A Perugia in questo 2018,
dopo l'inchiesta cosiddetta “Quarto Passo” sulle infiltrazioni
della 'ndrangheta in Umbria e mentre è in corso un processo in cui
si parla di pizzo, di usura, di aziende controllate, di violenze e di
minacce, un articolo di Paolo Lupattelli nella pagina fb di
“micropolis” mette in luce il nuovo avanzare della “palude
mafiosa” nella nostra regione, evidenziato dalla “operazione
Stige”, un'inchiesta di ampio respiro condotta dal magistrato
Gratteri.
Proprio adesso mi accade
di recuperare il ritaglio di un articolo su “l'Unità” di
Vincenzo Vasile su un libro del sociologo Salvatore Costantino, l'uno
e l'altro miei stimati compagni e amici degli anni universitari.
L'articolo e il libro sono del 1993, un quarto di secolo fa, ma la
proposta di Costantino, che scaturisce dall'indagine sul campo a suo
tempo condotta, mentre fa riflettere su persistenti complicità, su
colpevoli ritardi e sottovalutazioni, mi pare tuttora attuale e
generalizzabile. (S.L.L.)
Il sociologo Salvatore Costantino in una immagine recente |
ROMA
C’è chi sostiene che
la mafia è un’«industria della protezione». Ma questa tesi,
sostenuta tra gli altri anche da Diego Gambetta nel suo recente
saggio einaudiano. viene ora contestata dalla ricerca sul campo
condotta da Salvatore Costantino: A viso aperto, la resistenza
antimafiosa di Capo d'Orlando, per un piccolo editore di Palermo,
La Zisa (pagg.184, lire 18.000). Il meccanismo perverso
dell'estorsione (in cambio della quale la mafia non offre affatto
«servizi» a chi si assoggetta a pagare, ma macina la libertà
dell'imprenditore assieme alla libertà personale), vi viene
analizzato a partire da due casi emblematici: quello
dell’imprenditore Libero Grassi, assassinato dopo il suo rifiuto
del «pizzo» a Palermo, capitale di Cosa nostra, e quello della
ribellione dei commercianti di Capo d’Orlando, in un'altra Sicilia,
che invece è priva di cultura e tradizione mafiose.
Spiega l’autore: «È
proprio qui la specificità del caso orlandino: di avere una reazione
adeguata proprio nella fase in cui inizia a manifestarsi la mafia.
(...) Non pochi sono i punti di riflessione sull'intera vicenda
nazionale: la società civile italiana deve comprendere che si è
ancora in tempo per impedire la definitiva conquista da parte della
mafia di zone e regioni dell'intero paese sino ad oggi marginalmente
interessate dal fenomeno mafioso». Si può leggere un'interessante
cronaca di prima mano (per alcune pagine scritta con la
collaborazione di uno dei protagonisti, Tano Grasso) sui primi,
difficilissimi passi dell'associazione creata dal nulla dagli
imprenditori di Capo d'Orlando. E, in appendice, viene riprodotta la
motivazione della storica sentenza contro il racket, frutto della
coraggiosa battaglia giudiziaria dell'Associazione.
Scrive, nella prefazione,
Franco Ferrarotti: «È necessario chiamare a raccolta tutti i
siciliani onesti per apprestare gli strumenti di un’autodifesa
civile. È inutile attendersi molto dallo Stato. Le istituzioni sono
distanti. Rischiano la delegittimazione, non a causa di attacchi
perversi dall'esterno, ma per la loro cronica, dimostrata incapacità
di proteggere efficacemente il cittadino comune nei suoi interessi c
nelle sue proprietà ed attività legittime». Il sociologo cita il
suo Rapporto sulla mafia, una ricerca comissionatagli negli
anni Settanta dalla Commissione parlamentare d'indagine. Ne veniva
fuori un'immagine della mafia come «macchina che produce violenza»,
con un nesso originale con il potere politico, che rappresenta il
tratto distintivo della mafia rispetto ad altre forme di criminalità
organizzata.
Costantino cita le
parole, tremendamente amare, di Libero Grassi: «Ho denunciato le
persone che mi chiedevano il pizzo, li ho fatti arrestare, ma alla
fine sono rimasto solo. Non mi pento di ciò che ho fatto, ma certo
continuo a chiedermi se ne sia valsa la pena (...) Mentre mezza
Europa cercava di capire perché un imprenditore avesse deciso di
denunciare i suoi estorsori, in Sicilia facevano a gara per chi
doveva coprirsi prima gli occhi con la cera. Sono stato criticato e
isolato persino dalla associazione degli industriali di cui faccio
parte. Ci sono stati vari momenti di speranza. I pool antimafia, i
maxiprocessi, variabili che con il trascorrere del tempo sono state
inghiottite dal sistema. E si è venuta a creare una situazione
paradossale: il cittadino comune ormai non fa più parte della
struttura. Sei inserito nel circuito affaristico, oppure sei tagliato
fuori».
Che cosa ha a che fare la
morsa che ha stritolato Grassi, e quella dalla quale i commercianti
di Capo d'Orlando si sono liberati, con il meccanismo descritto da
Max Weber in Economia e società (1922)? «Ecco l’osservazione
di un fabbricante napoletano, fattami circa vent'anni fa, in risposta
ai dubbi sull'efficacia della camorra in riferimento all'impresa:
"Signore, la camorra mi prende x lire al mese, ma garantisce la
sicurezza, lo Stato me ne prende dieci volte tante, e garantisce
niente"». Con la mafia a Capo d’Orlando, si racconta
efficacemente nel libro di Costantino, sono arrivate le bombe, altro
che sicurezza. Ed a Grassi quale «protezione» è stata offerta dai
suoi assassini?
“l'Unità”, 27 maggio
1993
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