20.10.17

Soprattutto vero uomo. La sessualità di Cristo nell'arte del Rinascimento (Pasquale Chessa)

Hans Baldung Grien, La Sacra Famiglia
L'articolo, del 1984, illustra le tesi controverse di Leo Steinberg, il cui libro, quello di cui si discorre, era appena uscito negli USA. In Italia sarebbe stato tradotto e pubblicato per Il Saggiatore due anni più tardi. (S.L.L.)
Pietro Perugino, Madonna col bambino, Particolare, Washington Museum
Sulle prime può apparire come un futile gioco un po’ «morbide» quello di curiosare fra tutti quei particolari, infimi dettagli nei capolavori del Rinascimento, che raffigurano, seguendo sempre le stesse regole, qualcosa che possiamo senza dubbio interpretare come una «ostentatio genitalium». A che scopo, per esempio, nella Madonna con Bambino di Bartolomeo di Giovanni, Maria ci mostra con l’indice il piccolo pene del Bambingesù? E perché sant’Anna manipola con sapienza i genitali di Gesù nella Sacra Famiglia del pittore alsaziano del Cinquecento Hans Baldung Grien? Ed è vera masturbazione quella del piccolo Gesù nella Sacra Famiglia dipinta dal senese Sodoma nel 1525? Qual è, infine, la ragione per la quale la madre, nella Madonna con Bambino, capolavoro di Giovanni Bellini, cerca con mano incerta di nascondere le innocenti pudende del figlio divino? Oppure: quel turbolento rigonfiarsi del lino nel lenzuolo del Cristo morto di Andrea Mantegna, in maniera del tutto simile alle forme che assume il perizoma nella Pietà del fiammingo Willem Key, non tradisce forse una sottostante «sostanza» che deve per forza corrispondere, senza possibilità di equivoco, a una tumescenza fallica?
Così, dettaglio dopo dettaglio, di particolare in particolare, si scopre che questo inedito «blow up», questa messa a fuoco irriverente e dall’apparenza blasfema, è in realtà costruita su un mare di erudizione. E a noi è dato di poterne apprezzare almeno una parte: 222 pagine nate per raccogliere una serie di conferenze alla Columbia University di New York, pubblicata invece con grande risonanza, scientifica e di pubblico, dalla Ramdom House con l’intrigante titolo: The Sexuality of Christ in Renaissance Art and in Modem Oblivion («La sessualità di Cristo nell’arte del Rinascimento e nella moderna rimozione») di Leo Steinberg.
Particolari dalle Madonne di Cosmé Tuta e Cima da Conegliano
A sessantaquattro anni, topo cosmopolita di mille biblioteche, puntiglioso filologo quanto avventuroso iconologo, ma di certo brioso e trascinante conferenziere, Leo Steinberg, nato a Mosca da un padre che, prima di emigrare in Germania, fu ministro di Lenin, ci ha dato la «summa» delle ricerche di tutta la vita. Non è forse Steinberg l’autore di un famoso saggio uscito quasi dieci anni fa con il titolo Eve’s idle hand che tradotto in italiano significa «la mano pigra di Eva»? In quel saggio Steinberg ci costringeva a soffermare la nostra attenzione su un minimissimo dettaglio del Peccato originale di Michelangelo nella Cappella Sistina: il dito medio della mano destra di Eva puntato contro i propri inguini in contrapposizione alla mano sinistra che riceve il frutto proibito: detto in altri termini, da una parte la metafora del peccate in regola con la tradizione biblica e dall’altra l’indicazione naturalistica del luogo dove il peccato veniva effettivamente consumato...
Steinberg ha sempre cercato di leggere dietro il linguaggio del grande Michelangelo le verità di un uomo travagliato, nei due libri che ha dedicato al Giudizio universale e alla decodificazione erotico-sessuale delle Pietà. Ed ecco, quindi, come il discorso ora si completa: «C’è stato un momento nell’arte del Rinascimento», è l’ultima tesi di Steinberg, «in cui si è cominciato a rappresentare con grande enfasi realistica il sesso di Gesù bambino e de Cristo morto. A partire dal Quattrocento fino alla seconda metà del secolo XVI sono centinaia le opere religiose in cui si può riscontrare l’uso di questo "tema”, blasfemo solo nell’apparenza».
