19.11.17

La lezione di agraria di Emilio Sereni (Andrea Di Salvo)

Conviene ancora, e ancor più in un'epoca solitamente supina a pretesi determinismi, tornare a riflettere sulla specificità della risposta interpretativa messa a punto oltre cinquant'anni fa da Emilio Sereni nella sua sintesi sulla Storia del paesaggio agrario italiano edita da Laterza nel 1961 e ristampata da allora 23 volte. Per l'originalità della focalizzazione del tema, per l'innovativo approccio metodologico interdisciplinare e oggi per una nuova attualità che la questione del destino del lavoro agricolo e del profilo delle campagne torna ad assumere nel quadro di un modello di sviluppo che mostra tutti i suoi limiti. Come si legge nella prefazione al volume Paesaggi agrari L'irrinunciabile eredità scientifica di Emilio Sereni (a cura di Massimo Quaini, Silvana Editoriale, € 25,00, pp. 201, esito del lavoro di ricerca su fonti e materiali del suo archivio e testimonianza della mostra tenutasi lo scorso anno presso l'Istituto Alcide Cervi, organizzata assieme alla Società geografica e all'Istituto Gramsci), «non è un caso se torniamo a interrogarci sull'eredità di Sereni in un momento storico in cui "il lungo addio" dell'agricoltura e della "civiltà contadina" (di cui il paesaggio è la fisionomia parlante) non ci appare più come il processo fatale e irreversibile di fronte al quale non resta che la rassegnazione». Quasi come se quella lontana messa a fuoco si proietti sull'oggi, ispiratrice di un'ineludibile dimensione operativa. E proprio nell'urgenza della saldatura tra impegno scientifico e civile sta lo specifico della lezione di Emilio Sereni (1907-1977), studioso di agricoltura e del paesaggio agricolo ma prima ancora dirigente del partito comunista, partigiano, costituente, ministro nei governi di unità nazionale. Rimasto esterno al mondo accademico, incardinò le sue ricerche sull'asse dei rapporti città-campagna, a partire dalla storia antica e precisando il suo interesse per la storia e le forme del paesaggio agrario sulla scorta dello studio di Marc Bloch su I caratteri originali della storia rurale francese. Indagandone per l'Italia le tipologie (estremamente più variegate) pur nella consapevolezza del pericolo di «una ipostatizzazione delle forme del paesaggio agrario che ponga l'accento sulla loro consistenza e persistenza geografica... piuttosto che sul processo della loro viva e perenne elaborazione storica». Dell'eredità di Sereni si ricostruiscono nel volume specificità e limiti; dal contesto culturale dove matura la sua indagine, al dibattito e alle critiche che essa suscita (continuismo, uso delle fonti), ai lasciti di una sensibilità attenta alla conservazione e gestione del patrimonio rurale. Soffermandosi sull'originalità della sua proposta di una Storia del paesaggio agrario costruita per brevi capitoli, segnati dall'uso riassuntivo e certo significativo per l'epoca delle molte immagini, intenzionalmente non specialistica, spoglia di ogni apparato erudito, ma della cui gestazione si intravede il complesso lavoro preparatorio in parte restituito dall'analisi delle carte del suo archivio. Indagine sempre mossa da un'aspirazione alla sintesi, nella consapevolezza che, richiamando Bloch,«vi sono momenti nei quali importa soprattutto enunciare bene i problemi piuttosto che cercare di risolverli». Sintesi di studi e d'azione che, metodologicamente, procede dal porsi domande opportune. Come quelle per lui ispiratrici che, scrivendo su l'Unità nel gennaio 1967, Sereni attribuisce al detto - sempre e nuovamente attuale - «di un vecchio saggio»:«E se non sono io e sarò solo per me, chi mai sarà per me, chi mai potrò essere? E se non ora quando?».


ALIAS DOMENICA 9 SETTEMBRE 2012

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