossimi quindici anni lo vedono dapprima in America alla ricerca «poetica» del Passaggio di Nord-Ovest, in realtà contemplando tramonti e giovani selvagge, entrando nelle loro capanne vestito anch’egli di pelli d’orso, la barba lunga come un cacciatore e un missionario. Poi negli eventi torbidi e strepitosi dell’emigrazione e successivamente dell’èra napoleonica, ascesa e catastrofe di un grande uomo, e avvento dei propri successi letterari: Atala, Il genio del cristianesimo, René, i Martiri, il viaggio da Parigi a Gerusalemme.
Lo scenario è completamente mutato e ora il lettore viene sospinto su quello dell’Europa. La solitudine dei primi anni è travolta irresistibilmente dalla società, dalla politica e dalle guerre dominate da lui, il Primo Console e poi Imperatore. I libri su Bonaparte, XIX-XXIV, sono una monografia quasi autonoma, impietosa e abbagliata su questa parabola splendida e alla fine miserabile come il corteo funebre e la sepoltura agli Invalidi, «fra le immondizie di Parigi».
E l’altra “marcia”, quella delle donne, la teoria delle dame e degli amori che in carrozze, saloni e salotti passarono accanto a questo «epicureo dotato di fantasia cattolica» secondo la definizione di Sainte-Beuve. È aperta a inizio secolo da Pauline de Beaumont e da Delphine de Custine, bruttina la prima ma con occhi a mandorla e un languore irresistibili, splendida la seconda col suo colorito e i capelli rosei; ed è chiusa infine da Madame Recamier, Juliette, la più devota e fedele, compagna sino all’ultimo di pellegrinaggi e passeggiate e delle sue ore estreme, ritratta a suo tempo da David e ora semicieca nella casa di rue du Bac. Altre più fuggevoli comparse sono ritratte in capitoletti nel XLIII e penultimo libro di tutta l’opera. E tutto e sempre con la discrezione che contraddistingue il gentiluomo e l’accorto.
Due tomi dei Millenni Einaudi ci permettono di seguire adeguatamente queste Memorie con annotazioni, documenti, cronologie, indici e bibliografia aggiornata, e con una galleria di illustrazioni coeve collegate al testo stesso mediante citazioni interne: René sfinito e sognante durante le battute di caccia giovanili, appoggiato a un masso «solo e padrone di se stesso». Il conte di Mirabeau «tribuno dell’aristocrazia, deputato della democrazia». George Washington «di aspetto calmo e freddo più che nobile». Con Pauline de Beaumont tra le rovine del Colosseo. Le rive del Lago Maggiore viste dalla locanda di Arona «dipinte dall’oro del tramonto». La Delfina Maria Teresa «modello perfetto delle sofferenze umane, Antigone della Cristianità». George Sand, corrotta, «ma se diventasse timorata, diventerebbe banale».
La traduzione, a più mani, riprende, anch’essa rinnovata, quella della Pléiade Einaudi-Gallimard del ’95, come ne è ripresa l’Introduzione in cui Cesare Garboli conduce per settanta pagine un corpo a corpo acuminato col testo e con l’autore: p. LXV: «Meticoloso e pignolo com’era di natura, a dispetto dei sogni e di una distrazione tutta superficiale…»; «Il solo uomo di lettere italiano che abbia mostrato un sincero interesse per la sua opera è stato Mario Luzi»…

Il Sole 24 ore Domenica, 15 novembre 2015

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