Al mercatino del modernariato, ieri mattina, attratto dalle foto di
Patellani scattate durante la tremenda alluvione del Polesine
nell'autunno 1951 e da quelle da Berlino Ovest di Cartier Bresson, ho
comprato una vecchia copia del “Tempo” settimanale, il cosiddetto
“Tempo illustrato”, del 1 dicembre di quell'anno. Vi ho trovato
nella rubrica di “Medicina” l'articolo che segue.
Ho ragione di ritenere, dopo qualche ricerca in reste, che l'autore
sia un medico, ma non sono in grado di dire se tutti i consigli che
dà siano tutti validi (alcuni, del tipo “coprirsi quando è
freddo”, lo sono di sicuro). A me è sembrata umoristica (forse
involontariamente) e, a suo modo, brillante la scrittura, divulgativa
nelle intenzioni e pullulante di fantasiose similitudini e briose
metafore, dalla iniziale “combriccola di malfattori” alla
conclusiva “salva di sternuti”. A ciò si aggiunga un tono che va
dal sapienziale ciarlatanesco, nelle parti più tecniche, al
petulante di certe considerazioni moralistiche. Uno spasso insomma.
(S.L.L.)
Non tutti sanno
vestire razionalmente per difendersi dai freddo. Molti errori li
commettono le donne; ma ad uno almeno potrebbero porre rimedio senza
pregiudizio dell’estetica e della moda
Il freddo nell’inverno
è stato preso a comune esponente di tutta una combriccola di
supposti malfattori, (come l’umidità, la pressione barometrica,
l’elettricità atmosferica), soprattutto nei riguardi dello
sviluppo e della diffusione delle malattie acute più frequenti in
tale stagione, le respiratorie. Gli è stata attribuita un’azione
debilitante l’organismo in genere e le mucose delle vie aeree in
specie; sì da offrire ai germi infettivi tanto da far baldoria e
regalarci una catena di malanni che van dal semplice raffreddore alle
tracimiti, alle bronchiti eppoi a qualcosa di più grosso, polmoniti
e broncopolmoniti, quando non si arrivi addirittura a turbare lo
stato di quel doppio sacco che avvolge i polmoni, la pleura.
Una difesa, quindi,
contro il freddo è lapalissiano che si imponga. Madre natura,
onorandoci di differenziare il nostro mantello cutaneo dal vello
degli animali, ci ha fornito un’apparecchiatura interna intesa a
difendere pur noi dalle variazioni termiche ambientali, tanto da
mantenere pressoché costante la nostra temperatura corporea col
mutar di quella atmosferica. Il gioco è regolato da un servizio
periferico cutaneo d’avvistamento delle condizioni ambientali e da
una centrale di comando collocata alla base del cervello, un
complesso di «nuclei» incastonati in un angoletto chiamato
«ipotalamo».
Di mano in mano che i
recettori periferici trasmettono con i fili nervosi le sensazioni
termiche raccolte sulla cute alla stazione cerebrale, di qui si
dipartono ordini difensivi netti ed immediati per la periferia
stessa. In seguito ad essi, se è il freddo che infastidisce, come
nel caso che ora ci interessa, le ghiandole sudoripare son richiamate
all’inattività, per non disperdere con la loro secrezione calore
immagazzinato nel corpo (come è lecito ed utile in estate) e i vasi
sanguigni cutanei son invitati tosto a restringersi. In tal modo si
riduce al minimo il passaggio della massa circolante di sangue alla
superficie del corpo, da cui altrimenti tornerebbe troppo raffreddata
agli organi interni. Si attua in tal modo una difesa meccanica per
impedita termodispersione. Ma v’ha di più; dai centri regolatori
termici partono altri ordini, per via nervosa od umorale, e subito
c’è qualche ghiandola endocrina che provvede ad incrementare la
produzione autonoma del calore del corpo, attizzando una specie di
fuoco interno con l’aumentare delle ossidazioni cellulari. Si
mette, in altri termini, in moto il meccanismo della termogenesi, al
quale concorre pure lo stimolo dell’accresciuto appetito. Il
freddo, difatti, par che inviti a gettar nel forno della macchina
umana maggior carburante da trasformare in gran parte in calore.
Tutto ciò, tuttavia, non
basta. È utile sì per i passaggi sia pur bruschi dal caldo al
freddo, ma di breve durata; che altrimenti la vasocostrizione cutanea
è fonte essa stessa di guai. D’altra parte perché le combustioni
interne si accrescano ed il ricambio organico si equilibri bisogna
che ravviamento al freddo sia graduale. Solo allora la tiroide
s’adatta meglio al suo ufficio di vestale, di mantice della vita.
