2.10.17

Controriforma senza Rinascimento. Libertà di ricerca: l'Italia al 30° posto (Agnese Codignola)

Galileo Galilei
Le sfide da affrontare per tutelare la scienza. Congresso dell’Associazione Coscioni, a Torino.

“Ci sono paesi nei quali si studia come sostituire un gene difettoso in un embrione per evitare che un bambino nasca malato, e altri dove si usano ogni giorno le staminali embrionali per capire come trasformarle in terapia. Ci sono paesi dove è già in vendita salmone geneticamente modificato per crescere il doppio del normale, e altri dove un autentico zoo di animali modificati per gli scopi più diversi attende le ultime autorizzazioni. Ci sono paesi dove si studia come rispondere alla mancanza di cibo modificando l’espressione di alcuni geni vegetali, per ottenere piante che rendano di più e consumino di meno. Ci sono infine paesi dove si può scegliere come procreare e come morire. L’Italia non è tra questi paesi, e ciò spiega perché, nella classifica della libertà di ricerca e per l’autodeterminazione coordinata da Andrea Boggio, docente di scienza del diritto della Bryant University di Smithfield (Rhode Island), e basata su leggi e norme introdotte dal 2009 a oggi in merito a fecondazione medicalmente assistita, aborto e contraccezione, decisioni di fine vita e ricerca su embrioni, il paese occupi un deprimente trentesimo posto su 46, dietro a stati quali Singapore, Sud Africa, Vietnam, India e Israele. Anche se, come sottolinea lo stesso Boggio a “Repubblica”: “Basterebbe introdurre normative che regolino la cosiddetta eutanasia passiva e altre che consentono di studiare le cellule embrionali per balzare a livello di paesi quali la Gran Bretagna. Per il momento siamo molto lontani”.
Se ne parla pochissimo, e quasi mai in sedi proprie e senza l’onda emotiva di qualche fatto che occupa i social e i media per poche ore. Per affrontare questi temi e rispondere a molte domande in materia si è aperto a Torino il XIV Congresso dell’associazione Luca Coscioni, che si occupa di promuovere e difendere le libertà civili.
Soprattutto per quanto riguarda la ricerca, ha ancora senso erigere dei muri nel mondo di oggi, con la velocità e la facilità con la quale viaggiano dati, informazioni, ricercatori? Tutto ciò serve a indirizzare gli studi o soltanto a complicarli e a renderli più costosi? E deve esistere qualcuno che pone veti a ricerche che possono essere molto delicate o si deve lasciare che la ricerca faccia il suo corso e poi, eventualmente intervenire sulle loro applicazioni? Nel caso debba esistere un ente che controlla, chi decide chi ne deve far parte?
Per iniziare almeno a discutere di questi temi, l’Associazione Luca Coscioni, oltre ad aver promosso la compilazione della classifica di Boggio, ha dedicato il suo XIV congresso, in programma al Molecular Biotechnology Center dell’Università di Torino da oggi e domani a margine dell’incontro dei G7 a Scienza e non violenza, disobbedienza civile e ricerca per nuove libertà. Gli interventi che si alterneranno nelle due giornate di discussioni saranno tenuti da esponenti del mondo della ricerca italiana come Chiara Tonelli ed Elena Cattaneo, ma anche da cervelli in fuga come Giulio Cossu, che per lavorare sulle cellule embrionali è dovuto andare in Gran Bretagna, da costituzionalisti e giuristi come Amedeo Santosuosso e Vladimiro Zagrebelsky, da esperti di bioetica come il valdese Luca Savarino, nonché da personalità internazionali quali Mikel Mancisidor, vice-Presidente del Comitato Onu sui diritti economici, sociali e culturali. Oltre ai temi inerenti alla libertà di ricerca, sono previste sessioni sulla disabilità, sull’eutanasia e sul testamento biologico, atto che si potrà compilare nella stessa sede del congresso, e ulteriori iniziative come la prescrizione di cannabis terapeutica.
