14.12.17

USA. Siti di appuntamenti ed algoritmi: i Big Data di Cupido (Paolo Bottazzini)

Joseph Heinz il vecchio, dal Parmigianino. Cupido che fabbrica l'arco
Il cuore ha ragioni che la ragione calcola e comprende benissimo. La versione americana di Pascal trasforma la delicatezza delle emozioni suscitate dal contatto con gli altri in una questione di Big Data e di business. Lo denuncia Christian Rudder nel libro Dataclisma, puntando il dito contro l’azienda di cui è co-fondatore. OkCupid, con i suoi dieci milioni di utenti registrati, appartiene con DateHookup e Match.com al triumvirato dei maggiori siti di dating online in America. Messi insieme censiscono una popolazione equivalente a circa metà di quella italiana. Un servizio di appuntamenti galanti può prosperare soltanto se è capace di intuire le oscillazioni sentimentali e le vibrazioni del desiderio, prima ancora che gli individui siano in grado di confessarle – persino a se stessi. Solo in questo modo può suggerire accoppiamenti che aspirino a qualche successo.
L’app di appuntamenti Tinder conta su 9,6 milioni di utenti attivi, che arroventano gli schermi dei loro smartphone con 1,4 miliardi di swipes ogni giorno. Lo swipe è il movimento del dito sul monitor che fa scivolare a destra o a sinistra la foto del candidato proposto dal software. Lo scorrimento a destra suggella una dichiarazione di disponibilità, mentre quello a sinistra decreta la chiusura anticipata di ogni trattativa. Il software di classificazione è Elo e tratta gli utenti di Tinder come un biologo si occupa della sua coltivazione di batteri: li etichetta tutti, stabilendo come criterio la somma di slittamenti a destra e sinistra cui i pari li hanno indirizzati. Un metodo poco romantico, ma molto efficace: assicura a ciascuno di incontrare altri individui che si trovano nella stessa fascia di interesse sanzionato dalla comunità degli utenti. Il rullo delle foto è il tribunale in cui gli attori umani swippano le loro sentenze – che a loro volta sono il pascolo delle ruminazioni dei software, in una catena di effetti degna della Fiera dell’Est.
Rudder appare quasi afflitto dalla necessità di ammettere che i dati di OkCupid non permettono di distinguere in maniera radicale il comportamento delle donne e quello degli uomini. Il mondo è meno variopinto di quello che ci piacerebbe credere e tende invece a impigrire nella ricerca di ciò che i sociologi chiamano omofilia, la predilezione per ciò che è simile.
Applicata alle preferenze etniche, l’omofilia finisce per confinare con il razzismo. O almeno, questa è l’impressione che si ha spiando le preferenze espresse sui siti di dating: che sono un luogo ideale per misurare il grado di integrazione tra bianchi, neri, asiatici e latini, perché mettono in luce i nostri comportamenti istintivi e ci mostrano chi siamo quando crediamo che nessuno ci stia guardando (come recita il sottotitolo del libro di Rudder). Secondo le rilevazioni su OkCupid, le donne tendono a manifestare un grado di omofilia etnica maggiore degli uomini. La preferenza per individui dello stesso gruppo etnico supera la media da un minimo del 19% per le asiatiche (in favore degli altri asiatici), a un massimo del 49% delle bianche in favore dei bianchi. Le swippate sulle foto confermano inoltre il privilegio culturale dell’etnia bianca sulle altre: dopo la propria, rappresenta sempre la seconda scelta per tutti – con la sola eccezione dei neri. La popolazione black è la più negletta da tutte le altre comunità con un tasso negativo che oscilla tra il meno 24 e il meno 27% per i favori decretati dagli uomini, e tra meno 19 e meno 38% per le preferenze operate dalle donne; per simmetria, i bianchi godono di un pregiudizio favorevole che oscilla tra il 7% nelle scelte maschili e del 35-37% per quelle femminili.
