Questo testo fu scritto intorno al
1934, quando tutto sembrava perduto, ma c'era l'Unione Sovietica. Ora
non c'è neanche quella. Ma neppure adesso tutto è perduto. (S.L.L.)
Al tempo della guerra mondiale
in una cella del carcere italiano di
San Carlo
pieno di soldati arrestati, di ubriachi
e di ladri,
un soldato socialista incise sul muro
col lapis copiativo:
viva Lenin !
Su, in alto, nella cella semibuia,
appena visibile, ma
scritto in maiuscole enormi.
Quando i secondini videro, mandarono un
imbianchino con un secchio
di calce
e quello, con un lungo pennello,
imbiancò la scritta minacciosa.
Ma siccome, con la sua calce, aveva
seguito soltanto i caratteri
ora c’è scritto nella cella, in
bianco:
viva Lenin!
Soltanto un secondo imbianchino copri
il tutto con più largo pennello
sì che per lunghe ore non si vide più
nulla. Ma al mattino,
quando la calce fu asciutta, ricomparve
la scritta:
viva Lenin!
Allora i secondini mandarono contro la
scritta un muratore armato
di coltello.
E quello raschiò una lettera dopo
l’altra, per un’ora buona.
E quand’ebbe finito, c’era nella
cella, ormai senza colore
ma incisa a fondo nel muro, la scritta
invincibile:
viva Lenin!
E ora levate il muro! disse il soldato.
Da Poesie e canzoni,
Versione di Ruth Leiser e Franco Fortini, 1961
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