Ragione per cui, visto che le buone intenzioni di madre natura non
sono in ogni caso praticamente sufficienti, bisogna supplire con
sagge e tempestive variazioni dell’abbigliamento. E non è certo
questa una clamorosa scoperta!
Ma c’è davvero chi sa
vestirsi razionalmente per ripararsi contro le vicissitudini
atmosferiche? All’assistere a certe incongruenze della moda
parrebbe di no. Si commettono errori da scontare a caro prezzo. Vi
incorre la donna, ma anche l’uomo talora e magari per diverso
angolo visuale. Mentre le signore, ad esempio, non tardano ad
imbrigliare la loro fluente capigliatura con un cappellino di
capriccio, ci son uomini di ogni età che contano ai inoltrarsi
nell'inverno a testa scoperta. È un guanto di sfida che gettano al
freddo, al vento, all’umidità, supponendo d’esservisi
allenati... nell’estate. Fortunati quando ne escono con semplici
raffreddori, che non abbiano spinto germi “di sortita” ad
emigrare nelle insenature di ossa limitrofe al naso ed a darvi luogo
a sinusiti, a quelle infiammazioni, frontali specialmente, tanto
dolorose, persistenti e pericolose se si trasformano in purulente.
Non si dica che una buona
scatola cranica è la tutrice assoluta di quell’importante viscere
che è il cervello. Una sferzata di freddo al capo può avere
riflessi vasomotori nello interno, mutamenti cioè improvvisi e
strambi dell’idraulica cerebrale, che possono avere conseguenze più
o meno violente. Certo gli è che molte nevralgie ed emicranie
ribelli, oltre le riniti, possono essere prevenute col semplice uso
del copricapo. Il che non esclude l’igienica aerazione della
capigliatura nei momenti adatti, che non coincidono proprio con i
passaggi bruschi dagli ambienti caldi al freddo.
Se ora dal vertice della
persona scendiamo allo zoccolo, lì troviamo materia per incriminare
a sua volta la donna. Essa è responsabile, difatti, con i suoi
errori di calzatura (suole sottili, tomaia forata, calze di velo),
non solo di qualche gelone sporadico ai piedi, ma particolarmente di
quelle asfissie cutanee che dal collo del piede s’innalzano per un
buon terzo della gamba e trapelano, con la lor tinta violacea ed un
lieve turgore della pelle, attraverso quelle tele di ragno che son le
calze femminili. Son queste favoreggiatrici di un ristagno di sangue
nei capillari cutanei, a causa di una paralisi transitoria di tali
piccoli vasi, determinata dall’azione del freddo su una loro
minorata innervazione.
Dire alle signore di usar
calze di lana è in molti casi vano discorso; ma il consiglio di
calzarne due paia sottili di altro tessuto, forse verrà accettato
quando se ne sarà spiegato l’ufficio igienico, quello di
trattenere aria nella loro intercapedine, a guisa di cuscinetto lieve
ed insospettato, cattivo conduttore del freddo dall’esterno e del
caldo dall’interno. Vien da pensare che un suggerimento del genere
ce l’abbiano offerto quei passerotti che vivono all’aria aperta e
verso la notte, quando la temperatura particolarmente s’abbassa, si
accoccolano su un ramo e drizzano le piume, con l’evidente intento
di aumentare tra quelle lo strato d’aria per proteggersi dal
freddo. La lana, in fondo, con la sua morbidezza e porosità realizza
qualcosa di simile e perciò mantiene calore nel suo spessore. Sempre
ligi al principio attuato dal passerotto miriamo a condizionare pure
la protezione del tronco (torace ed addome, serbatoi di visceri
sensibili) non sovraccaricandolo d’abiti, ma abbigliandolo con capi
comodi, come si suol dire.
Tener conto bisogna
infine del riscaldamento degli ambienti, erroneamente portato sovente
al surriscaldamento. Naturalmente quando si debba di consuetudine
soggiornare in essi a lungo, siano uffici o abitazioni, è assurdo
indossar vesti non leggere; ma bisogna allora provvedere che
proporzionalmente più caldi siano soprabiti e cappotti per l’uscita,
ad evitare i danni dei trapassi termici; soprabiti e cappotti van
tenuti per lo meno in luogo tiepido prima di essere indossati. La
signora che poi s’affida a quel superbo termostato che è la
pelliccia sia circospetta nello spogliarsene, allorché entra in un
locale dal dubbio riscaldamento. Essendo facilmente essa in
traspirazione potrebbe andare proprio incontro a malanni di
raffreddamento, inaugurabili con una salva di sternuti.
“Tempo”, anno XIII
n.48 1 dicembre 1951
Spendi ρoco ma sarai sempre аlla moda cߋn Kiabi.
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