28.11.17

“L’arte della recensione” (Salvatore Lo Leggio 2005)

Il testo che segue è la prefazione al libro di Roberto Monicchia Il mondo a pezzi, pubblicato da CRACE nella collana “I Pamphlet” nel 2005. (S.L.L.)

Negli anni settanta Franco Fortini raccolse in un aureo libretto le 24 voci da lui curate per un dizionario letterario in dispense e le corredò di una prefazione che è un vero e proprio elogio delle attività intellettuali “servili”, quelle che obbligano, per statuto e talora anche per vincoli contrattuali, a “un buon uso delle parole”.
L’uso parco, appropriato e mirato dell’arte dello scrivere, spiegava l’indimenticato maestro, ha anche un’efficacia etico-politica: da un lato mortifica la vanità piccolo-borghese dell’intellettuale, fiaccando il demone della magniloquenza; dall’altro lo spinge a “compartire il sapere”, prefigurando uno dei cardini del progetto comunista.
Vale, ovviamente, anche per la recensione, il cui autore è servo di due padroni. Del libro di cui scrive, che non deve essere frainteso, forzato nei significati, piegato a messaggi che non gli sono propri. Del lettore, che dalla recensione si aspetta un’idea dell’opera, ed anche un giudizio, esplicito o implicito che sia, ma non ama essere sopraffatto da responsi oracolari né vuole che gli sia negato il piacere di leggere e di confrontarsi con il testo in autonomia.
La recensione onesta è diventata, tuttavia, una merce introvabile. Il narcisismo, morbo intellettuale diffuso e pernicioso nell’era dell’immagine, imperversa sulle pagine culturali dei quotidiani e dei settimanali. Il recensore che ne è affetto raramente usa il suo spazio per raccontarci il libro, dirci come è fatto, ragionare sui punti critici, lo utilizza piuttosto come spunto per divagare, polemizzare, pontificare, come alibi per raccontarci i casi suoi ed informarci delle sue escogitazioni. In molti casi c’è fondato il sospetto che si sia limitato a leggere i risvolti, tutt’al più a sfogliare il volume.
Di certo non è così per le recensioni che Roberto Monicchia ogni mese, con grande puntualità, trasmette a “micropolis” da Vicenza, a partire dal fatidico settembre 2001. In un periodico con una impaginazione molto flessibile, dove poche sono le rubriche fisse, il suo articolo mensile è diventato abbastanza presto un’istituzione, un appuntamento fisso. Il primo anno le “letture da lontano” (come qualcuno della redazione le chiama con scherzosa allusione) ruotavano intorno a un tema: il movimento antiglobalizzazione, le sue caratteristiche, i suoi connotati ideologici, i suoi testi di riferimento, poi Roberto si è mosso con più libertà di scelta, toccando tanti argomenti: le dinamiche dell’economia mondiale, le caratteristiche e le contraddizioni del capitalismo contemporaneo, il ritorno prepotente della geopolitica e della guerra sulla scena internazionale, gli USA che spadroneggiano mentre declinano, la miseria italiana, il comunismo storico e le poche nuove riflessioni teoriche sulla società. Ogni mese una porzione di mondo indagata ed interrogata con il sussidio di un libro recente.
Sul suo metodo di lavoro Monicchia ci dà un ragguaglio nella nota introduttiva, ove mette in fila i precetti dell’onesto recensore: scegliere, leggere, rendere il senso testuale del libro, esplicitare le domande che suscita, i dubbi che lascia, i percorsi che apre.
La qualità del risultato è notevole. L’autore si schermisce, spiega di non essere storico, né economista o giornalista di mestiere, ma questo diventa paradossalmente un punto di forza. E non soltanto per il principio secondo cui le cose che riescono meglio sono proprio quelle che si fanno gratis, ma anche perché di economia, sociologia, politologia, storia e geografia Monicchia dimostra di capirne più di tanti mestieranti. Giornalista oltre tutto lo è d’istinto, e del tipo migliore: possiede le qualità native del divulgatore e del comunicatore, che proprio dall’approccio non specialistico risultano potenziate. È per queste ragioni che le recensioni pubblicate su “micropolis” presentano un pregio immediatamente evidente anche agli antipatizzanti: vi si ritrova un’esposizione del libro puntuale, chiara e sintetica, che invano altrove si cercherebbe (provare per credere!). Il recensore individua con sicurezza i nodi problematici del libro in esame, pone sul tappeto le questioni più delicate e controverse e intorno ad esse costruisce il pezzo.
La chiave di tutto è la politica e Monicchia ne ha forte la consapevolezza. La facilità con cui, anche e soprattutto a sinistra, si sono accettati i luoghi comuni dell’ideologia neoliberista, con gli annessi e connessi (dal paradigma della complessità alle irritanti profacole sul postindustriale e sul postmoderno), segnala una fuga dalla ragione, una dilagante poltroneria. Nei primi anni sessanta Franco Fortini, in un libro esemplare come L'Ospite ingrato, spiegava come l’espressione “fine delle ideologie” fosse un eufemismo volto a significare l’auspicata fine del comunismo. Adesso che il comunismo, almeno quello “realmente esistente” è finito davvero, le proclamazioni antiideologiche accompagnano l’accettazione supina dell’ordine sociale vigente, una resa incondizionata al dominio del capitale. Ma una volta che si rinunci a cambiare il mondo (anche solo riformandolo, non necessariamente rivoluzionandolo), ai più sembra una fatica inutile oltre che improba il tentare di comprenderlo. Le stesse minoranze di sinistra che si vogliono critiche e radicali alla dura ricostruzione di una prospettiva sembrano perciò preferire un opportunistico adattamento all’esistente attraverso la conquista di nicchie di sopravvivenza, per scavarsi le quali gli strumenti scelti sono quelli tipici dell’odierno mercato politico. Né è pagante a sinistra un grezzo movimentismo. Il libro di Monicchia guarda con simpatia ed esamina con acume i soggetti sociali vecchi e nuovi che si oppongono all’ordine costituito e talora riescono ad intaccarlo, ma i movimenti rischiano il disarmo e il disastro, se alla loro diffusione e crescita non s’accompagna la ricerca teorica, la definizione di obiettivi, l’analisi concreta delle situazioni concrete.
A questo andazzo le recensioni qui pubblicate oppongono una resistenza non soltanto ideologica. Il mondo fatto a pezzi dal dominio capitalistico e dalle ideologie dominanti, “complessificato” più che complesso, per Monicchia può essere afferrato solo da un “pensiero forte” che recupera e riabilita alcuni strumenti analitici dai più accantonati, ma niente affatto inservibili o superati. Piloni portanti ne sono, con tutte le contaminazioni richieste dalle circostanze, un anticapitalismo ragionevole e ragionato e un marxismo senza miti. Questa scelta rigorosa fa sì che il libro non sia una raccolta di brevi saggi su argomenti di varia umanità, ma un’opera profondamente unitaria. Non diremo che tutto si tiene: nelle fasi di sconfitta e di ricostruzione anche le analisi più accurate presentano scabrosità, scarti, intoppi. Ma una cosa è certa: il libro di Monicchia, oltre a proporci le domande su cui a sinistra dovremmo cominciare ad arrovellarci, indica una via: quella di una nuova centralità della battaglia culturale, di una politica che non si separa né dalla società né dalla scienza.

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