Il congresso è stato preceduto, ieri, da un’intera giornata di relazioni e discussioni su un caso di scuola, quanto a libertà di ricerca: quello delle sostanze stupefacenti e psicotrope, cui hanno preso parte molti relatori italiani e internazionali esperti di ricerca e di politica degli stupefacenti.
Come hanno sottolineato alcuni degli autori degli studi più importanti degli ultimi anni come David Erritzoe dell’Imperial College di Londra, o Natalie Ginsberg della Multidisciplinary Association for Psychedelic Studies (Maps: http://www.maps.org/ ), associazione americana no profit che da oltre trent’anni sostiene la ricerca in questo ambito, negli ultimi anni è emersa in misura via via sempre più chiara la possibilità che alcune sostanze considerate d’abuso come LSD, psilocibina, MDMA (meglio noto con il nome che ha come sostanza d’abuso: ecstasy) o ketamina possano avere importanti applicazioni terapeutiche, se impiegate nelle condizioni appropriate. Non a caso la FDA nei mesi scorsi, in seguito alla pubblicazione di alcuni studi clinici controllati, ha dichiarato breakthrough tanto la ketamina, anestetico salvavita presente in tutti gli ospedali e usato anche in veterinaria ma, a dosi inferiori, oggetto di consumo illegale con il nome di Special K e, in dosi terapeutiche, possibile antidepressivo, quanto l’MDMA, che sarebbe in grado di curare il disturbo post traumatico da stress, e ha così spianato la via a sperimentazioni estese che potrebbero portare all’approvazione di alcuni impieghi terapeutici attorno al 2021.
Ancora più significativo è il caso dell’LSD e della psilocibina, due sostanze che hanno un meccanismo d’azione diverso dai precedenti, che non creano dipendenza e non hanno tossicità rilevanti. Oggetto di moltissimi studi tra il 1943, anno della scoperta dell’LSD da parte del chimico svizzero Albert Hofmann, e il 1971, anno del bando globale, entrambi stanno vivendo una sorta di seconda giovinezza, ribattezzato dagli addetti ai lavori Rinascimento psichedelico. Come hanno dimostrato sia Erritzoe che Ginsberg, riportando i dati pubblicati dalle rispettive istituzioni su riviste di tutto rispetto quali “Lancet”, date nelle giuste dosi, nell’ambito di programmi che prevedono anche psicoterapia, sotto stretto controllo medico (tutti coloro che ci lavorano chiedono che queste sostanze siano somministrate solo in centri certificati e che siano istituiti registri nazionali e internazionali di utilizzatori), entrambi si stanno dimostrando in grado di curare le dipendenze da alcol, tabacco e gioco, le depressioni resistenti ai farmaci, le cefalee da suicidio, l’ansia, i disturbi post traumatici da stress e molto altro in misura nettamente superiore rispetto a svariate categorie di farmaci.
Nel mondo li si studia appunto in Gran Bretagna, negli Stati Uniti (oltreché al MAPS, in diverse università tra le quali quella la Johns Hopkins di Baltimora e la Columbia di New York), in Svizzera (all’università di Zurigo) e in altri paesi, tra mille difficoltà burocratiche (sono vietati ovunque, ma alla ricerca è concesso qualche spazio), eppure continuando a produrre risultati molto interessanti. In Italia non esiste neppure un gruppo che ci lavori se non come sostanze d’abuso, e nessuno che abbia in programma di farlo, anche se da almeno trent’anni non c’è niente di nuovo per esempio nel trattamento della depressione, che colpisce milioni di persone e che i farmaci esistenti possono curare in un caso su tre, e anche se contro le dipendenze gli strumenti terapeutici sono a dir poco spuntati. E del resto la situazione della cannabis, cui sono state dedicate diverse relazioni, che ancora stenta moltissimo a entrare nell’impiego corretto, spiega ancora meglio quali resistenze culturali ci siano di fronte a certe sostanze, anche quando considerate da un punto di vista prettamente scientifico. Il Rinascimento, in Italia, per il momento è storia passata, ma almeno qualcuno ha iniziato a parlarne.


“la Repubblica”, 30 settembre 2017

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