In realtà, ed è la parte forte della dimostrazione di Steinberg, in questi artisti e in queste opere, dalla Madonna del latte, che Ambrogio Lorenzetti dipinse nel 1325, alla Sepoltura (con il Cristo morto che con la mano sinistra protegge i suoi genitali: gesto misterico quanto naturale) del caravaggesco Jusepe Ribera, c’è l’esplicita intenzione di glorificare uno dei dogmi fondamentali della Chiesa rinascimentale: l’umanizzazione di Dio. Facciamo un esempio. Osserviamo con attenzione la Sacra Famiglia di Baldung Grien.
A spiegarne il significato ci aveva già provato Philippe Ariès, storico del Medioevo francese, sostenendo la tesi di una diffusione «popolare» della masturbazione infantile all’epoca di Baldung Grien. «Nessuno scandalo, quindi», sosteneva Ariès, «non facevano così tutte le nonne? Non facevano così tutti i bambini?».
Particolare dalla Madonna con Bambino (foto piccola) del senese Sodoma (1525)
«No», è la risposta di Steinberg, «si tratta invece di una "ostentatio genitalium” che prova la discesa di Dio nel genere umano. È nonna Anna che garantisce, lei che ne fa parte proprio perché è madre della Vergine e nonna del Cristo, la verità e la credibilità umana di questo dogma».
Ma come mai lo stesso ragionamento non funziona se applicato all’arte medioevale e all’arte bizantina? La risposta, secondo l’interpretazione di Steinberg, sta tutta dentro la storia dell’arte. L’arte bizantina, infatti, aveva annullato il corpo, e anche l’arte medioevale non lo teneva in gran conto: la verità della parola incarnata non aveva allora nessun bisogno di essere dimostrata.
Paragoniamo per esempio il Gesù di Masolino da Panicale che protende le sue mani verso il seno nudo della Madonna con il Gesù della Maestà di Cimabue che si trova al Louvre: il primo è proprio un bambino in carne e ossa quanto il secondo è ieratico e non umano.
Quando l’arte si riappropria del corpo, per l’artista rinascimentale cresciuto nell’ortodossia trionfante l’obiettivo non è più quello di proclamare la divinità del bambino ma di rappresentare il Cristo come figlio di Dio che si è fatto uomo. Un vero uomo. Con tutti i suoi attributi!
Fino a che punto regge questa interpretazione così categorica di Leo Steinberg? Qui di seguito lo storico dell’arte Vittorio Sgarbi ridimensiona l’interpretazione «sessuale» della rappresentazione del Cristo nell’arte del Rinascimento. Invece tutti quei cazzettini in erezione, come quello del Gesù di Cima da Conegliano, o del Perugino, o del Correggio, dimostrano, proprio perché così ostentati, che «l’autenticità dell’umanità del Cristo deriva tutta la forza invincibile dal membro sessuale del bambino».
Quindi: se Dio si è fatto corpo, insieme alle gambe, agli occhi... avrà anche il pene. Attenzione, è però un pene senza peccato originale. Cristo infatti, come diceva San Gerolamo, è «vergine nato da una vergine». «E non è questa», insiste Steinberg, «una ragione sufficiente per fare del membro sessuale un oggetto di "ostentatio” né più né meno come le "stimmate” del Cristo crocefisso e risorto?». Come prova documentaria Steinberg indica l'Ecce Homo del fiammingo Maerten van Heemskerck il cui panno che drappeggia le gambe nasconde un’imbarazzante erezione. Niente di blasfemo. Heemskerck sapeva bene come Baldung Grien o Willem Key quello che stava facendo: con quel soggetto volevano dimostrare un dogma di fede.
Siamo noi che abbiamo dimenticato la simbologia teologica di un’intera epoca. Ecco perché siamo portati a vedervi significati blasfemi e impudichi che invece non vi sono.
Birichini!


“Europeo”, ritaglio senza data, ma 1984.

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