1.12.17

Riviste storiche: “Quaderni piacentini”. Pagine dalla parte del torto (Cesare De Michelis)


È passato oltre mezzo secolo, ma di avventure intellettuali come i «Quaderni Piacentini» sappiamo dir poco, se non che proviamo una struggente nostalgia per quella stagione, quando era ancora possibile un’estrema bohème di qualche piccolo gruppo di intellettuali borghesi che non voleva omologarsi con la volgarità senza stile del consumismo di massa e, quindi, trasformava il proprio “provincialismo” in una sorta di privilegio assai snob e molto intelligente, che, appunto, rifiutava la moda e le mode, riscoprendo la severa grandezza della cultura nel tramonto di una civiltà che l’aveva travolta e rasa al suolo, lasciandone intatta la memoria.
L’avventura della rivista e dei suoi promotori è diligentemente ricostruita da Giacomo Pontremoli, anche riassumendo con ampie citazioni i contributi più significativi apparsi tra il 1962 e il 1980 in 55 fascicoli corrispondenti a 74 numeri più un bis, anche se neppure prova a darne un’interpretazione che aiuti a capire perché per un verso la rivista finì quasi sempre a trovarsi «dalla parte del torto», persino con qualche compiacimento dei suoi redattori, e per l'altro conquistò un pubblico di lettori sempre più largo, cosicché la sua stessa fine a molti apparve sorprendente e imprevista. Eppure sui «Quaderni» - Piacentini, ma anche Rossi, dopo poco, a Torino - e su quanto accadde fino al ’68 e oltre dovremo, in prossimità del cinquantenario, tentare una ricostruzione meno superficiale e sentimentale, perché nella rivista si espressero le ragioni di ogni resistenza alla modernizzazione e all’industrializzazione del Paese, tutte, si direbbe, di sinistra, nel senso che crescevano, a cominciare dall’amata Scuola di Francoforte, dentro la tradizione marxista e, se si vuole, rivoluzionaria del socialismo.
Colpisce, infatti, la lontananza che separa i «Piacentini» dal «Menabò» di Vittorini, che ha radici non solo ideologiche - Francoforte lo si ritrova da una parte e dall’altra -, ma soprattutto “morali”, se si pensa a quanto è viva nella prosa di Piergiorgio Bellocchio la lezione dell’azionismo e di Gobetti, ed è, invece, distante quell’altra, che da Croce arriva a Pannunzio e al suo «Mondo».
Il gruppo dei «Piacentini» sembra fatto dai figli inquieti del più inquieto Fortini, che riconoscono negli scontri di piazza i segnali della ribellione al consumismo, ma rifiutano di confondersi con la folla, restando ai margini a guardare, curiosi e distanti, critici anche nei confronti degli stessi “compagni di strada”, in ogni caso avversari del moderno e del nuovo e quindi tormentati da uno struggente bisogno di radicate certezze, di valori resistenti, di un’educazione che duri. Il ’68 sorprenderà il gruppo dei «Piacentini» come molti altri suoi simili, perché avvicinerà la prospettiva di un’imprevedibile vittoria, costringendo ognuno a una scelta drammatica e dolorosa tra un altro nuovo che si prospetta liberatore e una fede tenace che scricchiola in tanto trambusto: che fare, dunque, sperare o abbandonare la lotta per tornare a guardare?

Nella lotta finirono i Sofri e i Rieser, persino un po’ Fofi, che se ne andrà dalla rivista nel ’75, Bellocchio e Grazia Cherchi, invece, deposero la penna per pubblicare gli interventi degli altri, fino all’ultimo incerti, persino loro che con sicurezza avevano sempre distinto i libri da leggere e quelli da non leggere: poi venne il terrorismo, le brigate rosse e tutto il resto, e allora tornare a casa divenne urgente, l’unico modo per non sparire nella folla e continuare in solitudine a pensare a quel che era stato è ancora avveniva. Dai «Quaderni» nacque il «Diario» dove a dire la loro erano soli Berardinelli e Bellocchio, sempre più convinti di aver visto giusto e di aver perso definitivamente la partita: dalla parte del torto non c’è vittoria che tenga, ma anche a perdere bisogna aver stile, essere bravi a farlo con eleganza, senza strepiti o piagnistei. Così accadde, ed è per questo che da quelle pagine emana ancora un fascino suadente e maligno che frastorna chi col moderno non in vuole a ogni costo compromettersi e ancor di più chi invece ogni giorno ci prova.

"Il sole 24 Ore", Domenica 30 luglio 2017

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