Ma i dati di OkCupid stanano anche i meta-pregiudizi sui nostri preconcetti: le sorprese cominciano con l’asimmetria tra le valutazioni sul fascino delle (foto delle) ragazze e il loro successo nell’intercettazione di appuntamenti. Quanto più alta risulta la media delle quotazioni, tanto maggiore è la «convenzionalità» della bellezza che viene riconosciuta alla donna; ma tanto maggiore è anche la pressione della concorrenza che l’utente avverte sulla riuscita del suo tentativo. In una scala da 1 a 5, le ragazze che si collocano nella fascia tra il 2 e il 3 finiscono per diventare l’oggetto di attenzioni più numerose rispetto a quelle che superano il 3: chi le contatta cade in un equivalente sentimentale del tranello sociologico dell’«effetto pratfall». Nella versione originale, quest’effetto spiega perché l’apparizione di un errore nel discorso convince il pubblico sulla competenza dell’oratore più di una performance impeccabile; in quella derivata per il dating, l’eccentricità genera un effetto di seduzione equivalente alla scoperta della perla nella conchiglia.
Nel mondo magico della sessualità la «coda lunga» della mediocrità, o dell’eccentricità, vende meglio delle hit della bellezza. Rudder osserva che le ragioni sottese a questo fenomeno devono essere le stesse che spiegano come mai su Digg si trovino pagine fan dedicate a registi eccentrici come Roger Waters, mentre siano trascurati nomi mainstream come Spielberg o Scorsese.
Roland Barthes insegnava che l’amore non è l’impero dei sensi, ma l’impero del senso. Qualunque fremito delle emozioni, se ancora sopravvive da qualche parte, è fomentato, diretto, frammentato, esasperato, da un diluvio di segni e di dati – e soprattutto dalla furia interpretativa che li trasforma tutti in sintomi. L’autoritratto non passa solo attraverso le immagini, ma anche per il dizionario cui si ricorre per la propria descrizione, e per i dialoghi con gli interlocutori.
Rudder scopre che la parola usata più di frequente su OkCupid è the pizza (seguita dai phish, dal nome della rock band, e dall’Nba), e che non intercorrono grosse differenze tra il linguaggio di uomini e donne – tanto da dover immaginare un algoritmo ad hoc per identificare differenze perspicue tra i generi e tra le etnie. Emerge una linea di demarcazione che permette di riconoscere un uomo bianco dall’apparizione di espressioni come my blue eyes e blonde hair, un uomo nero dal ricorso a termini come dreadsjill scott (eroina dello star system di colore), un latino da colombian e salsa merengue, un asiatico da tall for an asian e asians; le donne bianche sono individuabili da my blue eyes e red hair, le nere da soca (musica) e eric jerome dickey (e qui si entra nelle preferenze letterarie), le asiatiche da taiwan e tall for an asian, le latine da latina e colombian.
I neri sono il gruppo più creativo dal punto di vista linguistico; lo sono anche i gay (first wives, velvet rage, tales of the city, film e romanzi cult), quasi a confermare l’ipotesi che la marginalizzazione sociale produce maggiori stimoli intellettuali e culturali. Ma anche i cluster discriminati sono comunque inquadrati in gruppi omogenei, e svelati nella loro banalità. Gli algoritmi dissezionano il desiderio in un disegno anatomico che assegna un nome a ciascuna delle sue espressioni, eliminando anche l’illusione della spontaneità dall’immaginario e dal simbolismo della libido. Cuore e ragione hanno ragioni che la knowledge economy conosce benissimo, e su cui costruisce un business sempre più fiorente, senza scandalizzarsi del nostro razzismo latente, né della trivialità manifesta dei nostri occhi blu e dei capelli biondi. La Rochefoucauld, ai nostri giorni, potrebbe domandarsi se gran parte delle persone non si sarebbe mai innamorata, se non ne avesse sentito parlare da un software.


Pagina 99, 23 gennaio 2016

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